Emanuela Orlandi, un caso di lupara bianca in Vaticano, 22 giugno 1983
Il caso di Emanuela Orlandi segna, almeno sotto il profilo temporale, la crisi irreversibile della Chiesa Romana, del cattolicesimo politico
I mitici anni 80, vissuti con l’euforia di un benessere diffuso che avremmo pagato a caro prezzo dopo 30 anni nel vano tentativo di tenerlo in piedi con artifici finanziari e un indebitamento sconsiderato innalzato a sistema, hanno rappresentato l’ingresso ufficiale dello Stato del Vaticano nella classifica del crimine internazionale.
La sparizione di Emanuela Orlandi
Non tanto per la residenza anagrafica della vittima, o per l’impiego lavorativo presso la Santa Sede del padre, quanto per i risvolti investigativi nel corso degli anni. Le cui piste, a ragione o a torto, hanno sempre interessato luoghi, personaggi e interpreti di un dramma che Roma ha sempre mostrato di vivere quale ospite e spettatore, quasi a non voler “interferire” con le dinamiche ed i “segreti” di un altro Stato.
Di Emanuela Orlandi si è persa ogni traccia fisica dal 22 giugno 1983, ma da quel giorno la sua scomparsa venne ricollegata ad una fittissima rete di fatti e intrighi internazionali facendo allontanare sempre di più ogni plausibile speranza di ritrovarla. Probabilmente, tra le mille ipotesi avanzate a diverso titolo dagli inquirenti, dai giornalisti assegnati al caso, dai familiari o semplicemente dall’opinione pubblica, c’è quella giusta o forse no. Sicuramente, forte è il sospetto, alimentato da alcune circostanze inequivocabili, di un coinvolgimento fattivo da parte di un “potente” della Città del Vaticano.
Forse un segreto inenarrabile
Fortissimo è il sospetto che qualcuno abbia coperto un segreto inenarrabile, ancor più imbarazzante della sepoltura con tutti gli onori di uno dei capi della Banda della Magliana,“Renatino” De Pedis, nella Chiesa di Sant’Apollinare in cui si cercarono invano i resti della ragazza. Ancora più compromettente del crack del Banco Ambrosiano con in pancia i soldi dello IOR e della Mafia. E ancora più compromettente degli scandali di pedofilia che iniziavano a emergere nelle varie sedi del cattolicesimo sparse in tutto il mondo. Infatti, se bene o male, di tutti questi fatti, comunque un qualche straccio di verità si è potuto produrre, nulla si è riusciti mai a portare alla luce sulla scomparsa di Emanuela.
Tanto meno i suoi fragili resti, cercati e mai trovati, inseguiti ma sempre sottratti da una mano occulta e spietata, arrivata sempre per prima sul luogo di un delitto che sembra ripetersi nel tempo ogni qual volta arriva una segnalazione verosimile. Che sia l’indicazione di una pista (vedi le dichiarazioni nel 2012 del noto prete esorcista Padre Amorth che affermava la tesi che Emanuela Orlandi fosse morta di overdose durante un’orgia di pedofili in Vaticano) o del luogo di conservazione delle spoglie (vedi l’ispezione di due tombe nel cimitero Teutonico risultate “vuote “, autorizzata con grande ritardo), si ha sempre l’impressione che qualcuno possa provvedere in anticipo a cancellare qualunque possibile traccia ed allontanare colui che cerca dal punto di snodo della verità.
La crisi irreversibile della Chiesa Cattolica Romana
Di certo il caso di Emanuela Orlandi segna, almeno sotto il profilo temporale, la crisi irreversibile della Chiesa Romana, del cattolicesimo politico, dell’ideale “democratico cristiano” che aveva governato la società contemporanea dal dopoguerra al nuovo millennio. Ogni Papa eletto in questi anni ha dovuto fare i conti con questo imbarazzante caso di “Lupara Bianca”, nel tentativo di allontanare dalle menti di molti fedeli che la scomparsa di Emanuela altro non sia che un femminicidio di Stato. Fino ad oggi i dubbi permangono, tutti.
Ci piace sperare che un giorno, un nuovo rivoluzionario Pontefice, potrà dirci la verità, diradando i dubbi che hanno contribuito ad erodere la credibilità millenaria di una Chiesa affaticata e aggrappata ancora a vecchie logiche di potere gestite con intrighi e manipolazioni che nulla hanno di mistico.
Foto Pietro Orlandi Adn Kronos