Droga. Stavolta parliamo di voi: cari e stramaledetti consumatori abituali
Le responsabilità delle narcomafie sono enormi e indiscutibili. Ma questo non rende incolpevoli i loro clienti
Bravo. O brava. Siccome hai voglia di sballarti un po’ esci di casa e vai a procurarti la droga. La cocaina. L’eroina. La pasticca chimica di turno. O di moda.
Bravo (o brava?). Siccome ti va di fare sesso con un minorenne, e magari così minorenne da essere un bambino o poco più, metti mano al portafogli e te lo procuri.
Che te ne frega delle conseguenze?
Che te ne frega delle implicazioni?
Nella società attuale non lo si fa quasi mai, di puntare l’indice sui consumatori di stupefacenti. O di quant’altro, come la prostituzione minorile, sia illegale ma molto meno sanzionato di quanto dovrebbe. Non ci si concentra quasi mai sul fatto che a tenere in piedi i relativi business e ad arricchire le relative organizzazioni criminali è il tranquillo cittadino che si preoccupa solo di soddisfare i propri desideri e se ne infischia di tutto il resto.
Nella società attuale ti tacciano di moralismo, se ti azzardi a farlo. Come se tu fossi un povero bacchettone frustrato e infelice che ce l’ha con quelli che invece se la spassano. Come se il tuo personale godimento consistesse nel vietare agli altri di coltivare i propri “innocenti” trastulli. Oppure, se non proprio innocenti, pur sempre umani. Umanissimi.
Ma il punto non è vietare. Il punto è ripristinare il senso di responsabilità per le cose che si fanno o non si fanno. E il primo passo, in questa direzione, è mettere bene in chiaro che i divieti del Codice penale non esauriscono affatto il numero e le tipologie di ciò che è riprovevole. Di ciò che è dannoso per i singoli individui. Per poi diventarlo, dannoso e degradante, per la società nel suo insieme.
Consentito o tollerato. Ma ignobile
Riconoscere la libertà soggettiva di fare un pessimo uso di sé, come avviene indubbiamente con le droghe pesanti e in particolare con le metamfetamine o altre porcherie sintetiche, non deve assolutamente risolversi in una totale mancanza di giudizio. Che dissolve, a sua volta, la consapevolezza che almeno su alcuni aspetti cruciali si può essere giudicati eccome. E che quasi ci sarebbe da augurarselo, come contrappeso alla propria incapacità di seguire una rotta proficua.
La chiave di volta, in una comunità sana (o meno malata possibile), è in una riprovazione collettiva verso i comportamenti autolesionistici. Ivi incluso il mancato sviluppo delle proprie potenzialità. La mancata cura del proprio corpo e della propria psiche.
Non una riprovazione gelida e sprezzante, che serve più che altro a gratificare e rassicurare chi la esprime, chi la scaglia, ma un richiamo a scuotersi. Un richiamo caloroso e fraterno, benché severo, a una condotta migliore.
Oggi siamo lontani anni luce (o anni ombra…) da questo genere di interazioni. Oggi l’asse portante è rientrare nei meccanismi della produzione e del consumo. Lavori, guadagni, consumi. E tra le tante merci che si consumano, okay, c’è pure la droga. O il sesso a pagamento, che certo non è lecito con i/le minorenni, ma che tende a essere riassorbito nello stesso calderone. Nello stesso megamarket degli svaghi con cui controbilanciare l’insensatezza e le delusioni delle proprie vite normali.
Perché è quello l’obiettivo. Quella è la priorità. Che nessuno scenda dalla giostra e si ribelli al girare e girare e girare, senza mai avanzare di un metro sulla strada della realizzazione interiore.
In parte siete le vittime, cari e stramaledetti consumatori abituali di droga. Ma non è sufficiente a rendervi incolpevoli. E non vi autorizza a rifugiarvi nel comodissimo alibi del “basterebbe legalizzare tutto e il narcotraffico sparirebbe”.
Oggi quella legalizzazione, o liberalizzazione, non c’è.
Oggi, ogni volta che andate in cerca della vostra adorata dose, armate la mano dei criminali che producono, che importano, che smerciano.
Bravo. Brava.
Continuate così. Continuate a fare finta di non saperlo.