Fatto il Governo Draghi, attenti a come mettere le mani su scuola e società
Per Mario Draghi e il suo Governo, lo scopo della scuola è dotare i ragazzi di strumenti adeguati per costruire liberamente il loro futuro
La pandemia concentra l’attenzione sulla scuola
Come abbiamo già detto più volte, da quando ha avuto inizio la pandemia tutti parlano continuamente della scuola. In passato, se ne parlava soltanto agli inizi dell’anno scolastico ed alla fine, in occasione degli esami.
Inoltre, oggi tutte le forze politiche, economiche e sindacali affermano la centralità di essa per il futuro della società. Mentre fino all’altro ieri era considerata una cenerentola tra le istituzioni dello Stato.
Al punto da ricevere meno attenzione e considerazione, se non la denigrazione ricorrente sui media per i suoi problemi cronici: carenza di strutture e servizi, inefficienza del suo ruolo educativo sempre addossata ai docenti.
Al punto da ricevere sempre meno risorse economiche, che anzi venivano considerate quasi uno spreco inutile. Molti commentatori, politici ed intellettuali (indegni di questo aggettivo, a parer mio) affermavano pure che si spendeva troppo per lo stipendio degli insegnanti, categoria ritenuta oltremodo numerosa e privilegiata.
Oggi, affetti come siamo dal Sars-Cov2 (esperti catastrofisti sostengono che il virus attacchi anche il cervello), la musica sembra totalmente cambiata.
Esternazioni sulla scuola del premier incaricato e reazioni
Al coro unanime non poteva mancare, seppur espresso in sottovoce, secondo lo stile sobrio ed autorevole del personaggio, il parere del neodesignato Presidente del Consiglio, Mario Draghi.
Sul quale ognuno elabora il proprio pronostico con un pallottoliere truccato, in modo da far uscire l’interpretazione più vicina alla sua posizione.
Il Presidente in pectore, Draghi
Eppure, bisogna sottolineare che il presidente in pectore, nei vari incontri che finora ha avuto con i rappresentanti delle parti politiche e sociali, non si è mai sbilanciato sull’indicazione di una possibile struttura del nuovo Governo, né su un’articolazione dettagliata del programma che intende svolgere.
Proprio per la sua riservatezza, per cui tutti lo lodano, si è limitato ad ascoltare ed ha profferito poche parole di linea più che generale, direi iperuranica.
Ovviamente, riguardo l’impegno che occorrerà per risanare la sanità, l’economia ed il tessuto sociale del Paese, in linea con il desiderio e l’auspicio del Presidente della Repubblica, dal quale ha ricevuto l’incarico.
In particolare, Draghi ha ribadito la sua concezione di centralità della scuola per l’economia ed il futuro dei giovani. Come aveva già fatto nel discorso al Meeting per l’Amicizia dei Popoli, tenuto ogni anno a Rimini da CL (Comunione e Liberazione).
Ricordiamo pure, senza pregiudizio di parte, che sul palco di Rimini si sono sempre espressi politici già al potere, o che stavano per diventarlo.
Il pensiero dell’ormai sicuro Premier sulla scuola si può sintetizzare in quattro punti:
1) Riduzione dell’abbandono scolastico; 2) Investimenti nella ricerca e rafforzamento dei legami tra Università e Impresa; 3) Revisione del calendario scolastico; 4) Assunzione dei docenti necessari per la ripartenza a settembre prossimo.
Il terzo punto in particolare ha provocato subito una serie di reazioni negative da parte degli storici sindacati degli insegnanti: Cgl, Cisl, Uil, Snals, con qualche differenza. Per esempio, la Cisl ha successivamente dichiarato la propria disponibilità a trattare.
Ma soprattutto si registra un’ondata di malcontento generale e indignazione in tutti i docenti che si sentono di nuovo vilipesi per il motivo addotto dal quasi premier a giustificazione della sua affermazione.
Infatti, il Nostro ha posto il problema del recupero delle carenze cumulate dagli studenti nello scorso anno, intendendo chiaramente di ridurre i periodi di vacanze (come la prossima Pasqua) e prolungare l’anno scolastico nel periodo estivo. Puntando così il dito sulla responsabilità degli insegnanti, come se questi avessero lavorato di meno. Mentre, al contrario, con l’impegno profuso nella DAD e nelle riunioni collegiali online, essi sono stati impegnati dalla mattina alla sera ogni giorno, compresi i festivi. Purtroppo, la teledidattica non è paragonabile a quella tradizionale in presenza.
Tutte le reazioni dei docenti sulle chat esprimono sdegno, frustrazione e rabbia; molti si chiedono, sconfortati, che tipo di visione della scuola possa avere Mario Draghi. E la nomina di Patrizio Bianchi, come neo ministro all’Istruzione, che era già nel pool di esperti a fianco della ormai ex ministra Lucia Azzolina, non ci fa capire del tutto come sarà il futuro.
Ma che concezione può mai avere Draghi, se non una di tipo tecnico efficientistica?
La figura di Mario Draghi e la sua formazione
Infatti il presidente incaricato ha sì avuto una formazione di base classica, avendo studiato in un liceo diretto da gesuiti. Poi si è laureato in Economia all’università La Sapienza, quindi si è specializzato negli USA al MIT (Massachusetts Institute of Technology). E’ stato docente universitario in diversi atenei italiani: Trento, Padova, Firenze.
Negli anni novanta è stato direttore generale del Tesoro, succedendo al ministro Guido Carli.
Nel 1992 prese parte alla riunione di alti rappresentanti della comunità finanziaria internazionale sul panfilo Britannia della corona inglese, ormeggiato al largo di Civitavecchia. L’argomento fondamentale del dibattito era quello della possibilità di avviare la privatizzazione di aziende pubbliche o a partecipazione statale.
Da noi, si iniziò nel ’93 privatizzando la SME, azienda controllata dall’IRI.
La politica di privatizzazione fu poi proseguita ed attuata dai governi di centrosinistra alla fine degli anni novanta. Con la liberalizzazione dei mercati dell’energia (elettricità e gas) e delle telecomunicazioni. Si ricordano i “famosi” decreti Bersani.
Dopo un incarico dirigenziale in Goldman Sachs, Draghi divenne Governatore della Banca d’Italia, sostituendo Antonio Fazio, travolto dallo scandalo di Bancopoli.
Promosse e favorì la fusione tra gruppi bancari (nella quale le grandi fagocitarono le piccole), rinunciando al consenso preventivo e vincolante di Bankitalia.
Infine, ha ricoperto la carica di presidente della BCE dal 2011 al 2019.
La politica di difesa della moneta unica
Qui avviò nel 2012 la politica di difesa dell’euro, minacciato dalla crisi del debito sovrano europeo, provocata dalla crisi finanziaria innescata negli USA dalla speculazione sui derivati.
Con il discorso: Whatever it takes…, raggiunse l’apice della popolarità (nominato “uomo dell’anno” dai quotidiani londinesi). Per cui oggi è stato chiamato dal presidente Mattarella a risolvere la crisi socioeconomica del nostro paese, aggravata dall’influenza della pandemia.
Con quali mezzi, come e con chi riuscirà o no in questo improbo compito, è da vedere.
L’intervento di Draghi sulla scuola
Per quanto riguarda la scuola, l’acclamato salvatore della patria ha più volte dichiarato che essa deve garantire istruzione e qualificazione professionale ai giovani, whatever it means.
Per il Nostro, il significato, ovvero lo scopo, è quello di dotare i nostri ragazzi di strumenti adeguati affinché essi possano costruire liberamente il loro futuro ed inoltre contribuire alla ricostruzione della società.
Scopo in sé giusto e degno di lode.
Al fondo del quale però sta una visione meramente tecnica dell’istruzione e strumentale del sapere trasmesso, utile per lavorare sulla realtà, modificandola a nostro vantaggio.
Manca il concetto della formazione culturale della persona, a parer mio. Si obietterà che l’individuo si forma nel lavoro svolto con competenza, che gli può consentire anche l’elevazione sociale.
Ma sarà proprio vero?
La visione europea della sinistra e di Draghi dell’istruzione è subordinata al Potere della Globalizzazione
Non è certo facile capire il pensiero di base di un soggetto, soprattutto se espresso in modo ellittico in brevi esternazioni. Comunque, non è proprio necessario; si possono integrare le espressioni con la figura di chi le fa.
Draghi è un tecnico, esperto di una scienza, l’economia, che si pretende oggettiva come una scienza naturale; inoltre è un europeista convinto.
Perciò ritengo che la scuola che egli ha in mente è quella delineata nel trattato di Lisbona, cui abbiamo fatto riferimento in passato.
Una scuola che prevede “leggere” nozioni di storia e geografia, giusto per “orientarsi” nel mondo in cui si vive. Conoscenze basilari di una o due lingue diverse dalla propria, necessarie a intendersi; in più, la sbandierata educazione ai diritti ed alla cittadinanza europei.
Premesse neppur necessarie ad una istruzione tecnica conseguita come addestramento pratico, non come profondo studio scientifico. E che porrà i giovani nella condizione di accedere ai posti di lavoro (pochi) che la tecnologia odierna può offrire. Tecnologia che avanza e muta rapidamente, rendendo così in breve tempo obsoleta la preparazione professionale; per cui, senza solide basi scientifiche, i giovani si troveranno nell’impossibilità di adeguarsi, ed avranno la necessità di essere ri-formati.
Nell’impostazione della scuola UE c’è anche la formazione permanente, cioè a vita!
Da qui deriva che la realizzazione dell’uomo nel lavoro e la mobilità sociale affermate nei piani scolastici generali dell’Ue non sono altro che uno specchietto per le allodole.
Ne consegue inoltre che gli insegnanti attuali non sono in grado di lavorare per un tale tipo di scuola; vanno formati con corsi appositi come automi programmati e obbedienti.
Nulla vale la preparazione acquisita con anni di serio studio con esami selettivi, proseguito poi a livello individuale. Né ovviamente l’esperienza e la maturità acquisita in tanti anni di insegnamento.
Questa concezione della scuola e degli insegnanti è tipica dei partiti della Sinistra efficientista, che è stata pure alfiere della Globalizzazione, che doveva risolvere tutti i mali dell’umanità.
Ora che, proprio a causa di quella la situazione è ulteriormente peggiorata, la stessa sinistra si presta a ripararne i guasti, contribuendo di fatto alla restaurazione del potere tecnofinanziario e quindi all’incremento delle disuguaglianze a livello locale e mondiale, anche se a parole si vorrebbe il contrario. Contro questo tentativo di dominio globale, anche delle menti, dovremmo reagire come insegnanti e cittadini.
Non esiste, credo, un’interpretazione assoluta della verità, che sarebbe un pregiudizio totalitario. Ma l’approccio razionale ad essa può essere rivoluzionario.