Femminicidio Giulia, i giornalisti romani: ecco le parole da non usare
Il sindacato cronisti romani: Espressioni come “delitto passionale”, “raptus”, “momento di follia”, forniscono alibi agli autori del crimine
Facciamo attenzione alle parole, il diritto di cronaca va maneggiato con cura. Il Sindacato cronisti romani, nell’esprimere vicinanza alla famiglia di Giulia Cecchettin e di tutte le altre vittime di femminicidio, ripropone l’urgenza di un’informazione corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere, al di fuori di qualsiasi stereotipo o sensazionalismo.
Le parole da non usare per i giornalisti
Un uso sobrio e rispettoso del linguaggio può diventare strumento fondamentale nello sradicamento di una cultura maschilista e misogina. Espressioni come “delitto passionale”, “raptus”, “momento di follia”, “amore che sfocia in violenza”, “accecato dalla gelosia”, di fatto forniscono alibi o indirette giustificazioni agli autori del crimine. Siamo noi responsabili di come viene rappresentata la figura femminile, sia con gli scritti sia con le immagini, e per questo i cronisti debbono essere in prima fila contro una narrazione tossica e sessista.
Il Sindacato cronisti romani, nel suo ultimo consiglio direttivo, in linea con le iniziative già assunte dall’Associazione stampa romana, ha deciso di stilare un Decalogo sul “linguaggio di genere” che elenchi i termini fuorvianti da bandire nelle cronache, e di promuovere incontri nelle scuole, per contrastare l’indifferenza affettiva e valoriale dei ragazzi sul tema della violenza alle donne. Così in una nota Fabrizio Peronaci e Roberto Mostarda, presidente e segretario del Sindacato cronisti romani (Scr).