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Emmanuel Carrère, la squassante attualità di una visione antichissima

Da un lato, Cristo, gli apostoli, Paolo, i primi quattro o cinque secoli di cristianesimo. Dall’altra, i 15 secoli di storia della Chiesa

L'Agnello mistico di Van Eyck

L'Agnello mistico di Van Eyck

La cultura europea e occidentale sembra essere arrivata al punto più basso della sua parabola. La decadenza, l’industria culturale, la globalizzazione neo-liberista e i social network danno l’impressione di aver soffocato il pensiero e la letteratura europei in una morsa senza scampo. Quasi che un gigantesco pitone di dimensioni planetarie stringesse l’espressione e la filosofia, impedendo alle nostre anime di respirare.

Inutile aggiungere che le risposte a questa situazione, sono il rimedio peggiore del male. L’aggressività militare della Russia si commenta da sé. Ad essa va il merito di aver fatto ricordare all’Europa l’esperienza della guerra, dopo il conflitto in Jugoslavia. Naturalmente, non c’è nessuna gloria in questo. La Cina condivide con la Russia una simile vocazione totalitaria, che unisce al Partito unico l’imperialismo economico e la sorte non voglia che esso si trasformi, domani, in imperialismo militare.

L’ultimo mago

Emmanuel Carrère (Parigi, 1957) è, almeno in ambito francese, uno di quegli scrittori a possedere ancora la forza per lasciarsi alle spalle tutto questo. Regalandoci dei libri veramente godibili, interessanti, non indegni della grande tradizione letteraria francese.

Sebbene abbia scritto anche romanzi, i suoi libri più audaci, originali, maturi, sono quelli in cui egli, implicitamente, fa i conti con quell’evento che è possibile definire come morte del romanzo. Se il romanzo è stato definitivamente consegnato all’industria culturale, ossia alla dimensione commerciale, ecco che, allora, non c’è niente di più avvincente della realtà.

Così è nato “L’Avversario” (2000, ed. it. Adelphi) – storia drammatica di un caso di cronaca. Ed è questo il perché di un libro come “Limonov” (2011, ed. it. Adelphi), biografia di un bizzarro e inquietante intellettuale e politico russo. O di un’opera come “Il Regno” (2014, ed. it. Adelphi), meditazione, in forma letteraria, sul cristianesimo. Ci soffermeremo, in questa nota, su quest’ultimo libro.

Ma bisogna, prima, aggiungere una parola sull’uomo Carrère. Egli non è un ex-magistrato o un ex-operaio che si è riciclato scrittore o romanziere, senza nessun apparente sussulto dello spirito. La sua esperienza di sé e dell’umanità è tormentata, angosciosa, mozza il respiro. Egli ha vacillato, autenticamente, su quell’Abisso che ha nome uomo.

Ha lottato come una furia: con le rappresentazioni del suo Io fallito, con le sue donne, con le sue zone di crisi, con il suo sogno di gloria, con la follia, con la psichiatria, con il pensiero del Male, con la madre, con la meditazione orientale e con il cristianesimo, infine. Del resto, è così in ogni scrittore autentico.

Una sfida ardua

Come è facile intuire, non è semplice trovare un libro sul cristianesimo che sia possibile definire libero. Soprattutto per chi vive a Roma, dove i duemila anni di dominio della Chiesa cattolica, si toccano con mano. Non solo, ma per noi uomini del XXI secolo della storia occidentale ed europea. Ovvero uomini postumi, laici, agnostici, atei, post-moderni e post-storici, che non hanno ricevuto il battesimo, né la comunione, né la cresima e nemmeno l’ora di religione a scuola.

Che non conoscono il catechismo e che, a Gerusalemme, non hanno voluto toccare il Muro del Pianto. Confessando, ad una guida turistica semi-svenuta e nell’indignazione degli amici ebreo-israeliani, che le religioni del Libro sono troppo lontane dalla realtà, per essere credute.

Dunque, se “L’anticristo. Maledizione del cristianesimo” (1888) di Nietzsche è troppo violento per essere vero. Se, viceversa, anche Simone Weil e Cristina Campo sono ancora confessionali. Se si esclude Heidegger, che conosceva molto bene la tradizione cristiana, ma ne ignorava, troppo preso dal fascino della dimensione greco-arcaica, il risvolto etico-pratico – non rimane molto.

Direi: la posizione di Goethe che apprezzava il cristianesimo dal punto di vista etico e che, attraverso la mistica cristiana, volle terminare il suo “Faust”. Alcuni passaggi fondamentali dell’opera di Hannah Arendt, grande studiosa di Agostino. Lo stupendo romanzo storico di Robert Graves, intitolato “King Jesus” (trad. it, “Io, Gesù”, Longanesi) del 1946. Il taglio mistico-sapienziale di Guido Ceronetti. Il recente “Sotto gli occhi dell’Agnello” (2022, Adelphi) di Calasso. Infine, il bellissimo libro di Carrère.

Dei ripetuti, inqualificabili, ultra-documentati, orrendi episodi di pedofilia ascrivibili alla Chiesa di Roma, si tace qui, appunto, per carità cristiana.

Dipanare l’intrico

L’interesse del libro di Carrère risiede in questo: egli ha avuto una fase da credente. Nella quale ha cercato, nel cristianesimo, un appiglio che lo salvasse dalle sue crisi psicologiche. Troppo diffidente verso la psicoanalisi (che pure Carrère ha frequentato) – ossia verso una dimensione di cura autentica – egli si è gettato, con tutto sé stesso, nel dogmatismo cristiano.

Ricavandone poco sul piano personale, ma molto per quanto concerne l’aspetto conoscitivo. Ma, per una persona libera come Carrère, sul piano culturale, spirituale, politico, è stato troppo. La Chiesa, il dogma, chiedono solo questo: di rinunciare. E ciò significa: rinuncia, nega, mutila te stesso! Ciò, per quanto concerne la prima parte del libro, intitolata, non per caso, “Una crisi”.

Per quanto concerne il resto dell’opera, si tratta di un’indagine libera, spassionata, personale, su quel momento cruciale dello spirito occidentale, che è la nascita del cristianesimo. Carrère conosce bene il suo tema e riesce a porre il discrimine fondamentale. Da un lato, Cristo, gli apostoli, Paolo, i primi quattro o cinque secoli di cristianesimo. Dall’altra, i quindici secoli di storia della Chiesa, che seguono la morte di Sant’Agostino. Con appendici, in ogni caso straordinarie, che rispondono al nome di S. Francesco, Dante, Pascal, Kierkegaard.

Verso il centro dell’enigma

La visione è grandiosa. Tra la cultura romana e quella ebraica, con forti innesti di spirito greco – si pensi all’incredibile prologo del “Vangelo di Giovanni” – nasce uno dei fenomeni spirituali più rilevanti della storia dell’umanità.

Ossia la predicazione di Cristo. Se il film di Mel Gibson, “La passione di Cristo” del 2004, piacque a Karol Wojtyła, ossia a Papa Giovanni Paolo II, che lo giudicò realistico, è perché nelle parti relative all’insegnamento di Gesù, emerge qualcosa di questo magistero enigmatico e straordinario. Degno di Socrate o del Buddha, ossia dei massimi maestri dell’umanità. È un merito del “Regno” di Carrère, permetterci di avvicinare quegli uomini profondissimi e misteriosi, in modo libero e umano.