E’ ufficiale: il 90% dei femminicidi sono a casa e commessi da partner o ex
I femminicidi e le violenze in famiglia vedono spesso chi fa violenza, che nell’infanzia ha subito a sua volta maltrattamenti dai genitori
Assistiamo ancora una volta a un caso di femminicidio; una guardia giurata di Torino ha ucciso l’ex moglie sparandole con la propria pistola d’ordinanza. L’omicidio si è consumato nell’appartamento della coppia, in un quartiere del capoluogo piemontese. Sembrerebbe che l’uomo di 50 anni avrebbe impugnato la pistola durante una lite con la ex per poi ucciderla con 5 colpi. La vittima aveva 48 anni e si era separata dal marito da pochi mesi.
Una società che resta spettatrice di “affetti malati”
Secondo l’Istituto di Statistica, il 90% circa degli episodi di femminicidio sono avvenuti all’interno delle mura domestiche e commessi da partner o ex. Il dato sulle uccisioni delle donne è stato confermato nel rapporto del servizio analisi criminale della polizia di stato. Dallo studio è emerso un aumento delle vittime di sesso femminile rispetto al totale degli omicidi commessi. Sono questi rapporti e questi numeri a dire che siamo diventati spettatori di “affetti malati” che si consumano all’interno di relazioni sempre dinamicamente simili in cui troppo spesso l’amore si trasforma in possessione.
La paura, protagonista della sottomissione psicologica
“Andare via di casa è davvero difficile. Anche se ne hai voglia è dura, molto dura. “Perché ci sono le rappresaglie e le minacce” questo è quello che afferma Linda, vittima in passato di violenze coniugali e maltrattamenti. Nelle maggior parte dei casi la donna è vittima del controllo psicologico praticato dal marito. Un processo di soggiogamento che precede spesso la violenza fisica; sempre simile la dinamica. L’uomo esercita sulla partner un controllo assoluto fino a considerarla una sua proprietà.
Quando poi arriva la richiesta di separazione l’uomo si sente sopraffatto, defraudato del proprio bene e non più proprietario, tanto da eliminare per sempre ciò che non può essere più suo. Anche per questo la separazione diventa una delle più frequenti cause del femminicidio.
Il femminicida, un profilo psicologico conosciuto
In riferimento alle strutture di personalità di uomini abusanti o di coloro che hanno commesso femminicidi, molti criminologi le riferiscono a fattori basati sul caratteristiche ben precise come prepotenza, possessività e aggressività tutti elementi dettati dal panico dell’abbandono e altresì fondate sulla mancata considerazione dell’altro con i suoi diritti e le sue esigenze.
L’impulsività è uno degli elementi più rilevanti che possiamo trovare nell’uccisione di una donna. Il femminicidio impulsivo “rappresenta” la minaccia per la perdita di qualcosa che appartiene. La rabbia esplosiva e l’impulsività che trasforma la rabbia stessa in comportamenti di attacco e violenza espressa sono date dalla sensazione di abbandono che l’uomo avverte quando la donna vuole separarsi da lui; questo dà vita a un sentimento di disperazione, di fallimento e di solitudine.
Un uomo sano è capace di accettare il dolore della separazione; chi invece non lo è, attribuisce la colpa all’altro e quindi a colei che fino a poco tempo fa rappresentava il proprio bene da possedere. L’uomo che commette un femminicidio è sottomesso alla propria rabbia; non è capace di governarla e la fa esplodere agendo con estrema violenza.
La violenza contro le donne può essere di diverso tipo
(Da un’analisi riportata su Il giornale delle scienze psicologiche)
-Impulsiva preterintenzionale (ho intenzione di fare del male ma non di uccidere, mi arrabbio, do un pugno, la ragazza cade, batte la testa e muore).
-Impulsiva e basta (ho intenzione solo in quel momento di uccidere, mi fa arrabbiare, perdo il lume della ragione e la strozzo, lei muore).
-Strategica, Paranoidea (ho un piano di assassinio preparato da giorni: aspetto la mia ex donna che mi ha lasciato, dietro un cespuglio, lei arriva e io l’ammazzo).
-Di gruppo (con un gruppo di maschi dopo avere bevuto molte birre, ci prendiamo una ragazza e la violentiamo insieme, poi la buttiamo giù dalla macchina e lei muore).
-Da fallimento della grandiosità narcisista (come si permette una come lei che avevo raccolto per strada di sfidarmi o lasciarmi, questa umiliazione, questa perdita della faccia è per me insopportabile e la uccido).
-Antisociale / Amorale (Mi ha stufato, non mi serve più, ho un’altra più giovane e più bella, la uccido e così sono libero).
La violenza intra-familiare vede nella maggior parte dei casi un maltrattante che a sua volta, durante l’infanzia, ha subito maltrattamenti dai propri genitori o accuditori. Kernberg affermava infatti: “I bambini maltrattati sviluppano maggiore dipendenza dai genitori abusanti e tendono a riprodurre i rapporti di maltrattamento nell’ età adulta”.
L’ unica vera soluzione si chiama prevenzione
Il femminicidio di Torino rappresenta purtroppo solo l’ennesimo tragico episodio di una lunga lista. Una lista davvero spaventosa ormai. I numeri sono quelli di un vero e proprio eccidio. Sensibilizzare l’opinione pubblica è importante ma dai dati che abbiamo l’escalation non tende a fermarsi. E allora? Allora bisogna investire ancor più sulla prevenzione facendo campagne a tappeto sull’argomento, informando e incoraggiando la donna da una parte e agendo sul modello maschilista e patriarcale dall’altra. Bisognerebbe sensibilizzare gli uomini, rendendoli più consapevoli e partecipi delle proprie e altrui emozioni.
Alle donne si deve trasmettere il coraggio di porre fine ai rapporti con uomini che assumono comportamenti violenti; devono imparare a saper cogliere i segnali prima che diventino tragedie. C’è bisogno del coraggio di parlare e la forza di chiedere aiuto. La violenza di genere può assumere diversi volti: può essere espressa attraverso una minaccia, un’azione di stalking, una spinta, un calcio, uno schiaffo, un pugno o più semplicemente un’offesa; atteggiamenti tutti che devono essere riconosciuti per saper leggere ciò che si può nascondere dietro la manifestazione di amore.
Il trauma subito dai bambini
La violenza non è mai un fenomeno circoscritto agli attori principali ma le sue conseguenze escono dal circuito di vittima e carnefice fino al coinvolgimento dei bambini che vivono tutto o che peggio assistono all’uccisione della propria madre. Siamo consapevoli del trauma che subiscono? Crescere in tali realtà provoca non solo sofferenza e traumi ma anche disturbi emotivi, comportamentali e sociali.
Il clima della violenza può indurre a generarne altrettanta o reprime la vita negli angoli più bui del proprio essere, oscurando ogni traccia di speranza. Ognuno di noi ha la responsabilità di ricostruire il riconoscimento dell’umano che il prossimo merita. È questo il male della modernità. L’altro non è un oggetto, tanto meno un oggetto da possedere.
Misurare le relazioni per non ridimensionarle ad un processo esclusivamente autoriferito.
Con la collaborazione della Dottoressa Sara Pugliese