Festival della canzone Italiana 2021: a Sanremo la musica è finita
Del Festival di Sanremo 2021 non resterà nulla perché la musica non c’era. C’erano “peccator carnali che alla ragion sommettono il talento”
Il Festival di Sanremo si chiude portandosi via un carrozzone di dubbi e domande a cui non riesco a dare risposte soddisfacenti. Lo dico subito, senza mezzi termini, personalmente ero a favore del festival e ho sostenuto quelli che hanno portato avanti la battaglia per poterlo fare. Sanremo non risolve i problemi del Paese ma neanche li complica e oggi nel quadro generale vietare anche questa manifestazione avrebbe aggiunto tristezza a tristezza. Però due cosine vanno assolutamente evidenziate.
Qualcuno ha sbagliato mestiere
Sbaglio a pensare che qui c’è qualcuno che ha sbagliato mestiere? Non voglio dire mica che sia in malafede per carità. Ma qui qualcosa non va. Chi ha messo questi pseudo cantanti in una gara di Big? Perché fare a pezzi l’unico baluardo che ci rimane che sarebbe la ricerca del talento, a vantaggio di questa ostinata ostentazione del sesso, fino a raggiungere l’arroganza. Guardate che non siamo mica tutti lobotomizzati dalle vostre cazzate. Perché diamine volete cambiare il nome alle cose? Perché continuate a mettere in questo calderone Lucio Dalla e Achille Lauro?
Lo volete capire che non è lo stesso genere musicale?
Ci arrivate, incapaci autori di Sanremo che la musica digitale non è paragonabile a quella che si faceva alla Fonoprint di Bologna o al castello di Carimate o ancora meglio alla Abbey Road? Una volta si mettevano gli strumenti nel mixer e un musicista registrava. Oggi non esiste più una cosa del genere e i brani sono scelti dal computer con lo stesso identico programma che vale per tutti e buona notte. Il talento non può uscire con queste logiche e chi vuole esprimersi attraverso la musica ha le porte in faccia. Sanremo non è più da anni la rappresentazione della musica in Italia. Chi vedete esibirsi all’Ariston, se venisse messo in una piazza estiva di una qualsiasi festa patronale, al secondo brano sarebbe fermato e accompagnato al casello dell’autostrada più vicino.
Siamo arrivati al punto che la tanto vituperata Orietta Berti viene osannata e votata come la vecchia e rassicurante Democrazia Cristiana perché a qualcosa dobbiamo pur attaccarci. Orietta Berti diventa in questa valle di sangue un simbolo di artista di talento. Ed è vero. L’ho amata mentre cantava Sergio Endrigo e mi è venuto da piangere perché ho capito che abbiamo perso. Che hanno vinto gli edonisti di infima categoria, hanno vinto i trasformisti che hanno le chiavi del giocattolo e lo portano al massacro.
E giù coi baci in bocca, i pianti, le penne di tacchino e canzoni brutte e stonate
Non contenti di aver presentato dei brani scritti con i talloni (neanche con i piedi) decidono di violentare anche la serata delle cover. Hanno dimostrato di non capire nulla neanche quando il brano lo devono scegliere loro. Nella vastità del repertorio della musica degli ultimi 70 anni. Un vomito trasformato in note musicali dove non si salva nessuno a parte la scenografia messa nelle mani di un grande Gaetano Castelli. Per certi autori ci vorrebbero gli arresti domiciliari con una pila di Cd da ascoltare come condanna. E giù con i De André, i De Gregori i Fossati … Tutti chiaramente troppo difficili da digerire e inutili per vendere formaggini, pannolini e prodotti affini.
Un festival nelle mani di gente brutta e sconcia, che ha in mente solo il sesso e l’arroganza. Tutto vuoto a perdere, nessun messaggio. Così ci rimettiamo tutti, ma proprio tutti perché ancora una volta abbiamo perso l’occasione di dimostrare che possiamo essere altro. Sì, perché esiste e resiste altro ed è proprio questo che vi fa paura. Lo tenete nascosto, tentate di ucciderlo e vi sentite bravi. Siete soltanto dei ricchi buffoni che sfruttano il dolore di un Paese per imporre il vostro messaggio distorto. Quello che uccide il talento e la creatività e ci restituisce un’immagine drogata della situazione.
Ci dobbiamo ribellare sul serio. Dobbiamo cominciare a chiamare le cose con il loro nome e a restituire dignità e creatività ad una generazione di talenti veri trincerati e secretati in poche sparute riserve. Lontane dai riflettori, confinati in grotte dove ci si riunisce tra musicisti. Come sette segrete, quasi ci si debba vergognare di aver studiato musica e aver creduto di poterla esprimere. Dobbiamo rifarci ai nostri padri della patria della parola. Ascoltiamo Dante e la sua musicalità, fonte di sapienza e ispirazione. Lui avrebbe certamente trovato per voi una giusta collocazione tra color che son dannati, perché “Peccator carnali che alla ragion sommettono il talento”.
Di questo Festival non resterà nulla di musicale perché la musica non c’entra. L’amore è una cosa meravigliosa la musica è amore. Quello che abbiamo sentito non è neanche masturbazione, è uno stupro.
Articolo di Andrea Pintucci