Ecocatastrofismo, il 2020 tra gli anni più caldi malgrado il crollo della CO2
Nonostante la maggior riduzione delle emissioni di sempre, la temperatura globale è aumentata di 1°: però si prendono folli decisioni economiche sulla base di un’ideologia
Tana (di nuovo) per l’ecocatastrofismo. Stavolta, a svelarne gli altarini sono state due agenzie internazionali che hanno ancora una volta fatto strame della correlazione tra CO2 e riscaldamento del pianeta. Dimostrando, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno, che il peggior nemico dei teoremi ambientalisti è la realtà.
Tana (di nuovo) per l’ecocatastrofismo
«Il 2020 si è classificato come secondo anno più caldo nella serie storica, con uno scostamento della temperatura globale dalla media pari a +0,98°C». Lo ha attestato la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), ente statunitense che si occupa di oceanografia, meteorologia e climatologia.
Dato che sembrerebbe portare acqua al mulino dell’affermazionismo, se non fosse per un piccolo, insignificante dettaglio. Nell’anno del Covid-19 (ovvero dei lockdown), come ha certificato l’International Energy Agency (IEA), si è registrata la maggior riduzione delle emissioni di CO2 di sempre. Una riduzione pari al doppio della somma di tutti i precedenti cali a partire dal Secondo Dopoguerra.
In altre parole, siamo di fronte alla pistola fumante contro l’equivalenza tra calore e anidride carbonica – quindi contro il global warming di origine antropica. Il climate change, infatti, è sempre esistito e sempre esisterà, e l’idea che l’uomo abbia sul clima un’influenza così dirompente resta una congettura indimostrata.
Basti pensare che il picco termico di ogni tempo, l’optimum climatico dell’Olocene, venne raggiunto 8.000 anni fa. Mentre in epoca romana le temperature erano più alte di oggi malgrado la minor concentrazione di CO2, come spiegò Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica e senatore a vita.
Forse è per via di queste considerazioni che Bill Gates, appena un anno fa, ha acquistato per 43 milioni di dollari una villa in California, fronte oceano. O forse è solo che, dopotutto, neppure i guru dell’ecocatastrofismo sono così spaventati dalle (loro stesse) eco-balle.
Green di rabbia
Il problema è che, a dispetto della scienza, la politica si basa proprio sull’ecocatastrofismo per prendere scelte scellerate, soprattutto a livello economico. Il non plus ultra è l’European Green Deal, il folle pacchetto climatico recentemente approvato dalla Commissione Ue che persegue traguardi semplicemente utopistici. Come vietare le auto a combustibile dal 2035, e ridurre del 55% le emissioni di CO2 entro il 2030 per raggiungere la cosiddetta “neutralità climatica” nel 2050.
Obiettivi che l’esecutivo comunitario, come ha ricordato il vicepresidente olandese Frans Timmermans, ha reso degli obblighi legali. Peccato che né lui né il presidente Ursula von der Leyen ne abbiano illustrato i costi, che ricadranno soprattutto su famiglie e ceto medio. Direttamente, sottoforma di impennata del prezzo del carburante e delle tasse sul riscaldamento domestico – ma anche indirettamente.
Intanto perché le industrie europee, che saranno gravate da un dazio sul carbone, verosimilmente delocalizzeranno all’estero, facendo crescere i costi di certi beni. E poi perché alcune imprese nostrane, impossibilitate a riconvertire la produzione, saranno costrette a chiudere. Come da avviso ai naviganti lanciato dai Ministri dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e degli Esteri, Luigi Di Maio.
Dulcis in fundo, la società di consulenza strategica Bain & Co. ha stimato che la transizione ecologica «può richiedere investimenti in Italia per 3mila miliardi di euro». Appena qualche spicciolo in più dei circa 200 miliardi del Recovery Fund.
Tutto ciò implica che intere generazioni e intere categorie rischiano di essere sacrificate sull’altare dell’ideologia verde. E spiegherebbe perfettamente l’eventualità che, deal o pass che sia, il colore green non venga più associato alla speranza, bensì alla rabbia. O, al massimo, ai portafogli vuoti.