Draghi al Quirinale, il grande balzo dipende dalle “onorevoli” pensioni?
Col Premier al Colle, sarebbe praticamente certa la fine della legislatura, e i parlamentari perderebbero la rendita. Ma il Corsera evoca due precedenti…
Cosa c’entra la possibile nomina del Premier Mario Draghi al Quirinale con le pensioni dei parlamentari? Apparentemente nulla, ma si sa che le apparenze spesso ingannano. E infatti non esiste solo un nesso, ma addirittura una sudditanza: nel senso che l’elezione del Capo dello Stato potrebbe dipendere da fattori, diciamo, eterocliti.
L’ipotesi Draghi al Quirinale
Il 3 febbraio 2022 terminerà il settennato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e dunque si aprirà ufficialmente la partita per il Colle. Partita che potrebbe avere dei protagonisti inattesi – onorevoli i cui interessi potrebbero, per così dire, non essere così onorevoli.
Il motivo sta in un’altra data, forse ancora più fatidica della prima: il 24 settembre 2022, quando scatteranno i 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura. E dunque gli eletti avranno diritto all’agognata pensione.
I due eventi, a prima vista completamente slegati, sono invece intimamente interconnessi, soprattutto nell’ipotesi che le Aule decidano effettivamente di “promuovere” SuperMario. Ipotesi che d’altronde circola da prima che il Capo del Governo accettasse l’attuale incarico, e che anche sua moglie, Maria Serenella Cappello, avrebbe informalmente confermato.
Se però l’ex numero uno della Bce compisse davvero l’inedito “grande balzo” da Palazzo Chigi, sarebbe praticamente certo lo scioglimento delle Camere. Che per deputati e senatori significherebbe dire addio alla rendita. O, a sorpresa, forse no.
Alte pensioni
Secondo il Corriere della Sera, i rappresentanti del popolo potrebbero vedersi riconosciuto l’assegno previdenziale anche in caso di urne anticipate. In merito, il quotidiano di via Solferino ha citato due sentenze emesse da altrettanti organismi parlamentari. Che, in base al principio dell’autodichia, deliberano in totale autonomia e in deroga alla separazione dei poteri costituzionali.
Per quanto concerne Palazzo Madama, il verdetto è stato depositato nel novembre 2020 dal Consiglio di garanzia presieduto dal forzista Luigi Vitali. Che, in estrema sintesi, ha concesso ai senatori la facoltà di pagare i contributi mancanti per arrivare a fine legislatura, così da maturare l’emolumento.
Più controverso il caso che riguarda Montecitorio, e in particolare il Consiglio di giurisdizione diretto dal dem Alberto Losacco. Che nell’ottobre 2019 riconobbe effettivamente il diritto alla pensione a dieci ex deputati che non ne avevano i requisiti. Si trattava però di parlamentari subentrati in corso d’opera, che avevano versato (almeno) tre anni di contributi ma non potevano completare il quinquennio.
Il collegio della Camera la considera una vicenda del tutto particolare, che non può essere evocata come precedente per la questione specifica. Però può comunque costituire un punto di partenza. In ogni caso, prima di poter eventualmente vedere Draghi al Quirinale, occorrerà pagare una… tassa di successione a Mattarella. Fortuna che ci sono le “alte pensioni”!