Dopo il voto in Umbria la maggioranza rosso-gialla è minoranza nel Paese
Storica disfatta per l’alleanza M5S-Pd, che cede Palazzo Donini alla Lega. Resa dei conti nella maggioranza, che si ostina a non fare seria autocritica
La maggioranza rosso-gialla è minoranza nel Paese. È il ragionamento di praticamente tutte le forze di centro-destra, che hanno proiettato su scala nazionale il risultato delle Regionali dell’Umbria, conclusesi con la clamorosa affermazione della senatrice leghista Donatella Tesei: che ha distanziato il candidato “civico” Vincenzo Bianconi, sostenuto dall’alleanza di Governo M5S-Pd, di oltre venti punti percentuali (57,55% contro 37,48%, più precisamente).
Per i demo-grillini è una vera Caporetto, se si pensa che Palazzo Donini veniva da cinquant’anni di Presidenti di centro-sinistra. La débâcle è stata particolarmente marcata per il Movimento Cinque Stelle, che ha conquistato appena il 7,4% degli elettori, perdendo la metà dei voti che aveva cinque anni fa. E infatti è dai pentastellati che sono arrivati i commenti più duri, con il capo politico Luigi Di Maio che ha liquidato l’alleanza coi dem come un esperimento che «non ha funzionato e per me non è più praticabile».
Non sarà che un accenno di autocritica, ma è sempre più costruttivo di quanto abbia fatto il Partito Democratico: il cui segretario Nicola Zingaretti non ha trovato di meglio che dare la colpa della disfatta al «caos di polemiche che ha accompagnato la Manovra» – e, per buona misura, avrebbe confidato a un amico che «questa è l’eredità lasciata da Renzi».
Ça va sans dire, il Rottamatore non ha lasciato correre. «Una sconfitta scritta figlia di un accordo sbagliato nei tempi e nei modi» si è sfogato alla presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa. «Lo avevo detto, anche privatamente, a tutti i protagonisti. E non a caso Italia Viva è stata fuori dalla partita. In Umbria è stato un errore allearsi in fretta e furia, senza un’idea condivisa, tra Cinque Stelle e Pd».
Naturalmente, stare all’opposizione è sempre più facile che governare: tuttavia, dato che questi risultati si ripetono sistematicamente da quasi due anni, e considerato che per la prima volta è stata espugnata una delle Regioni rosse, aiuterebbe forse i dem scendere dal piedistallo su cui si sono protervamente autoinnalzati e riflettere seriamente sui motivi di questa protratta ostilità popolare.
La succitata espressione dell’altro Matteo, per dire, già può dare qualche (minima) indicazione: nessuna idea condivisa, nessun progetto comune, solo il timore di consegnare la Regione (e poi l’Italia intera) al centro-destra e al leader del Carroccio Matteo Salvini. Di fronte alla concretezza di un simile scenario, un leader vero elaborerebbe delle proposte, non si limiterebbe ad agitare spauracchi – oltretutto ridicoli proprio in virtù dell’alto gradimento della Lega.
Non a caso, la neo-Governatrice Tesei ha definito la propria impresa come «lo specchio di quello che vogliono, e che non vogliono, gli Italiani». Il Capitano e la leader di FdI Giorgia Meloni sono andati anche oltre, esortando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a porsi il problema di un esecutivo, il Conte-bis, «inviso al popolo italiano» – una vera e propria “opposizione di Governo”.
Da parte sua, l’Avvocato del popolo ha ostentato tranquillità, insistendo a derubricare le recenti elezioni come un test locale. «Sarebbe un errore» ha dichiarato, «interrompere questo esperimento per via di una Regione che ha il 2% della popolazione nazionale». Cosa che numericamente può anche essere vera, ma concettualmente poteva essere espressa in termini molto meno arroganti.
Come è stato fatto notare, per esempio, dalla Meloni: «Trovo scandaloso» ha tuonato la presidente di Fratelli d’Italia, «che Conte dica che valgono il 2% della popolazione. Loro che hanno fatto il Governo con 70mila persone che votano su Rousseau, che poi bisogna vedere se sono vere. Le 70mila di Rousseau vanno bene e i 700mila umbri no?»
Sia come sia, la situazione all’interno della maggioranza grillo-comunista è tornata estremamente fluida. Matteo Renzi, per esempio, avrebbe confidato ai suoi che dopo la Waterloo umbra «la legislatura è blindata». Il che è comprensibile, dal suo punto di vista – solo che non è affatto scontato che gli altri partner di Governo la pensino allo stesso modo.
Zingaretti, per esempio, potrebbe avere tutto l’interesse a staccare la spina al BisConte subito dopo l’approvazione della Legge di Bilancio: in questo modo, potrebbe (almeno) cointestarsi la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva e, soprattutto, otterrebbe di tornare alle urne prima che entri in vigore il taglio dei parlamentari – nonché la nuova legge elettorale che, essendo prospettata su base proporzionale, dovrebbe aumentare il potere contrattuale dei piccoli partiti. Così facendo, avrebbe molti più posti in lista da promettere ai suoi attuali parlamentari, e per eterogenesi dei fini metterebbe anche in grave difficoltà l’arcinemico Renzi, inchiodato intorno al 4% dai sondaggi più favorevoli e penalizzato anche dal voto con il Rosatellum (un sistema misto, sia proporzionale che maggioritario, che gli renderebbe molto più complicato fungere da ago della bilancia).
Guarda caso, il segretario dem ha stigmatizzato via social l’atteggiamento di chi non lavorerebbe all’unità della coalizione. «L’alleanza ha senso solo ed esclusivamente se vive in questo comune sentire delle forze politiche che ne fanno parte, altrimenti la sua esistenza è inutile e sarà meglio trarne le conseguenze».
Facile leggere tra le righe che la tentazione di abbandonare un accordo “scomodo” è piuttosto forte. E, come sosteneva già Oscar Wilde, «l’unico modo per resistere alle tentazioni è cedervi». Che il bi-Premier Giuseppe Conte (non) stia sereno.