Euro-solidarietà, la “bella bugia” dissolta da vaccini e Recovery Fund
Mentre la Consulta tedesca blocca il piano di aiuti per un ricorso autoctono, gli egoismi austriaci tengono in ostaggio 100 milioni di dosi Pfizer. Euroinomani (di nuovo) in tilt
All’interno di quel grande sogno chiamato Unione Europea, proprio come nel film Inception c’era un “sogno dentro al sogno” denominato euro-solidarietà. E il verbo al passato è tutto tranne casuale, soprattutto dopo le notizie provenienti dal mondo germanofono su Recovery Fund e vaccini anti-Covid. Che hanno definitivamente chiarito (casomai ci fossero stati ancora dei dubbi) come la natura di questo pseudo-concetto non fosse che quella di una “bella bugia”.
Il blocco del Recovery Fund e l’illusione dell’euro-solidarietà
La Corte Costituzionale tedesca ha bloccato il Next Generation Eu, impedendo al Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmaier di firmare la legge recentemente approvata dal Parlamento. L’eventuale ratifica dovrà infatti essere subordinata al pronunciamento degli stessi ermellini sui ricorsi contro il Fondo per la Ripresa. In particolare, quello di Bündnis Bürgerwille, movimento guidato da Bernd Lucke, economista euroscettico già fondatore del partito nazionalista Alternative für Deutschland (poi da lui abbandonato).
Le preoccupazioni del Nostro sono legate al fatto che il salvagente pandemico da 750 miliardi verrà foraggiato (anche) attraverso bond comuni e comunitari. Che gli oppositori del programma temono non verranno ripagati dagli Stati finanziariamente più deboli, i cui oneri potrebbero dunque ricadere su Nazioni ricche come la Germania.
Il primo effetto della sospensione è lo stop all’erogazione dei sostegni da parte della Commissione europea, che necessita del via libera di tutti i Ventisette. Obiettivo comunque ancora lontano, visto che finora il semaforo verde è arrivato da meno della metà dei Paesi membri.
Ora, comunque, è pressoché certo che bisognerà attendere almeno altri tre mesi, il tempo necessario perché i giudici di Karlsruhe emettano l’ardua sentenza. Fonti dell’esecutivo comunitario hanno espresso fiducia sulla possibilità che le toghe rosse (in senso meramente cromatico) confermino rapidamente la «legittimità della decisione sulle risorse proprie».
Di sicuro, però, non è un bel segnale per Bruxelles. Di nuovo.
Il ricatto dell’Austria
Anche perché nel frattempo il colpo di grazia all’illusione dell’euro-solidarietà l’ha dato il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz. Il quale da tempo frigna contro i criteri di distribuzione degli antidoti anti-coronavirus, ripartiti nel Vecchio Continente in modo proporzionale alla popolazione.
Il casus belli è un lotto da 100 milioni di dosi aggiuntive del preparato Pfizer-BioNTech, che l’Europa ha già opzionato. E che garantirebbero, nel secondo trimestre dell’anno, un anticipo di 10 milioni di fiale, da cui Vienna non fa mistero di voler attingere. Anche se non ne ha alcun diritto, non essendo in emergenza con la campagna d’immunizzazione – a differenza, per esempio, di Bulgaria, Croazia e Lettonia.
Il problema dell’Austria è che ha puntato prioritariamente su AstraZeneca, e verrà dunque penalizzata dai tagli della compagnia anglo-svedese. Questione che però Kurz sta già affrontando, tra l’altro negoziando con la Russia l’acquisto di un milione di sieri Sputnik V. Prima ancora, poi, assieme all’omologa danese Mette Frederiksen aveva annunciato l’intenzione di avviare una partnership con le Big Pharma americane Pfizer e Moderna in territorio israeliano.
Altro che euro-solidarietà
Di qui l’inconsistenza delle frugali rivendicazioni, e di qui la durissima reazione, in sede di Consiglio europeo, del Premier Mario Draghi. Che, di fronte agli ennesimi cahiers de doléances, ha tuonato che Vienna «non otterrà una sola dose in più» di quelle che le spettano.
Posizione condivisa anche dagli altri euro-leader, a cui Kurz ha reagito minacciando il boicottaggio della nuova fornitura, visto che gli acquisti comunitari richiedono l’unanimità. Un ricatto che ha suscitato l’indignazione anche di euroinomani come Nicola Danti, eurodeputato di Italia Viva.
Sono lontani, insomma, i tempi in cui Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea, vagheggiava una Ue della sanità. Da lì alla “Ue del sanatorio”, in effetti, il passo è stato fin troppo breve.