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El prete villero

Papa Francesco mi piace perché è figlio di emigranti italiani, di Domenico Politanò

Per molti, l’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio a Papa, è stata una sorpresa: per me, no.
Alcuni giorni fa, facendo lezione di Storia ai miei alunni della terza ragioneria, dell’Istituto Giacomo Leopardi, in Via dei Colombi, a Roma, ho finito, inevitabilmente, per parlare delle dimissioni di Benedetto XVI e del conclave. Non potevo sfuggire al commento associativo, giacché stavamo parlando di Celestino V e di Bonifacio VIII.
I giovani, approfittando del tema, mi hanno chiesto una ‘previsione’ sul nome del futuro papa. D’impeto ho detto: “Jorge Mario Bergoglio”. E poi (rischiando) ho aggiunto: “E la ‘selecciòn’ argentina vincerà il prossimo Mundial.”.
Stamattina, all’ora d’entrata, i ragazzi mi hanno accolto in aula con ampi sorrisi; misti però ad ‘aria minacciosa’. Mi hanno stretto, come ogni giorno, la mano, e poi hanno proferito in coro: “Prof. Lei ha indovinato la previsione sul nome del Papa. Adesso, ci auguriamo, che sbagli la seconda; altrimenti non la vorremo più come insegnante.”. Abbiamo sorriso tutti, con gaudium magnum.

Come italoargentino interessato amorevolmente a tutto ciò che accade in quella meravigliosa terra del Sud America, non potevo non conoscere l’importante percorso umano dell’arcivescovo di Buenos Aires. Lo seguo da decenni ormai. L’Argentina, pur se ha nove volte la superficie dell’Italia, è come un grande paese, dove alcune persone si conoscono non solo in superficie. I primi istanti dopo l’annuncio del nome sono stati strani. Vi è stato un attimo preciso in cui la coscienza ha perso il controllo sulla realtà. Avevo sentito bene? “Jorge Mario?” (il cognome non lo avevo sentito proprio). Si trattava dell’arcivescovo ‘porteño’? O il mio forte desiderio mi stava facendo un brutto scherzo? No!No!No! Non stavo sognando! Ero sveglio! Il nuovo papa era Jorge Mario Bergoglio. L’emozione, dopo tante ore dall’elezione, non è ancora svanita.

La scelta del nome Francesco, dovrebbe essere legata a San Francesco d’Assisi oppure al gesuita Francisco Javier; ma questo non ha importanza. Ciò che importa veramente è il richiamo alla memoria dei valori cristiani che entrambi evocano.
Voglio riprendere alcuni frammenti di ciò che questo gesuita ha detto in diretta televisiva, ai presidenti argentini, che si sono susseguiti nell’ultimo trentennio, durante i loro insediamenti. Alcuni brevi brani, ci svelano il mondo bergogliano.
A Menem, nel 1989, disse: […] “Il santo padre, ci avverte, che sembra profilarsi un modello di società in cui i potenti emarginando e soprattutto eliminando i deboli…”[…]
A De la Rua, nel 1999: […] “il sistema è caduto in un cono d’ombra: l’ombra della sfiducia. Alcuni enunciati suonano a corteo funebre. Tutti consolano i parenti ma nessuno alza i morti.”

A Duhalde, nel 2002: […] “numeri, statistiche e variabili di un ufficio di collocamento: non toccano il cuore. E mentre la distruzione cresce, ‘cercano’ argomenti per giustificare e chiedere più sacrifici, ‘scusandosi’ con la solita frase: ‘Non resta un’altra via d’uscita.’.”
A Nestor Kirchner dal 2003 e a Cristina Fernandez de Kirchner, fino all’attualità, altre cose ritenute ‘scomode’ al punto che ‘la presidenta’ sembrerebbe non essere contenta per nulla del primo Papa argentino della storia.
Jorge Mario Bergoglio lotta da sempre contro i cartelli della droga e della tratta di donne. Parla in modo chiaro, diretto, senza perifrasi. Non ha paura. Va in visita alla Villa 31, che non è un luogo come Villa Borghese, ma una ‘villa miseria’, una bidonville, o come si vogliano definire questi agglomerati di lamiere e cartoni e legni corrosi dai topi e fango e degrado che sorgono intorno all’opulenta ed europea Buenos Aires. Don Jorge, beve ‘mate amargo’ con ‘los villeros’, lava i piedi agli ammalati di AIDS, ha sempre una parola buona ed accogliente per tutti gli esclusi, è stato accanto ai sopravvissuti della tragedia della Confiteria Cromagnon, dove perirono più di 200 giovani. Don Jorge, ama il tango, il futbol e ha amato pure una donna. Raccontano che le scrisse. “ O sto con te o mi faccio prete.”. La ragazza, dalla tensione fece in mille pezzi la lettera. Una storia tenera, umana.

Papa Francesco mi piace perché è figlio di emigranti italiani, torinesi e genovesi, grandi ‘razze’. Mi piace perché ha dimostrato che anche per i più poveri vi è una speranza, vi è sempre un’altra possibilità. Mi piace perché ha dimostrato ancora che lo studio e il rigore non tradiscono mai. Mi piace perché è un uomo di ‘barrio’. Mi piace perché non dimentica di essere un uomo comune e viaggiava (fino a pochi giorni fa) a piedi, o in bus o in metropolitana. Mi piace perché a Roma è arrivato da solo con una piccola valigia. Mi piace perché dopo essere stato eletto Papa è passato in albergo a pagarsi il conto, e a prendersi da solo la sua roba. Mi piace per tante altre piccole sfumature. Spero solo che non cambi. Soprattutto noi cristiani abbiamo bisogno di punti di riferimenti alti, che aderiscano veramente alle parole di Cristo; abbiamo bisogno della ripresa di un vero dialogo interreligioso, sull’esempio di Francesco d’Assisi. Gli auguro, per finire, che abbia la forza di sopportare le calunnie, che i corrotti e gli oligarchi del mondo, già stanno mettendo in atto contro di lui.

 

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