Disastro di Corrispondenza romana nel difendere Bergoglio contro Benedetto XVI
Basta con le invenzioni, per favore. Mentre vi trastullate con questi giochetti per salvare le vostre rendite di posizione, stanno succedendo tragedie immani per la Chiesa e per il mondo
Qualche giorno fa, il prof. Roberto de Mattei, nella sua inutilmente offensiva contestazione allo scrivente, aveva inavvertitamente ammesso che le dimissioni di Benedetto XVI sono errate anche nel “modo”.
Un perfetto autogol. Infatti, non ha ancora risposto alla nostra domanda: “In base a quale principio canonico, delle dimissioni presentate in modo errato potrebbero essere considerate valide? Peraltro, per l’abdicazione si richiede espressamente (all’art. 332.2) che venga manifestata “rite”, cioè in modo formalmente e giuridicamente corretto.
Eppure, la stessa Corrispondenza romana pubblicava appena il 7 dicembre, un articolo in cui dimostrava di aver ben chiaro il principio per cui ciò che è contrario allo ius è invalido, nullo e non produttivo di effetti.
In compenso, ieri la testata di de Mattei ha riprovato a tornare all’attacco, proponendo un pezzo di tale Emmanuele Barbieri, che, non senza i soliti, inevitabili accenti screditanti per il sottoscritto, ha provato a entrare finalmente nel merito della questione. Sortendo risultati ancora più disastrosi.
Va ricordato innanzitutto che, fino ad oggi, dal mondo una cum se le sono inventate di tutte i colori pur di legittimare l’antipapa Francesco. Hanno detto che Benedetto si è sbagliato a scrivere “rinuncio al ministerium”; che munus e ministerium sono la stessa cosa; che era solo un vezzo letterario interscambiarli; perfino che non è necessario rinunciare al munus…
Pensavamo che avessero sparato tutte le cartucce possibili, ma Corrispondenza Romana fa sbocciare un nuovo fiore in questo mazzo di coloratissime fantasie canoniche: ovvero sostiene che per l’abdicazione ciò che conta adesso è… rinunciare al ministerium(!). Sì, ecco cosa ha il coraggio di scrivere Barbieri:
“L’essenza del Papato non è nel munus, come nei vescovi, ma è nell’esercizio del governo, ovvero nel ministerium, che non è un sacramento indelebile, ma un potere di giurisdizione, che si può perdere o a cui si può rinunciare. Il Papato non è una condizione spirituale o sacramentale, ma un “ufficio”, o più precisamente un’istituzione. Chi rinuncia al ministerium, cioè al governo, perde il Papato”.
Ah sì? Siamo sicuri? Ma questo ufficio chi lo concede? Allora, perché il canone 332.2 richiede per l’abdicazione la rinuncia al munus e non al ministerium? Perché gli Acta Apostolicae Sedis della chiesa golpista del 1° marzo 2013 (preziosamente prodotti da don Tullio Rotondo) riportano la Declaratio come “De MUNERIS Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri ABDICATIONE”?
Perché Giovanni Paolo II nella Universi Dominici Gregis (art. 53) parla esplicitamente dell’ufficio papale come munus petrino ricevuto dal papa “per divina disposizione”?
Ovunque si considera l’essenza del papato, cioè l’ESSERE papa, come munus. Per non parlare di come potrebbe essere mai differita di 17 giorni una rinuncia al papato… Altro mistero.
Altro disastro quando Barbieri scrive: “Benedetto XVI, quali che siano state le ragioni per dimettersi, lo ha fatto in maniera valida, ma ambigua, creando una profonda confusione tra i fedeli”.
Evidentemente, l’autore ignora il principio del “papa dubius, papa nullus”. La canonistica ha, infatti, da sempre ritenuto invalido un atto di rinuncia dubbio e quindi anche il papa che viene eletto in seguito a questo.
Una vera perla quando l’autore mette uno contro l’altro l’intellettuale errorsostanzialista e l’una cum: “Il prof. Enrico Maria Radaelli, che è persona più preparata e conseguenziale di Andrea Cionci, (grazie, sempre per il gentile apprezzamento n.d.r.) nel suo libro Al cuore di Ratzinger, sostiene che l’abdicazione di papa Benedetto è invalida e nulla, proprio perché è stata elaborata sulle basi di una dottrina eretica, di stampo hegeliano. Ma a questa tesi il prof. de Mattei già rispondeva il 1° luglio 2020 su Corrispondenza Romana: «Se fosse provato che Benedetto XVI aveva l’intenzione di scindere il pontificato, modificando la costituzione della Chiesa, sarebbe caduto in eresia; e poiché questa concezione eretica del Papato sarebbe certamente anteriore alla sua elezione, l’elezione di Benedetto dovrebbe essere ritenuta invalida per lo stesso motivo per cui si ritiene invalida l’abdicazione. Egli non sarebbe in nessun caso Papa.
In questo caso ha ragione de Mattei, e infatti dov’è la chiave del busillis? In quella parola che l’articolo di Corrispondenza Romana, in modo scorrettissimo, evita chirurgicamente di citare e che, invece, è il perno centrale di “Codice Ratzinger”: sede impedita.
Leggiamo insieme il canone 335: “Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze.
Quand’è che si ha la sede impedita? Lo spiega il Canone 412: “La sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito di esercitare l’ufficio pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani”. (…Episcopus dioecesanus plane a MUNERE pastorali in dioecesi procurando praepediatur…).
Chiaro? Il papa è impedito quando non può ESERCITARE il munus, quando non può FARE il papa ed è quindi privo del ministerium.
Ora, se, come sostiene Barbieri l’essenza del papato fosse nel ministerium, cioè nel fare il papa, verrebbe totalmente meno la possibilità della sede impedita. Infatti, se ciò che conta è il ministerium, per far abdicare un papa basterebbe impedirgli di esercitare il suo potere e si potrebbe considerarlo deposto e convocare un altro conclave legittimamente. Bella roba: la giustificazione del colpo di stato, la legge della giungla importata nel diritto canonico.
Basta con le invenzioni, per favore. Mentre vi trastullate con questi giochetti per salvare le vostre rendite di posizione, stanno succedendo tragedie immani per la Chiesa e per il mondo.
L’essenza del papato è il munus, l’investitura di successore di Pietro che viene da Dio, e questo rimane se il papa è impossibilitato a esercitare il suo ministerium quando è impedito. Insomma, non è difficile: se il papa rinuncia canonicamente al munus, abdica, e la sede è vacante. Se il papa perde di fatto il ministerium, è impedito e resta papa a tutti gli effetti. E se a un papa impedito gli nominano alle spalle un altro (anti) papa, la sede apostolica è totalmente impedita. Come è oggi.
La dichiarazione di papa Benedetto non era un atto giuridico, ma un semplice annuncio di ritiro de facto da un ministerium, da un fare il papa che, causa impedimento, (documentatissimo da Vatileaks), non era più in grado di portare avanti. Questo ritiro fattuale dal ministerium è stato scambiato dai suoi nemici per un’abdicazione canonicamente regolare al munus. Nel momento in cui i nemici hanno convocato alle sue spalle un altro conclave, la sede apostolica poteva dirsi a tutti gli effetti totalmente impedita come da can. 335. Così quel flagello di cui tutti si lamentano, compresa, una volta, Corrispondenza Romana, cioè l’antipapato bergogliano, dovrà essere totalmente annullato, o dopo un – ormai quasi impossibile – sinodo provinciale, oppure dopo che il papa sarà “sicuramente fuori dalla sua sede impedita”, quando così potrà ufficializzarla “parlando liberamente”.
Per questo motivo, per purificare la Chiesa, come abbiamo illustrato fino alla nausea, Benedetto ha lasciato la sede vuota (e non vacante come è stato malamente tradotto) il 28 febbraio 2013 e per questo dichiarò, in un’altra frase oggettiva, che il prossimo papa dovrà essere nominato “da coloro a cui compete”, significando con questo che, essendo lui impedito, il prossimo papa, alla morte di Benedetto XVI, dovrà essere eletto dai cardinali di nomina pre 2013 e non da altri.
Barbieri: può fare un attimo mente locale e leggere questo articolo? Qui si spiega la corretta interpretazione della Declaratio.
Non è convinto? Ecco un aiutino dal monastero Mater Ecclesiae, quando Benedetto indica la risposta nel libro di Geremia dove si legge – guarda caso – “io sono impedito”.
Non è ancora persuaso? Legga qui dove Mons. Gaenswein ha negato pubblicamente che papa Benedetto celebri in unione con Francesco.
Ancora non basta? Spieghi perché Benedetto ha scritto “nessun papa si è dimesso negli ultimi mille anni e nel I millennio è stata un’eccezione”.
O, ancora meglio, ci spieghi perché “indossa la veste bianca dato che non aveva altri abiti a disposizione”.
Soprattutto, prima di attaccare “Codice Ratzinger” una buona idea sarebbe quella di leggerlo.
Come avete visto, cari Lettori, la situazione è ormai patente da oltre un anno e si sarebbe già risolta, una volta scoperta la Declaratio come annuncio di impedimento, se non ci fossero le Corrispondenza Romana e gli altri del “fuoco amico” una cum.