Ecco perché l’assessore ai Trasporti Improta dovrebbe dimettersi
Mozione di sfiducia del M5S Roma nei confronti dell’assessore ai Trasporti di Roma Capitale Guido Improta
Il Nobel no, ma una mozione di sfiducia all’assessore ai Trasporti di Roma Capitale Guido Improta, non gliela leva nessuno. Era stato lo stesso Improta, infatti, a dichiarare (solo scherzosamente, vogliamo sperare) di volersi autoassegnare il Nobel ai Trasporti. Un paradosso, dal momento che “sono tante e gravi le vicende che hanno visto attività afferenti l’ambito degli interessi pubblici affidati all’assessore alla Mobilità e Trasporti, al centro delle cronache per decisioni sull’utilizzo di denaro pubblico a dir poco discutibili”. A denunciarlo a chiare lettere, il Movimento 5 Stelle di Roma – consiglieri Marcello De Vito, Daniele Frongia, Virginia Raggi, Enrico Stefàno – che ha deciso di chiedere la testa di Improta con una mozione di sfiducia.
Da dove partire? Dalla “vicenda dei lavori per la realizzazione della metro C in cui la mancata applicazione delle norme del Codice dei Contratti e le inspiegabili decisioni prese dall’assessore Improta a fronte di un contenzioso che non poteva lasciare spazio a dubbi rispetto alle ragioni giuridiche in campo, ha determinato varianti di progetto e accordi transattivi che hanno fatto immotivatamente lievitare il costo dell’opera da 2.2 mln di euro originari a circa 3 mln”. Cifre da capogiro, che però sembrano non far più impallidire l’opinione pubblica, ormai abituata ai grandi sprechi. Ma non c’è solo la metro C, c’è anche “l’ingiustificata richiesta di denaro (ulteriore, ndr) del revisore dell’azienda ATAC, Renato Castaldo”. Per non parlare della “presentazione di un piano di risanamento aziendale da parte di ATAC che vede unicamente taglio delle linee, licenziamento degli autisti e dunque solo riduzione drastica delle spese di esercizio a tutto discapito della collettività”.
Sono questi i motivi che hanno spinto il M5S Roma, vista “la totale assenza di un indirizzo politico da parte dell’assessore Improta” in merito alla politica della mobilità dei trasporti nella Capitale, che pure costituiva un vessillo della campagna elettorale dem – promesse e buoni propositi rimasti solo sulla carta – a chiedere al “sindaco e alla Giunta di revocare” a Improta il suo incarico.
CAPITOLO METRO C. Una mozione di sfiducia, quindi, che mette nero su bianco tutte le criticità dell’impianto delle politiche sui trasporti di Roma Capitale. A partire proprio dalla metro C, vicenda in cui gioca un ruolo fondamentale la figura del General Contractor, ovvero Metro C ScpA, progettista ed esecutore della nuova linea metropolitana. Metro C ScpA, nel corso del tempo, e già solo dopo un anno dalla “stipula del contratto avvenuta nell'ottobre del 2006”, ha “iscritto numerose riserve negli atti contabili” che, nel tempo, hanno generato una serie di contenziosi “composti in via transattiva attraverso la sottoscrizione di due accordi bonari” e che hanno comportato “il riconoscimento sia di modifiche al programma dei lavori, sia di maggiori finanziamenti”.
Il Comune di Roma ha costituito una società, la Roma Metropolitane Srl, “quale soggetto su cui accentrare le responsabilità connesse al supporto per la realizzazione dei lavori della Linea C”. La stessa Roma Metropolitane, nella scorsa consiliatura, fu “ ‘ripresa’ dall'allora assessore pro tempore alla Mobilità e Trasporti Antonio Aurigemma che, lamentando la ‘più completa autonomia’ di gestione adottata da Roma Metropolitane nei rapporti con l'appaltatore, avocava a sé medesimo il potere di verifica e di controllo di atti e/o attività inerenti la gestione del contenzioso”.
La figura del Contraente Generale, introdotta dalla L. 443/2001 per “snellire e accelerare i tempi di realizzazione delle opere pubbliche strategiche”, si riferisce “a un soggetto organizzato in modo da garantire alla pubblica amministrazione committente la realizzazione del lavoro ‘chiavi- in-mano’ occupandosi anche direttamente della progettazione e della gestione della fase realizzativa dell'opera”. Quindi, dal momento in cui il General Contractor assume su di sé le “funzioni di progettista, costruttore e in parte di finanziatore dell'opera”, di conseguenza subentra integralmente nella “ responsabilità economica, facendosi carico anche del rischio economico dell'opera”.
La posizione giuridica del contraente generale, così come è stata spiegata, “è riconosciuta anche dall'attuale assessore alla Mobilità Improta che in una nota datata luglio 2013, afferma: ‘Non può non tenersi nella debita considerazione che (…) il Contraente Generale è autore della progettazione esecutiva e, in parte, della progettazione definitiva degli interventi, sicché non sembrano rituali, e comunque ammissibili, eventuali riconoscimenti in favore del medesimo (…)’ ”.
Inspiegabilmente, però, lo stesso Improta – nonostante l'intervento di ben due accordi transattivi sottoscritti nella precedente consiliatura che riconoscevano al consorzio Metro C l'introduzione di ben 45 varianti al progetto originario e maggiori somme per importi considerevoli – ha nuovamente ritenuto di dover affidare a Roma Metropolitane “la valutazione di una nuova ipotesi transattiva ritenendo che l'assessorato stesso non potesse ‘procedere a valutazioni di carattere tecnico-specialistico, né essendo istituzionalmente a ciò deputato’ ”.
Questo, ha comportato che in data 9 settembre 2013, autonomamente e senza l'assenso preventivo degli enti finanziatori, Roma Metropolitane e Metro C hanno “stipulato un ulteriore accordo bonario, il terzo (in deroga al Codice dei Contratti), definito ‘Atto Attuativo’ ”. L’atto, è però definito erroneamente ‘attuativo’: si tratta in realtà di un atto novativo, in quanto riconosce a Metro C ulteriori 90 milioni di euro non previsti. Per questo, l’atto è stato fatto oggetto di un esposto alla Corte dei Conti, ancora una volta siglato M5S Roma.
Non solo. “Il suddetto Atto Attuativo non ha superato il vaglio della Struttura Tecnica di Missione del Ministero Infrastrutture e Trasporti”, fatto che ha svuotato sostanzialmente di significato e di efficacia l’atto, che “prontamente si manifesta per quello che è: un ulteriore ed ingiustificato aumento dei costi per la realizzazione dell'opera”. Lo stesso Ministero dei Trasporti, ha affermato che “la richiesta costituisce domanda di ulteriore transazione tra le parti e che pertanto, nelle more di una valutazione in merito, qualsiasi iniziativa assunta da Roma Metropolitane impegna esclusivamente la sua responsabilità e cioè la responsabilità di Roma Capitale in quanto unico socio azionista”. Risultato: “il maggior onere derivante dal terzo accordo transattivo, in aggiunta a quanto già riconosciuto al General Contractora fronte dei precedenti accordi, ammonterebbe ad ulteriori 90 min di euro”, facendo lievitare, insieme a tutte le varianti e agli altri accordi transattivi, il costo dell’opera da 2,2 milioni di euro a 3 milioni di euro.
Da ricordare come l’allora ex assessore al Bilancio Daniela Morgante, avesse rilevato “l'irregolarità degli atti prodotti”, non ritenendo pertanto di dovere ulteriori somme a Metro C, “poiché estranee al precedente Accordo Transattivo”, e ha “perciò negato il rilascio della certificazione di regolarità amministrativa della liquidazione ai fini del pagamento”. Il resto della storia è nota a tutti: i rapporti tra la Morgante e Marino, nonché la Giunta di Marino, si inaspriscono e l’ex assessore rassegna le sue dimissioni.
CAPITOLO SUPER COMPENSI. Chiuso il capitolo metro C, apriamo quello dei super compensi. La denuncia, lo scorso 3 Luglio, è partita da Il Fatto Quotidiano: in un articolo dal titolo ‘ATAC Roma il tesoro del Sindaco revisore più pagato del mondo’, si rendeva noto il caso riguardante l'emolumento record pagato al sindaco Renato Castaldo, revisore dell'azienda ATAC, nominato dall'Assemblea Capitolina, quale azionista unico, “con deliberazione del 29 luglio 2010 per un triennio e successivamente riconfermato nell'Assemblea del 23 luglio 2013 per un ulteriore triennio”, nonostante lo stesso Castaldo avesse già fatto presente di voler rimodulare il suo onorario.
Castaldo, infatti, successivamente al conferimento del primo incarico ha fatto richiesta di “un aumento di € 460.000,00, per il periodo da luglio 2010 ad aprile 2013”. Di fronte al diniego del Socio, ritenendo le somme “non dovute a mente dell'art. 2402 cc”, Castaldo, “continuando a ricoprire la carica di membro del Collegio sindacale di ATAC, ha minacciato di intraprendere un'azione giudiziaria”. Minaccia di fronte alla quale, si è pensato bene di cedere: “Il 22 novembre 2013 veniva formalizzato dall’ad di ATAC Danilo Broggi un accordo transattivo con Renato Castaldo per il riconoscimento in suo favore della somma di € 360.000,00 a titolo di integrazione dei compensi maturati da luglio 2010 ad aprile 2013 ‘al fine di scongiurare un contenzioso giudiziario con il Dott. Castaldo, ossia un componente del Collegio Sindacale in carica’, come affermato nella nota dell’ad Broggi del 23 settembre 2014”.
L’assessore alla Mobilità Guido Improta, ancora una volta, non ha storto il naso. “Audito nel corso della seduta della Commissione Trasparenza del 24 settembre 2014, ha affermato che ‘ATAC è società in situazione di oggettiva difficoltà. II rappresentante del Collegio Sindacale può condizionare in maniera significativa il suo andamento…’ ”. E ancora, ha dichiarato che “ ‘non si può gestire un'azienda in procedura 2446 cc. con il collegio sindacale che, se non collabora…’ ”. Solo successivamente, è stata chiesta la restituzione, a Castaldo, “di quanto percepito in forza dell'atto transattivo del 22 novembre 2013”.
Insomma, sembra che l’assessorato di Improta sia destinato a rimanere nella storia per la sua “passiva condiscendenza” – per dirla con le parole della mozione M5S – a danno dei contribuenti romani, ca va sans dire. E avrebbe anche voluto autoassegnarsi il Nobel ai Trasporti?