Da Saracinesco a Sambuci. Ricordi e tradizioni
Raggiungemmo Sambuci e ce ne andammo a zonzo per le vie del paese, liberi come l’aria
E adesso non ditemi che penso sempre a mangiare! Non è certo colpa mia se le tradizioni ci hanno tramandato delle delizie assolute, che sarebbe davvero un delitto lasciarsi passare sotto il naso. Il pensiero allora, ritorna bambino e mi fa ripercorrere la strada che un giorno mi condusse, con la mia famiglia, a Saracinesco, da zia Rosetta, che nell’occasione aveva preparato delle meravigliose fettuccine all’uovo, un po’ erte e irregolari, condite con un superlativo sugo di castrato che se chiudo gli occhi, riesco ancora a vedere nel piatto, nonchè a gustarle.
Saracinesco, supera i 900 metri di altitudine e ogni volta che ci torno, mi piace affacciarmi come da una finestra e ammirare lo stupendo paesaggio che si offre allo sguardo, ascoltando il mio sottofondo musicale preferito per l’occasione, tratto dal brano “In volo” del Banco: “Da qui messere, si domina la valle, ciò che si vede, è. Ma se l’imago è scarna ai vostri occhi, scendiamo a rimirarla da più in basso e planeremo in un galoppo alato entro il cratere, dove gorgoglia il tempo”.
E’ bello e sicuramente suggestivo pensare ad un Saracinesco concepito su questo testo dagli stessi Saraceni da cui probabilmente deriva il nome, secondo i dati storici che parlano di un loro insediamento intorno al IX secolo. Stessa cosa si può dire a proposito del museo del tempo, ovvero, il museo all’aperto di orologi solari, senza dimenticare, a metà agosto, il corteo storico rievocativo, del passaggio di Corradino di Svevia, nel 1268.
Ho vissuto bellissimi momenti a Saracinesco, con il mio amico d’infanzia Giuseppe. ‘Dominavamo la valle’ a Saracinesco, giocavamo agli avventurieri, osservavamo dall’alto, tutti i paesini sottostanti: Anticoli Corrado, Cerreto Laziale, Mandela, Rocca Canterano, Vicovaro, Sambuci…… Ormai la strada la conoscete e questo fine settimana, desidero avervi tutti a Sambuci.
Non perdete l’occasione, tra non molto ne comprenderete meglio il motivo. L’episodio che collega i miei ricordi a questo gioiello collinare tra i Monti Tiburtini e i Monti Rufi, pur essendo simpatico, non dovrei menzionarlo, anche perchè rischierei di fornire alle giovani generazioni, un cattivo esempio. Tuttavia, lo racconto lo stesso. Erano gli anni di liceo e un giorno, credo un sabato di novembre, con Pierluigi e Luigi, con Max alla guida della sua 500, decidemmo di marinare la scuola, o per meglio dire, usando termini più spicci, facemmo “sega”.
Raggiungemmo Sambuci e ce ne andammo a zonzo per le vie del paese, liberi come l’aria, lontano da insegnanti, compiti e interrogazioni… non ci conosceva nessuno. Entrammo in un negozio di generi alimentari e ci facemmo preparare dei bei panini con la mortadella. Erano davvero deliziosi quei panini, accompagnati da una birretta fresca, di mattina, tanto per gradire. Due o tre ore passate così, senza pensieri.
Si rideva, si scherzava, fu bellissimo! I luoghi che amiamo di più, come del resto gli affetti della nostra vita, altro non sono che l’essenza pura delle emozioni che ci regalano. E’ strano, lo so, ma se penso che a volte basta un panino e una birra… Beh, andiamo avanti, i ricordi non finiscono certo qua, ma prima ancora di affrontare un momento toccante, voglio ricordarvi, questa domenica, 4 aprile, la tradizionale festa della primavera, con allestimento di stand di artigianato e tante altre belle sorprese.
Prendete inoltre nota dell’infiorata del Corpus Domini, dell’estate sambuciana di luglio/agosto, della festa di Maria SS.ma Bambina, l’8 settembre, con il ballo della “Signoraccia” che conclude i festeggiamenti con questo pupazzo altissimo che viene bruciato, dopo tanta allegria, spettacoli musicali e giochi. Infine, per non farci mancare niente, l’ultima domenica di ottobre, nell’ambito dei festeggiamenti in onore di San Celso, patrono del paese, prendiamo nota della sagra della polenta. Il carnevale è già passato, è vero, ma Sambuci è anche carnevale e carri allegorici.
Ed ora, come vi dicevo, è il momento di un altro ricordo. Siamo negli anni ’50 e arrivò a Sambuci, un maestro venuto dal nord con sua moglie,anch’essa insegnante: il maestro Viola. Era un uomo alto, slanciato, una bella figura e allo stesso tempo, una bella persona. Un giorno, si accorse di avere qualcosa di anomalo all’interno del ginocchio, una cisti apparentemente. Dopo un consulto, i medici decisero di asportarla, ma quel corpo estraneo estratto, piano piano e inesorabilmente, provocò un vuoto e si estese ancora più in profondità, causando dolori intensi e infezioni continue.
L’arto, minato da un male inesorabile, arrivò al punto di gonfiarsi spaventosamente e il maestro Viola, ormai prossimo alla fine, nonostante le sofferenze disse: “Vi chiedo un favore. Non sono di qui, lo so, ma Sambuci mi ha adottato, mi ha voluto bene. Desidero essere sepolto qui”. Il giorno delle esequie, ci fu cordoglio generale, il paese era sconvolto e tutti si unirono per offrire l’ultimo saluto a questo grande uomo, tanto rispettato e amato dalla sua gente adottiva e dai suoi alunni. Il tesoro prezioso dei ricordi non perde mai la sua intensa freschezza emotiva.
A volte, cose semplici e normali come un panino e una birra, assumono significati che solo il tempo sa definire e sublimare compiutamente e se poi l’asticella sale, arrivando ad indicare l’altezza e la dimensione di straordinari valori umani, cosa si può dire di più? E’ bastato un panino con una birra e la sensazione di libertà provata quel giorno in cui la scuola era lontana, perchè mi affezionassi a Sambuci, ma il maestro Viola, il rispetto e l’amore offerto e ricambiato, hanno generato in me un sentimento ancora più forte: l’amore per Sambuci, per le sue tradizioni, per la sua gente, per il maestro Viola, che sempre ci guarda da lassù.
Foto di Adriano Di Benedetto