Dopo il Covid-19. I nemici resteranno tali: altro che “tutti uniti e ripartire”
Il messaggio ufficiale è che siamo in guerra e che poi dovremo restare coesi nella ricostruzione. Un’esca avvelenata
Lo scriviamo con ampio anticipo, e con la piena consapevolezza che a molti riuscirà impossibile sostenere il peso psicologico di quello che diremo: finita l’emergenza sanitaria il governo, ossia l’establishment che è oggi al potere e che va ben al di là dei confini dell’Italia e delle classi dirigenti nazionali, cercherà di estenderla alla fase successiva.
Ovviamente, almeno in un primo tempo, tenterà di farlo in una maniera che non appaia autoritaria. Ma il principio sarà lo stesso: in presenza di circostanze straordinarie, le normali regole della democrazia possono/devono essere accantonate per lasciare spazio a misure forzose e inderogabili. Le consuete libertà individuali e associative vengono drasticamente ridimensionate, sino a diventare dei diritti sospesi a oltranza e quindi astratti, appellandosi a una priorità assoluta e collettiva. Di fronte alla quale ogni restrizione imposta ai cittadini diventa legittima e obbligatoria.
Nel campo della politologia questo irrigidimento ha un nome preciso: “stato di eccezione”. Ed esisteva ben prima che venisse chiamato così, vedi ad esempio la figura del dictator nell’Antica Roma.
La chiave di volta di questo stravolgimento è appunto l’esistenza – vera o fittizia, obiettiva o ingigantita – di una minaccia generalizzata la cui pericolosità è tale da esigere le contromisure più rigorose. E dunque uno sforzo comune che sia del tutto concorde e che si metta al servizio esclusivo dello scopo da raggiungere.
Oggi, quello scopo è fissato nel contenimento del Covid-19. Al quale si subordina, e si sacrifica, ogni altro valore. Il messaggio che viene lanciato è che si tratta di una guerra. Il sottinteso, molto meno strombazzato, è che ci saranno due conseguenze principali, al di là delle odierne limitazioni riassunte nello slogan “io resto a casa”. La prima è che ci saranno dei danni cospicui, per non dire enormi: delle “macerie economiche”, diciamo così. La seconda è che terminato il conflitto, o quantomeno dopo aver superato la sua fase più acuta, si dovrà affrontare una complessa opera di ricostruzione. Più o meno lunga, ma certamente non breve. Più o meno onerosa, ma certamente non lieve.
Così come la guerra contro il virus sta comportando un’ubbidienza coatta, e via via più stringente in chiave tecno-dittatoriale (i droni per la sorveglianza, i controlli sugli spostamenti dei cellulari, l’esercito per le strade), c’è da attendersi che un analogo “serrate le file” venga chiesto/imposto quando si tratterà di far riemergere l’economia interna dai crepacci in cui sta precipitando adesso, a causa del vastissimo blackout produttivo e commerciale.
Da un lato, al pari di ciò che accade ora, si farà leva sul senso di responsabilità e sull’orgoglio patriottico. Dall’altro, in una declinazione repressiva delle stesse nobili motivazioni, si sanzionerà chi dovesse dissociarsi dalle linee guida della nuova missione da compiere.
Chi si allinea ai comandi dei dittatori-per-necessità è un bravo cittadino che ha a cuore il bene comune.
Chi si ribella, o non si conforma di buon grado, è un pericoloso disfattista che danneggia non solo sé stesso, e i suoi cari, ma la collettività nazionale.
Un nuovo inizio. Fittizio
Lo avevamo già scritto pochi giorni fa: per capire ciò che sta accadendo, e ciò che ci aspetta, bisogna ricapitolare “le condizioni di partenza. Non sanitarie. Ma economiche e politiche”.
Problema fondamentale: il modello della globalizzazione che per i Paesi occidentali non è più sostenibile, tanto più quando i capitali preferiscono indirizzarsi sulla speculazione finanziaria nell’intento di lucrare profitti più repentini e più facili da ottenere con ogni sorta di trucchi. Debolezza accessoria: la vertiginosa perdita di credibilità delle classi dirigenti, a cominciare dai politici e dai giornalisti che li assecondano, quand’anche facciano mostra di criticarli.
Il Covid-19 serve a creare un nuovo inizio. Una illusoria discontinuità col passato, ovvero con le oligarchie che lo hanno plasmato per trarne il massimo vantaggio possibile.
Questo nuovo inizio presuppone che sia accaduto qualcosa di ineluttabile, come appunto la pandemia dichiarata dall’OMS, e che le ripercussioni socioeconomiche siano tanto vaste e gravi da riguardare tutti. Da impegnare tutti nel tentativo di superarle. Essendo il disastro ineluttabile, le oligarchie ne ricavano un provvidenziale beneficio: l’azzeramento delle loro responsabilità per i guasti che si sono accumulati finora. La flotta affonda ma non è colpa di nessuno. I naufraghi si stringono sulle scialuppe e accolgono benevolmente anche i capitani delle varie navi e gli ufficiali di bordo, e magari pure gli armatori: poiché, poverini, sono delle vittime anche loro…
Fateci caso: da Mattarella in giù fioccano i richiami alla solidarietà di popolo, alla comunità ritrovata, alla grandezza di noi italiani nei momenti di maggiore difficoltà. Uno è il nemico, l’infido virus arrivato da chissà dove, e una deve essere la risposta. Tutti noi cittadini dobbiamo stringerci “a coorte”, come da inno nazionale, e diventare un blocco unico. Compatto. Granitico.
E le precedenti disuguaglianze? Le gravi iniquità che si sono instaurate nel corso di decenni e decenni, accentuandosi ulteriormente dal 2008 in poi, e che di sicuro non hanno nulla di casuale? Le innumerevoli decisioni sbagliate e capziose di chi è stato ai comandi finora e adesso si guarda bene dall’uscire di scena?
Amen. Tutto dimenticato. Tutto cancellato con il doppio colpo di spugna della guerra imprevedibile. E della ricostruzione inevitabile.
Il piano è questo. Gli ordini da eseguire arriveranno col tempo.