“Ero l’avvocato della coca, mi hanno rovinato la vita”. Giorgio Ceccarelli racconta la sua storia
Giorgio Ceccarelli ricorda la sua storia: “La mia foto segnaletica era ovunque. Un dolore inspiegabile, ma ora sono invincibile”
E’ stato accusato di interferire illecitamente nella vita privata della moglie, perché aveva nascosto un registratore nella macchina della propria consorte, registrando le conversazioni con l’amante.
Così, nel trevigiano un quarantenne è stato condannato a quattro mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena. Una condanna minima, che l’uomo evidentemente non è riuscito a contestare nonostante fosse emersa, durante il processo, l’intenzione da parte della moglie di nascondere della cocaina all’interno della sua macchina.
Una storia che ha ricordato in modo particolare un’altra vicenda. Quella occorsa molti anni fa a Giorgio Ceccarelli. Lo abbiamo intervistato chiedendogli un parere.
“Io sono incazzato nero, avvelenato per questa cosa”– dice Ceccarelli. – “La storia che ho vissuto io è stata un inferno che mi ha rovinato la vita. Io dovevo fare l’avvocato ma non sono riuscito più a fare l’esame di stato. Nessuno dei veri colpevoli è stato condannato in via definitiva”.
Ricordiamo la sua storia..
“Mi forzarono la macchina le 1996, mi misero il corrispondente di 100 milioni di lire di cocaina pura in macchina e mi denunciarono. Subii un controllo mentre ero in macchina accanto a mia figlia ad Alatri. Mi arrestarono subito. Dopo 8 giorni di sciopero della fame, miracolosamente sono uscito fuori e hanno scoperto il complotto. Però intanto mediaticamente fui massacrato. C’era la mia foto segnaletica con le frasi “L’avvocato della coca“, “Dopo il lavoro lo spaccio” e titoli simili”.
Perché lei è arrabbiato con quest’altra condanna?
“Perché mi faccio una domanda semplice, ma faccio un passo indietro. Questo signore intuendo la delinquenza di altri due soggetti, ha predisposto un apparecchio atto a registrare le conversazioni. Proprio per capire se queste due persone volessero fargli del male. Il giudice lo ha condannato perché sarebbe entrato nella vita privata di queste due persone registrando e recandosi dai carabinieri per denunciarli. Sarebbe come se mi trovassi al ristorante e mentre consumo il mio pasto, sentissi due persone sedute al tavolo accanto al mio dire che vorrebbero ammazzare una persona. Io magari allora accendo il telefonino e registro queste parole. Da cittadino italiano ho l’obbligo e il dovere di testimoniare tutto questo, no? Con una prova certa. Io mi chiedo: perché vale la regola secondo la quale è giusto andare dai carabinieri e salvare un’altra persona, mentre con modalità simili, evidentemente non è giusto salvare se stessi? Una persona viene condannata per aver fatto qualcosa in sua difesa? Per me è follia”.
Si può esprimere a parole tutto quello che si pensa in momenti del genere?
“Non credo si possa raccontare. Quando sono finito in galera sapevo chi erano stati i veri colpevoli di quel gesto. Poi le responsabilità sono state assunte dalla mia ex suocera. Mesi prima io avevo tolto il passaporto a mia figlia, impedendole il trasferimento in Grecia con la mia ex moglie e il suo nuovo compagno. Io sapevo quindi chi erano i reali responsabili di quanto era avvenuto. Non potevo però dimostrarlo. Per questo è incommensurabile tutto il dolore, il sentimento, il pathos provato durante quei momenti trascorsi dietro le sbarre”.
Ha provato sete di vendetta, oltre che di giustizia?
“Mi dissi: o ammazzo mia moglie o provo a cambiare l’Italia. Ero molto addolorato e arrabbiato. Volevo vendicarmi. Poi ho pensato a mia figlia e ho desistito. Io sono contro la violenza, per questo ho anche creato l’Associazione “Figli negati”. Nel 2005 ho ottenuto l’affido condiviso per i separati, ho realizzato la circolare didattica del ministro Moratti che da l’apertura ai padri separati nelle scuole che prima non c’era. Ho fatto tante lotte in mezza Europa. Compresa la marcia il “Daddy’s pride“, unica marcia al mondo dei padri separati, in programma a Roma il prossimo mese. E’ in difesa dei figli, perché possano amare due genitori e quattro nonni. Marciamo per i figli, affinché non perdano l’amore del proprio papà, magari per comportamenti sbagliati delle madri”.
C’è una cosa che si impara dopo queste forti esperienze? Qualcosa di positivo in grado di lenire, almeno parzialmente, la sofferenza per quanto accaduto?
“Quando si vive un dolore inguaribile, insieme ad esso si prova e si sente tanta forza. Quella forza può essere utilizzata nel bene e non nel male. Veicolata nel modo corretto da vita a qualcosa di utile. Così ci si sente invincibili. Magari modificando le cose sbagliate, proprie del posto in cui vivi. Spero di essere stato un esempio. Perché se ci sono riuscito io, può riuscirci chiunque“.