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Donne che difendono il partner violento: lo fanno per paura

Forse il caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin segnerà una svolta nella maniera in cui la società reagisce alla violenza sulle donne

Violenza sulle donne

Sono accaduti casi in cui la donna, malmenata da un marito o fidanzato, abbia attaccato chi era intervenuto a difenderla, spalleggiando il suo aguzzino. Perché, a volte, le donne difendono chi le aggredisce? Perché i passanti tirano dritti, invece di aiutare tutti assieme chi difende le vittime?

Forse il caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin segnerà una svolta nella maniera in cui la società reagisce alla violenza sulle donne. Si ha come la percezione, da una serie di fatti, manifestazioni, dichiarazioni, che questa volta la reazione c’è stata non solo da parte delle donne ma che anche gli uomini cominciano a capire che non se ne può più, che deve finire questo bambinesco sentimento di possesso, questo odio per l’altro genere quando fa a meno di te, ti lascia, decide di percorrere la propria vita, senza l’ex fidanzato o marito al suo fianco.

Sta cambiando il vento, la gente è stanca di contare femminicidi

C’è nel profondo dell’animo maschile un senso di scoramento, di non accettazione della umiliante condizione di ex, cui segue un senso di rivalsa, di volontà fisica che interviene a ristabilire un predominio psicologico sulla partner. Ma ormai il dado è tratto, lei è sicura delle scelte fatte e lui si sente fragile, debole, sconfitto e non lo vuole accettare. Da qui l’odio e la volontà di uccidere: “O con me o con nessun altro!” sembrerebbe esprimere con il togliere la vita alla donna. In qualche caso se la toglie conseguentemente egli stesso, quando si rende conto che ora non potrà più tornare indietro e che il delitto che ha commesso gli ha tolto per sempre la ragione del suo senso di potere.  

Il film di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, è venuto nel momento più opportuno. Il suo successo di pubblico, con una forte presenza di uomini, non solo giovani, tra gli spettatori, è riuscito dove anni di dichiarazioni, trasmissioni, commenti non avevano potuto fare breccia. Non illudiamoci. La strada dei cambiamenti culturali è lunga e difficile, è costellata di difficoltà ma una volta che certi processi culturali partono, nessuno riesce più a fermarli e prima o poi arrivano dove devono approdare. Una delle difficoltà la vorrei analizzare oggi. La donna malmenata dovrebbe essere la prima a chiedere soccorso, da vittima che vuole salvarsi. Non è sempre facile. Non sempre succede.

È la mia fidanzata e io le faccio quello che mi pare!

Difende una ragazza dal fidanzato e viene pestato: è accaduto a Milano il 20 novembre scorso.  La ragazza aveva ricevuto un pugno in pieno volto dal suo fidanzato e un ragazzo, tra tanti passanti indifferenti, è intervenuto per bloccare la violenza che rischiava di proseguire. Erano circa le 8 di sera, nel quartiere Baggio a Milano. Quando Francesco ha viso la scena violenta e nessuno dei passanti ha mosso un dito, non ci ha pensato due volte, “con sprezzo del pericolo”, come si dice in questi casi, s’è fatto avanti per bloccare quelle brutalità da parte di un vigliacco contro la “sua” ragazza. La frase del violento è sintomatica, da manuale dell’aggressività maschile: “Alla mia ragazza faccio quel che voglio, non mi rompere i …”

Questo atteggiamento era messo in conto. Quello che non aveva messo in conto Francesco è stato il comportamento della ragazza. Lei aveva un livido rosso sullo zigomo e gli si è scagliata contro per strattonarlo via. Mentre Francesco tentava di chiamare la polizia. Il fidanzato della giovane ha minacciato Francesco: “Chiamo i miei amici e ti diamo una lezione.”

La ragazza intanto si è ripresa dal colpo subito e sottovoce dice a Francesco: “Capisci che adesso il mio ragazzo va nei casini per colpa tua?”. Sembrava plagiata, come se fosse concorde con il fatto che lui potesse farle quello che voleva perché stavano insieme, come se cercasse di difenderlo nonostante la violenza. “Le ho spiegato che la situazione era grave, che era in grave pericolo, che non potevo non difenderla dal suo fidanzato che la stava aggredendo…”, racconta Francesco. Ma è come parlare al muro.

Chiamare subito le forze dell’ordine e se possibile intervenire in più persone

Prima dell’arrivo della Polizia sono arrivati gli amici chiamati dall’aggressore. Hanno assalito Francesco a pugni e calci mandandolo all’ospedale. Gli hanno diagnosticato un trauma cranico, una costola rotta, delle ecchimosi al costato e in faccia, denti rotti, il setto nasale rotto, altre contusioni gravi in varie parti del corpo. Sono percosse che hanno un risvolto penale. La Polizia infine a salvato Francesco, solo contro tutti, anche contro la ragazza malmenata ma il peggio era avvenuto.

Nel caso dell’aggressione di Filippo Turetta a Giulia, un testimone aveva chiamato i Carabinieri quando ha visto la scena di violenza, ma poi i militari non sono intervenuti. Sul perché indagherà il magistrato. Forse Giulia si poteva salvare. Pare che non vi fossero “Gazzelle” disponibili in quel momento. Ma allora perché non poter autorizzare altri (Vigili del Fuoco, Polizia Municipale…) a intervenire, se non altro per dissuadere le violenze, se non per arrestare il colpevole.

Questa vicenda non ci insegna che non si deve intervenire, perché ci possono essere delle reazioni gravi e perché la donna potrebbe non essere d’accordo. Tutt’altro. Solo che piuttosto che mettere a repentaglio la propria vita, bisogna intervenire con giudizio. Non affrontare il bruto. Chiamare subito la Polizia, prendere dettagli di targhe di auto o dei tratti somatici dell’aggressore, segnarsi l’ora e il luogo. Tutto concorrerà a rintracciare chi si è reso responsabile.

Adesso la madre di Francesco teme la ritorsione dei violenti

Adesso la madre di Francesco, seppur orgogliosa per il coraggio mostrato da suo figlio, è preoccupata. Teme ritorsioni da quei violenti che sono stati denunciati. Siamo all’assurdo che chi difende una vittima viene attaccato dalla stessa e deve stare in pensiero per una possibile vendetta degli assalitori. Capite bene che siamo caduti nel bel mezzo di una vicenda sul modello mafioso, dove chi ha ragione e denuncia deve temere la reazione dei delinquenti, per sé e per la propria famiglia. Bisogna porre un freno a tutto questo. La paura e l’indifferenza ci stanno facendo arretrare e cadere nell’insicurezza. Se invece tutti i cittadini si coalizzassero metterebbero in fuga questi vigliacchi. La stessa cosa che succede con le mafie.

Di questi episodi ne sono successi già altri. Il 13 luglio scorso in via Orazio, a Posillipo, un quartiere bene di Napoli, un tipo prende a schiaffi una ragazza. Dei ragazzi intervengono per difenderla. Qualcuno filma la scena col telefonino e la posta in seguito sui social. Inizia uno scontro fisico tra gli intervenuti e il tipo che schiaffeggiava la ragazza. Ma la ragazza non si è schierata coi suoi difensori.

In altri casi è intervenuta una pattuglia della Polizia di passaggio, attirata da una scena di colluttazione tra un uomo e una donna. Una volta che l’agente si è avvicinato per chiedere se c’era qualcosa che non andava, è stata la ragazza a dire: “Non è successo niente… grazie!”

Ci sono donne che accettano il ruolo di vittime a causa del loro bagaglio culturale

Una psicologa e psicoterapeuta di Helpingmama.it, Annalisa Carrera, prova a spiegare perché a volte ci siano donne che difendono i loro aguzzini. “Una delle possibili motivazioni della copertura delle violenze da parte della vittima è il fatto che la donna in questione possa aver avuto nella sua storia familiare delle figure di riferimento (padre, fratelli, zii) che hanno agito nello stesso modo del compagno attuale. A lei quindi questi abusi risultano in qualche modo leciti e familiari, non sono comportamenti che si allontanano dal suo immaginario”.

Ma non c’è solo un passato complesso: anche la paura di essere abbandonate e una forma di immaturità emotiva possono giocare un ruolo importante: “può anche mettersi in atto lo stesso meccanismo che si attiva nei bambini vittime di maltrattamenti: per loro è inconcepibile denunciare il proprio genitore”.

Potrebbero anche esserci altre motivazioni dettate dalla paura. L’uomo violento vive con loro, comunque saprebbe trovarle. Schierarsi al suo lato, pensano queste vittime, le salvaguarda da atteggiamenti ancora più violenti, una sorta di cedimento a minacce più gravi.