Europei 2024: i campioni del calcio e la ignobile arte dei “tuffatori”
Il pugilato, in cui di botte se ne danno davvero, è definito “la nobile arte“ perché il pugile ha un codice d’onore e di rispetto nei confronti dell’avversario e di se stesso
Ho ancora nelle narici quell’odore pungente di cloro, tipico delle piscine al coperto che ne fanno ristagnare la concentrazione, anche se sono passati ormai cinquanta anni da quando la mia mamma mi portava a nuoto presso la struttura olimpionica del Foro Italico. Allora non sapevo nuotare ed ero lì per imparare a rimanere a galla ma avevo paura dell’istruttore che avevo soprannominato il “distruttore“.
Come fossero Klaus Dibiasi
Ricordo che prima di entrare in acqua, con gli altri bambini e i genitori assistevamo agli allenamenti di Klaus Dibiasi, forse il più grande tuffatore di tutti i tempi, che si preparava per gli europei che si sarebbero svolti a Vienna e dove avrebbe vinto due ori. Si esercitava tuffandosi da una piattaforma e si produceva in gesti acrobatici incredibili quali nemmeno il Tarzan di Johnny Weissmuller avrebbe saputo emulare. Ricordo che trafiggeva l’acqua senza quasi generare rumore tanto era perfetto nell’esecuzione.
Questo spettacolo ci esaltava e dava a noi bimbi il coraggio necessario per affrontare il temibile distruttore il quale, ogni volta che non eseguivamo correttamente i suoi suggerimenti, ci puniva spingendoci la testa sott’acqua per qualche secondo. Imparai a nuotare senza rimanere traumatizzato e anche bene, nonostante la rudezza del metodo. In questo momento storico, in cui un maestro di scuola elementare non oserebbe neppure sgridare un alunno per paura delle conseguenze disciplinari, un istruttore del genere sarebbe probabilmente preso a pugni da qualche genitore.
O tempora, o mores!
Oggi i tuffatori militano in un’altra disciplina, atleti che preferirei definire “tuffattori“ o più semplicemente “truffatori”. Questi funamboli della caduta non si gettano nell’acqua ma su un prato verde. Stiamo parlando di certi calciatori professionisti. E non dei portieri per i quali il gesto atletico è imprescindibile, o di alcuni attaccanti che lo eseguono per colpire il pallone di testa, ma per quei loro colleghi i quali, anche se appena toccati dall’avversario (spesso appena sfiorati), rovinano sull’erba e “si dimenano a terra come vermi tagliati”, così li descrisse anni fa Fabio Capello.
Si contorcono straziati come i poveri commilitoni del soldato Ryan nella prima scena del film, dilaniati e squartati dall’artiglieria tedesca sulla sabbia di Omaha Beach durante lo sbarco in Normandia …
A volte certe simulazione sono talmente esasperate e rocambolesche da far impallidire le coreografie acrobatiche di certi film di Jackie Chan.
Lo sport dovrebbe essere sinonimo di lealtà e correttezza
Nell’antica Grecia, in occasione dei giochi olimpici, financo le guerre venivano interrotte temporaneamente. Alcune discipline come il rugby e l’atletica leggera si fondano su questi concetti nobili. E anche il pugilato, in cui di botte se ne danno davvero, è definito “la nobile arte“ e non solo perché chi ne fondò le basi, fu un nobiluomo scozzese alla fine del 1800, ma perché il pugile ha un codice d’onore e di rispetto nei confronti dell’avversario e di se stesso.
Oggi nel calcio, di nobile, è rimasto ben poco tant’è che alcuni rari gesti di Fair Play vengono premiati da alcune federazioni di calcio (indimenticabile il gesto di Di Canio nel 2000 che gli valse quello dell’anno) o addirittura esaltati sui social, in rete, come fossero eventi rari e straordinari quando invece dovrebbero essere una consuetudine.
Molti giocatori di calcio nel momento in cui entrano in campo si chinano a terra, toccano l’erba con la mano e con la stessa si fanno il segno della croce per tre volte, oppure ringraziano il Padre Eterno alzando gli occhi al cielo dopo aver marcato una rete o all’Altissimo si rivolgono prima di tirare un calcio di rigore come se Questi, in un mondo pieno di guerre e di ingiustizie, altro non avesse da fare che occuparsi di una partita di calcio…. Tutti chiari segni di una profonda fede religiosa.
Eppure spesso gli stessi giocatori violano uno dei dieci comandamenti: non mentire
E lo fanno ogni volta che simulano un fallo subìto. In sostanza fanno finta di aver ricevuto un colpo da un avversario per ottenere una punizione a proprio vantaggio. A volte, specie durante questo campionato europeo, gli arbitri sanzionano con un cartellino giallo i giocatori rei di simulazione. Ma altre, il giudice di gara casca nel tranello e concede loro , ad esempio, un calcio di rigore e quando questo viene trasformato, ecco che il risultato della partita risulta falsato. Così può accadere che la squadra del simulatore finisca per vincere la partita grazie ad una vera e propria truffa.
Le conseguenze di queste pietose pantomime non impattano solo negativamente sul giudizio etico e morale che si potrebbe avere nei confronti del calciatore che ne è protagonista, ma spesso il messaggio che arriva ai tifosi, soprattutto a quelli più giovani, non è il disappunto, piuttosto l’esaltazione e lo spirito di emulazione della “furbata“ che viene interpretata come una qualità e non come un’azione riprovevole.
Per non parlare degli effetti collaterali sul piano della classifica, della quotazione in borsa delle società e dei giocatori del totocalcio che magari, a causa di un goal “rubato“ vedono svanire un 13 milionario.
Mi domando come mai, con il supporto di filmati e moviole, questi scommettitori danneggiati non si siano mai rivolti a un avvocato per intentare una class action nei confronti del calciatore “ tuffattore “.
La frode sportiva
Eppure nel 1989 fu introdotto il reato di “ Frode sportiva “, volto a scoraggiare e a punire quegli atti che sono “diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica”. Tuttavia il legislatore si concentrò sugli “interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine a tutela della correttezza nella svolgimento di competizioni agonistiche” e tralasciò i casi di simulazione.
Nel 1999 l’IFAB (International Football Association Board, organo internazionale che “ ha il potere di stabilire qualsiasi modifica e innovazione delle regole del gioco del calcio a livello internazionale e nazionale” ), inserì la simulazione fra i “ comportamenti antisportivi “ e sanzionabili dal direttore di gara.
Tuttavia la giustizia sportiva consente gli interventi disciplinari nei confronti dei giocatori simulatori, solamente punendoli con cartellini gialli o rossi. Questo significa che, al di là del giudizio morale, sebbene tali atteggiamenti risultino a volte determinanti su risultato dell’incontro, falsandone il risultato e producendo danni economici e sportivi, non sono previste sanzioni amministrative, addirittura la reclusione nei casi più gravi, come invece accade per reati i contestati dalla legge sportiva 401.
La simulazione è un comportamento irritante, insopportabile
Quando ero ragazzino, nei primi anni 70, gli stipendi di alcuni calciatori di serie A erano già altissimi se comparati a quelli di un impiegato. Gianni Rivera vantava un compenso annuo di 70 milioni delle vecchie lire a fronte di un operaio che ne guadagnava mediamente 350mila.
Oggi i compensi sono spropositati se si pensa che Cristiano Ronaldo incassa quasi 3 milioni di euro al mese ( senza contare i proventi derivanti da sponsor, pubblicità etc. ). Austerity, crisi, guerre, pandemie: nulla ridimensiona gli ingaggi dei calciatori.
C’è da dire che appena il 10% dei giocatori professionisti beneficia di tali cifre ma è altresì vero che mediamente gli introiti dei calciatori della Seria A ammontano annualmente tra i 500mila e i due milioni di euro, sponsor esclusi.
Si potrebbe obiettare che siano cifre eccessive, financo vergognose se paragonate ai compensi di figure professionali che magari salvano delle vite e che la propria mettono a rischio (medici, vigili del fuoco, forze dell’ordine etc.) Ma qui si aprirebbe un’altra enorme questione che magari tratteremo in un altro articolo.
Diamo per buono e giusto il fatto che alcuni giovanotti che partecipano a questi europei (e che presumibilmente si divertono) siano milionari. Ma consentiteci di dire che da loro ci si aspetterebbe quantomeno una condotta leale ed esemplare in campo, non fosse altro per il fatto che in queste calde giornate di giugno non stanno stendendo l’asfalto su un tratto dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, ma stanno giocando per 90 minuti , o poco più, tirando calci ad un pallone…
Il loro lavoro si chiama “gioco del calcio“
Si usano termini decisamente virili durante le telecronache delle partite quali “falli durissimi“, “entrate da dietro“, “gioco maschio“, eppure basta un lieve spostamento d’aria provocato dalla vicinanza del corpo di un avversario che il tuffattore di turno frana a terra con le mani sul volto straziato dal dolore (quale?) quasi pronto a ricevere l’estrema unzione. Spesso poi, quando il simulatore si accorge che lo sketch non ha sortito l’effetto sperato, si rialza come nulla fosse, miracolato come in un racconto evangelico, e riprende a giocare.
Mi faceva giustamente notare zio Luciano come nel calcio femminile (anch’esso giocato in modo robusto) le calciatrici prima di cadere sul manto erboso devono essere veramente percosse violentemente e quasi sempre si rialzano prontamente e proseguono l’incontro.
La scorsa settimana, durante una partita del campionato europeo, un giocatore ha fatto finta di ricevere un colpo al volto gettandosi a terra moribondo. In realtà, come si è potuto ben vedere al replay, l’avversario, durante la fase di gioco in questione, lo aveva appena sfiorato, nemmeno fosse la carezza di un innamorato. L’arbitro non è caduto nel tranello. Ma nell’azione successiva, lo stesso giocatore, durante un “duello aereo“, ha sbattuto violentemente, ma in maniera del tutto fortuita, il proprio volto contro la spalla di un avversario auto provocandosi la frattura del setto nasale.
Rimasto a terra sanguinante, non ha tuttavia inscenato il dramma che pochi minuti prima aveva invece magistralmente interpretato.
Molti anni fa chiesero a Nino Manfredi se fosse un appassionato di calcio e cosa ne pensasse ed egli rispose : ”A me dispiace vedere 22 giovanotti in mutande che si affannano dietro ad un pallone: ma dategliene altri di palloni!“
I calciatori professionisti dovrebbero interrogarsi sul ruolo che incarnano e sulla responsabilità che i propri comportamenti in campo possono avere nei confronti dei giovani tifosi che ahimè non li emulano solo sul piano estetico, imitandone acconciature bizzarre e tatuaggi spesso improbabili, ma ne condividono il concetto di “furbizia“ interpretando la simulazione come qualcosa di positivo.
Ci si scaglia spesso contro certi atteggiamenti poco educativi di certe star della musica e dello spettacolo ma raramente si pone l’accento sulle conseguenze dei cattivi esempi che alcuni calciatori danno.
Non tutti per fortuna, ma sembrano davvero lontanissimi i tempi dell’eleganza, della dignità, della correttezza e della lealtà dei vari Baggio, Zoff, Conti, Scirea, Pelè, Facchetti. Solo per citarne alcuni della mia giovinezza.
Come nel calcio, così nello spettacolo, ci sono personaggi straordinari e al contempo sobri, educati, eleganti, lontani da atteggiamenti violenti o scandalosi. Artisti che trasmettono messaggi positivi e educativi. Che danno il buon esempio, insomma. Sul palco o sul campo, così come nella vita privata, non fanno parlare di sé se non per le proprie qualità. A questa categoria appartengono, ad esempio, i Pooh e Messi.
A Roma, chi racconta frottole, chi millanta, chi mente, è definito, con curiosa assonanza, “pallonaro“. Forse sarebbe tempo di introdurre un nuovo premio per questi calciatori simulatori: “Il pallonaro d’oro“.