Enrico Gasbarra, il PD e l’insostenibile leggerezza dell’essere
La carriera politica di Gasbarra inizia e si sviluppa con la DC para-andreottiana di Vittorio Sbardella, lo “squalo” dal passato missino
Quando nel Settembre del 1973, dalle pagine di “Rinascita”, il PCI di Enrico Berlinguer ufficializzava l’appoggio alla strategia politica morotea del Compromesso Storico, nessuno pensava che di lì a breve (34 anni nella storia rappresentano un fugace momento) ne sarebbe sorto un partito di governo, direi per antonomasia, denominato (con un americanismo impertinente) Partito Democratico.
I geni del Partito Democratico
In quei primi anni Settanta, suggestionati dalle vicende golpiste del Cile di Pinochet, senza mai rinunciare agli ingenti finanziamenti e all’influenza strategica dell’Unione Sovietica, i membri del “politburo” tricolore intuirono che, per poter esercitare qualunque forma di potere senza necessariamente inseguire idee di golpe, l’unica strada possibile fosse quella del grande abbraccio con la DC di Aldo Moro e dei suoi già presenti cattocomunisti.
Quella dichiarata disponibilità al compromesso da parte di un partito politico che fino a quel momento era stato unicamente forza di opposizione quasi rivoluzionaria, se poteva essere interpretata come una resa definitiva e come atto di tradimento (soprattutto da parte della Sinistra radicale) tanto da provocare la reazione eversiva degli “anni di piombo”, oggi va letta come lungimirante intuizione che ha trasformato l’opinione generale e la coscienza della maggior parte del pianeta comunista.
Per cui la sensazione di asservimento al potere dominante è diventata consapevolezza del proprio status di protagonisti e dominatori del potere indipendentemente dai numeri elettorali. Il PD odierno, dopo essersi liberato dall’ inutile quanto invasivo “quarantapercentista” Renzi, rappresenta l’effetto massivo del Compromesso Storico. In cui una sorta di “politician gender fluid” trova il terreno migliore per esercitare il potere e governare, anche senza il necessario suffragio, attraverso i meccanismi ben collaudati della Prima Repubblica, di cui ancora se ne attende la fine.
Il caso Albino Ruberti
Quanto fin qui esposto, trova plastico supporto nell’ultimo video “scandalo” della truculenta cena che ha portato al ritiro di alcune candidature eccellenti in area PD e alle dimissioni imposte di Albino Ruberti, Capo di Gabinetto del Sindaco di Roma Gualtieri oltre che figlio dell’ex ministro socialista ed ex Rettore dell’Università “La Sapienza” Antonio Ruberti. Oltre all’essere “figlio del padre”, il “Pugile” Ruberti è stato figlio degli anni d’oro di Veltroni prima, dell’ascesa di Zingaretti in Regione poi e dunque prima di fare il “gran ciambellano” nella riconquistata capitale dopo la parentesi pentastellata.
Vittima nell’occasione di “fuoco amico”, Ruberti, con il suo linguaggio e soprattutto con il suo agire, non rappresenta certo una novità. Né a lui va contestata la paternità esclusiva di un certo modo di gestire la cosa pubblica. Gli atti di certi personaggi, unitamente a quelle dei loro interlocutori nel video galeotto, sono solo il vissuto quotidiano di un canovaccio che fa capire come il “Compromesso Storico” sia diventato un compromesso infinito retto da dossier, giochi di palazzo, voto di scambio e affarismo che sfrutta il bene pubblico attraversando con facilità le ampie maglie di leggi dalle mille interpretazioni e potendo contare troppo spesso su una magistratura schierata o “distratta”.
La carriera politica di Enrico Gasbarra
Restano le facce pulite dei personaggi politici scelti per essere frontman di un sistema mai caduto. Nello specifico, il personaggio per cui Ruberti si è “incautamente” esposto per proteggerne l’investitura a successore di Zingaretti quale Governatore della Regione Lazio è Enrico Gasbarra, di cui si tende a ricordarne maggiormente la provenienza veltroniana (ricoprì il ruolo di Vicesindaco nella giunta del “ritirato” Veltroni) che gli fece ottenere la Presidenza della Provincia prima di diventare deputato e successivamente europarlamentare sempre nelle file del PD di cui risulta esserne uno dei fondatori.
Ciò che non viene mai ricordato nei curricula dell’informazione, tantomeno sul sito del PD né su Wikipedia, è che la carriera politica di Gasbarra, in termini di cariche acquisite per l’esercizio del potere, inizia e si sviluppa con la DC para-andreottiana di Vittorio Sbardella. Lo “Squalo” dal passato missino che nel decennio antecedente l’epopea di “Mani Pulite” con il suo ristretto gruppo di fedelissimi dal passato profondamente di Destra egemonizzò la politica romana e laziale. Fino a diventare un punto di riferimento su base nazionale, soprattutto di quel mondo cattolico riconducibile a Comunione e Liberazione che mal digeriva le politiche dei cattocomunisti, precursori dell’attuale PD.
Con Pietro Giubilo Sindaco (lo sbardelliano mite e umile che prima di assumere il ruolo di primo cittadino della Capitale era il tuttofare fedele di “Vittò”), Gasbarra è infatti Presidente della Prima Circoscrizione capitolina e inizia a tessere la tela che lo porterà ad una brillante carriera politica sempre volta alla ricerca e alla gestione del potere. E che gli consentirà di essere sempre un personaggio “giusto” per gli scouts delle nomine. D’altra parte, dopo Mani pulite, l’unica alternativa per non esserne travolti , a ragione o a torto, era proprio quella di confluire con gli ex comunisti diventati democratici che in una controversa alleanza con buona parte del mondo cattolico erano stati solo sfiorati dall’azione giudiziaria di Di Pietro e il resto del pool.
Il pedigree sbardelliano
Attenzione, Enrico Gasbarra non proviene direttamente dal citato gruppo di ex missini ma, sicuramente all’epoca ne aveva capito le enormi potenzialità sposandone la visione rivoluzionaria divulgata dall’ideologo del gruppo, il “Barone” Maurizio Giraldi. Una mente raffinata quella di Giraldi, dotato di immensa cultura storico politica, che affondava le radici nelle filosofie internazionali della destra sociale, nella teologia cristiana e non solo, ma anche profondo conoscitore delle dottrine del Socialismo internazionale.
Secondo lo stratega di Via Pompeo Magno, il partito politico, nell’ottica di affermazione del credo degli uomini che ne facevano parte, doveva rappresentare solo un mezzo, il veicolo necessario per trasformare l’idea in fatto. E più il partito era grande più facilmente poteva essere conquistato dal proprio interno. Un po’ il sistema che ancora oggi consente di scalare le grandi SPA quotate in borsa che ad un certo punto sfuggono al controllo dei soci fondatori.
Si badi bene, ricordare di Gasbarra la sua quota di pedigree sbardelliano non vuole essere un capo di accusa né un pretesto denigratorio. Tutt’altro. Proprio in quegli anni, frequentando io stesso la “mitica” segreteria di Via Pompeo Magno, in un via vai di dirigenti dei vari partiti, di uomini importanti delle Istituzioni, capitani d’industria, alti prelati, boiardi di Stato nonché di piccoli imprenditori e gente comune e partecipando assiduamente all’innovativo laboratorio di scuola di formazione politica diretto dal “Barone” Giraldi, ho avuto l’occasione di conoscere il giovane Gasbarra. E pure di condividerne idee, pensieri e confidenze anche umane in un rapporto di amicizia che solo le mura di quelle stanze del potere vissute così da vicino sapevano e potevano creare.
Ambizioso ma “politically correct”, volitivo ma affidabile, disponibile ma sempre attento alla spendibilità personale, il prototipo del professionista della politica. Era il periodo tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90. Gli anni, per quello strano pezzo di scudo crociato, della lotta interna contro De Mita, di Forlani Segretario, dell’ascesa verso Comunione e Liberazione, della fondazione del “Sabato” quale strumento idoneo della guerra contro “La Repubblica” di De Benedetti. Ma divennero anche gli anni delle stragi di Capaci e Via D’Amelio e dell’omicidio di Salvo Lima (lo avevo poco tempo prima incontrato proprio in una sua visita romana nelle stanze della segreteria sbardelliana).
Fatti, questi ultimi, che mi allontanarono dal mondo della politica (non avendo deciso di farne una professione) e che segnarono la fine dei rapporti con Enrico Gasbarra, ma anche con Roberto Rao (poi deputato con l’UDC di Casini), con il giovane Pietro Sbardella, Giorgio Ciardi solo per citarne alcuni. Dopo la fine di quell’esperienza, alcuni anni dopo, incontrai ancora Enrico Gasbarra, seppur casualmente, in un bar nei pressi di Rieti. Si stava recando a Cittareale (Rieti), suo paese di origine.
Nel salutarci calorosamente e a seguito del breve colloquio ero rimasto colpito dal fatto che, malgrado il terremoto giudiziario provocato da “Mani Pulite” e lo sfaldamento di quel gruppo politico così potente e radicato dovuto dalla prematura scomparsa di Giraldi prima (da anni in dialisi forzata) e poco dopo del leader Vittorio (consumato da un tumore fulminante) piuttosto che dall’inchiesta Intermetro, per l’amico Gasbarra tutto sembrava continuare come prima, in un’ottica di carriera politica dalle prospettive ancor più importanti e durature.
Perché, a ben vedere, “l’animale politico” a cui si fa riferimento, a differenza del normale individuo, non si lascia condizionare dagli eventi della storia ma li cavalca con lungimirante contemporaneità comunque rimanendo fedele a se stesso nella perenne ricerca del ruolo di potere più importante e della carica politica più riconoscibile oltre che meglio raggiungibile. Ecco perché la politica, quella tradizionalmente conosciuta, quella costruita dal dopoguerra ad oggi non è mai cambiata.
Così come non poteva essere cambiato il modo e il linguaggio di produrla nelle stanze dei bottoni o nel sottobosco che lotta per spartirsi quanti più benefit possibili ma che contemporaneamente e necessariamente svolge il lavoro sporco in favore di chi poi dovrà metterci la faccia. Ecco perché l’aberrante video che ha coinvolto il Ruberti di turno unitamente agli altri noti e potenti commensali incarna la normalità di un sistema ormai secolare ed è pienamente funzionale alla politica che ne segue oltre che “normalmente” decisorio per il futuro dei cittadini.
Dunque, possiamo affermare che Enrico Gasbarra, insieme a tanti, è il frutto più completo del Compromesso Storico, in cui comunisti (cattolici e non), democristiani, moderati e non moderati si fondono per dare vita ad un unicum. Un politico parzialmente transgender dai molteplici attributi pronti ad entrare in azione per ogni evenienza. Comunque capace di amministrare la cosa pubblica attraverso una fitta rete di relazioni e compromessi, di gestirla senza eccessivi blocchi di natura ideologica. Eppure le prossime elezioni, dopo l’ubriacatura qualunquista e ignorante dei Cinque Stelle, potrebbero segnare la fine (o solo una battuta d’arresto ) di questo modello e determinare il ritorno ad una politica di schieramento, con basi ideologiche non rinnegabili né negoziabili in cui risulti chiaro il posizionamento in uno dei lati del Parlamento.
Verrebbe da dire che ormai, più del partito o della sua originaria dottrina, ciò che si andrà a scegliere con le prossime elezioni sarà il modello umano che farà la politica: il professionista, l’idealista, il sovranista, il populista, l’aziendalista o il qualunquista.
Esiste un modo diverso per fare politica?
La domanda è: esiste un modo diverso per fare politica? Una vittoria della Destra sociale di Giorgia Meloni sarà in grado di portare il cambiamento necessario a dare vita alla prima vera Seconda Repubblica? Una Destra primo partito della Nazione, se governerà il Paese da primario punto di riferimento, dopo il periodo controverso ed “egocentrista” dell’imprenditore Berlusconi e le prove non ben riuscite della Lega nordfederalista e populista, avrà l’occasione di reinterpretare la politica non più come “essenzialista” strumento di raggiungimento del potere ma come coraggio di schierarsi nella convinzione della giustezza delle proprie idee per il bene di tutti i cittadini.
Attenzione però, i professionisti della “Prima Repubblica” sono forti, preparati e determinati; esperti nella gestione del sottobosco (che altro non è che lo specchio della società in cui viviamo) e abili amministratori del proprio capitale di preferenze, acquisito in decenni di “lavoro” nelle Istituzioni, senza pesanti vincoli di natura ideologica o di schieramento.
Quasi sempre pronti e mai impacciati nel ricoprire ruoli istituzionali, capaci di ricomporre ai limiti del possibile (spesso oltre) litigi e contrapposizioni di natura ideologica e/o semplicemente spartitoria , di mediare fino al massimo consentito e di coinvolgere quanto necessario per dare soddisfazione alle istanze della gente, soprattutto quelle più immediate, utilizzando secondo convenienza ma sempre (o quasi) in modo lecito il bene comune messo loro a disposizione dal ruolo conquistato. Proprio come Enrico Gasbarra, già democristiano di provenienza andreottiana e già fedelissimo di Vittorio Sbardella.