Esce per Laterza, “Lezioni sulla storia della filosofia” di Hegel
La storia della filosofia è, anche, storia di grandi dialoghi con il pensiero del passato
La storia della filosofia è, anche, storia di grandi dialoghi con il pensiero del passato. Sotto questo profilo, l’editore Laterza ha pubblicato una nuova edizione delle “Lezioni sulla storia della filosofia” di Hegel, a cura di Roberto Bordoli, assai più accurata, filologicamente, di quella classica a disposizione degli studiosi italiani, curata in anni ormai lontani da Codignola e Sanna per La Nuova Italia. Questo ciclo di lezioni fu tenuto nel semestre invernale 1825-1826 a Berlino, in quella Humboldt Universität ancora oggi affacciata su Unter den Linden, di cui Fichte fu il primo rettore e in cui insegnerà anche Schelling dopo la prematura scomparsa di Hegel nel 1831. Qui Schopenhauer perse la sua sfida con Hegel, mettendo gli orari delle sue lezioni parallelamente a quelle del suo stellare collega, lezioni che andavano regolarmente deserte. La gloria della filosofia di Schopenhauer era ancora di là da venire.
A sua volta, il dialogo di Heidegger con Hegel è affidato ad alcuni testi decisivi: un saggio di “Sentieri interrotti” dedicato al concetto hegeliano di esperienza, la seconda parte di “Identità e differenza”, il seminario “Le Thor 1968” e lo scritto “Hegel e i Greci” contenuto in “Segnavia”. Inutile dire che, quando sono in ballo questi nomi, è lo statuto stesso della filosofia ad essere messo in questione. Per Hegel attraverso un’elaborazione sistematica che spinge la metafisica occidentale al massimo livello della sua elaborazione ed astrazione, sotto il segno dell’assolutezza dello Spirito e dell’Idea. Per Heidegger, nel senso di un pensiero aurorale che, al di là di ogni metafisica, sappia recuperare il senso lontanissimo dell’essere proprio dei primi pensatori greci. Negli stessi anni di Heidegger, Theodor W. Adorno concludeva la sua “Dialettica negativa” nel segno della solidarietà “con la metafisica nell’attimo della sua caduta” (ed. it. p. 365).
Pur nel superamento sostanziale di certe posizioni, non si può parlare di filosofi del calibro di Hegel come confutati e da accantonare una volta per tutte, così come non lo erano Platone e Aristotele per Hegel stesso, e come non lo sono nemmeno per noi. Anzi, c’è nella parola di Hegel tutta la pienezza delle grandi epoche dell’umanesimo occidentale, di cui Kant, Goethe, Beethoven, Hölderlin, Hegel stesso furono gli ultimi grandi rappresentanti. L’ultimo colpo di coda è quello dell’ultimo Schelling delle lezioni berlinesi di cui Cacciari, soprattutto in “Dell’Inizio” (Adelphi, 1990), ha dato ampia ed esaustiva disamina. Già con Schopenhauer, Feuerbach, Stirner, Kierkegaard, Nietzsche, siamo in un’altra epoca, forse addirittura in un’altra era, se si vuole individuare in Hegel l’ultimo rappresentante della metafisica classica iniziata con Platone. Karl Löwith, il grande storico della filosofia allievo di Husserl e Heidegger, con il suo libro del 1941 dal titolo “Da Hegel a Nietzsche” ha fissato con luminosità e chiarezza questi sviluppi, parlando di “frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX”, come suona il sottotitolo dell’opera.
Certo, storicizzare vuol dire tenere presente l’uso che del pensiero di Hegel fecero Marx e il marxismo ed aprire ad altre letture che sembravano da tempo seppellite nel dimenticatoio, come quella di Croce che, proprio muovendo da Hegel, giunse all’identificazione della filosofia con la storia e della storia con la filosofia. Un testo come “Una pagina sconosciuta degli ultimi mesi della vita di Hegel” del 1948, ghiribizzo partorito dalla mente di Croce nel segno dell’immaginazione filosofica, è una splendida e grandiosa testimonianza del dialogo tra i due. Ma è la Scuola di Francoforte, e Adorno in particolare, ad aver scavato in Hegel con maggiore libertà e spregiudicatezza. Questo perché Hegel era l’inizio di un cammino che aveva in Schopenhauer, Marx, Nietzsche, Freud, Kraus, Kafka, Proust, Schönberg tappe altrettanto fondamentali. La dialettica hegeliana, allora, deve superare la logica tradizionale, quella identitaria, con le sue stesse armi. Lo scopo è l’utopia o, per dirla con maggior precisione, l’origine è la meta, per usare un’espressione di Kraus, citata anche da Benjamin nelle tesi “Sul concetto di storia”. Con la “Dialettica negativa” del 1966 – nel titolo è già detto molto sul modo in cui Adorno dialoga con Hegel – si parlerà di “non identico”, a designare lo stato di conciliazione tra gli uomini e la natura e degli uomini tra loro. Quello stato di conciliazione, la privazione radicale del quale era costata, a Walter Benjamin, la vita.