Digital Services Act, così Bruxelles istituzionalizza l’euro-censura
Il Regolamento Ue sui contenuti online mira a combattere hate speech e disinformazione: ma rischia di essere uno strumento per imbavagliare le opinioni non allineate col pensiero unico
L’Unione Europea ha approvato il Digital Services Act (DSA), la normativa sui contenuti di Internet che mira a «creare uno spazio digitale più sicuro». E di cui il meglio che si possa dire è che, al pari della nostrana Commissione Segre, è un errore in buona fede. Perché di fatto istituisce una sorta di “Ministero della Verità” di orwelliana memoria.
Il Digital Services Act
Dallo scorso 25 agosto, come scrive La Repubblica, è in vigore il Digital Services Act, la “legge sui servizi digitali” fortemente voluta dalla Commissione Ue. Tecnicamente si tratta di un Regolamento, il che implica che è vincolante per i Ventisette – o meglio, lo sarà dal 17 febbraio 2024.
Tale misura si propone, come dichiarò a suo tempo il Presidente dell’euro-Governo Ursula von der Leyen, di rendere «illegale online» ciò che è «illegale offline». O, come sintetizza Euronews, di combattere la diffusione di contenuti illegali, discorsi di odio e disinformazione.
Ed è proprio questo il punto critico, perché chi decide cos’è fake news o hate speech? La risposta di Bruxelles sta nella figura dei trusted flaggers, cioè i segnalatori di professione, che però sarebbero solo la versione potenziata degli attuali fact-checkers.
Si tratta di coloro che dovrebbero verificare i fatti in base a non si sa quali competenze – tant’è che hanno già preso delle cantonate colossali. Come quando cancellarono come bufale i tweet in cui il Presidente americano Donald Trump si diceva certo dell’ottenimento del vaccino anti-Covid entro la fine del 2020. Cosa che poi sarebbe effettivamente accaduta e che ha spinto a rispolverare un antico adagio del poeta latino Giovenale: quis custodiet ipsos custodes? Ovvero, chi controlla i controllori – la loro imparzialità, la loro neutralità?
I rischi per la libertà di espressione
Da qui l’allarme – l’ennesimo – sui pericoli che il DSA potrebbe comportare per la libertà di espressione di quanti non sono allineati col pensiero unico dominante. Sarà ancora possibile, per esempio, citare i dati di scienziati climato-realisti senza incorrere nell’euro-censura istituzionalizzata? Sarà possibile affermare che «una donna è una donna e un uomo è un uomo» senza che intervenga la psicopolizia, come è toccato al grande Carlos Santana? E, visto che nel provvedimento comunitario c’è, come riferisce l’AGI, un riferimento esplicito alla «propaganda filo-russa», quella ucraina invece è cosa buona e giusta?
La via dell’Inferno è proverbialmente lastricata di buone intenzioni, e il Digital Services Act rischia di non fare eccezione. «Nasconde una vera e propria legge bavaglio Ue» hanno infatti denunciato, in una nota riportata dall’ANSA, gli europarlamentari leghisti Marco Campomenosi e Alessandra Basso. L’avessero fatto tra pochi mesi, avrebbero dovuto augurarsi di non finire sotto la mannaia dell’ideologia politically correct. 1984 è sempre più vicino.