Finanziamenti Ue, ancora una volta Bruxelles pretende di dettare legge
Per l’ex Premier Gentiloni il Recovery Fund non va usato per ridurre le tasse, e il Ministro Gualtieri gli dà ragione. Realizzando una volta di più una vecchia profezia di Montanelli
Puntuale come un orologio rotto a cui solo casualmente capita di segnare l’ora esatta, Bruxelles è tornata a farci la lezioncina sui finanziamenti Ue. Stavolta lo ha fatto per bocca del Commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni, intervenuto presso le commissioni riunite Bilancio e Politiche Ue delle due Camere. Per ribadire che le istituzioni comunitarie, a quanto pare, considerano ancora l’Italia alla stregua di una colonia.
Economia e finanziamenti Ue
«Vogliamo avere già a ottobre le linee di fondo del Recovery Plan, in modo da interloquire subito con la Commissione Ue. I primi soldi concretamente arriveranno nei primi mesi del 2021, un primo 10%». Così il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha illustrato la tabella di marcia verso i finanziamenti Ue, pur facendola più semplice di quanto in realtà non sia.
È comunque lo stile del Cancelliere dello Scacchiere, che tende sempre – perlomeno nelle dichiarazioni pubbliche – a vedere il bicchiere mezzo pieno. Per esempio, ha ammesso che il calo del Pil sarà peggiore dell’8% stimato dal Governo rosso-giallo «quando non si sapeva quanto sarebbe durato il lockdown». Tuttavia, si è anche detto fiducioso che nel terzo trimestre dell’anno vi sarà «un forte rimbalzo», come suggeriscono gli indicatori sulla produzione industriale e l’occupazione. Al punto che la nuova stima non sarà tanto peggiore della precedente.
«Tutti i previsori che indicavano -11, -12, -13% dicono che l’Italia fa meglio di quanto loro prevedevano» ha gongolato il titolare del Tesoro. Che ha aggiunto che le risorse del Recovery Fund «possono far aumentare il Pil» e permettere di avviare le auspicate riforme.
En passant, sulla gestione di tali risorse dovrà vigilare proprio la Commissione Politiche Ue, che a Montecitorio è presieduta dal grillino Sergio Battelli. Uno che ha la licenza media e, come unica esperienza lavorativa, un decennio da commesso in un negozio di animali. Ogni commento è superfluo.
I finanziamenti Ue e il Recovery Fund
I finanziamenti Ue ammontano, come stabilito a luglio, a circa 209 miliardi di euro, di cui 81,4 a fondo perduto e 127,4 come prestiti. La loro erogazione dipende innanzitutto dai Piani di rilancio, da presentare al massimo entro aprile. Questi, come ha spiegato in audizione Gentiloni, dovranno essere approvati prima dalla Commissione Europea e poi dal Consiglio Europeo, a maggioranza qualificata. Quindi, «presumibilmente entro il primo semestre 2021», verrà erogato il primo 10% dei finanziamenti Ue. I successivi versamenti avranno invece cadenza semestrale, previa valutazione del rispetto degli obiettivi e delle tempistiche proposti dagli Stati membri.
È qui che entra in gioco il Piano nazionale per la ripresa, che non è e non deve essere «una raccolta di esigenze e di emergenze». Così parlò l’esponente del Pd, mandando un chiaro messaggio ai naviganti che hanno scambiato il Recovery Plan per una diligenza da assaltare.
L’Unione Europea ha infatti vincolato l’accesso ai finanziamenti Ue a dei paletti ben precisi. Per quanto riguarda l’Italia, alcune sono raccomandazioni “storiche”, come gli investimenti sulla scuola, sull’occupazione e sulla digitalizzazione. Tra le priorità, però, vi sono anche la resilienza e sostenibilità sociale (qualunque cosa significhi) e l’immancabile sostenibilità ambientale. Con la postilla che a quest’ultima amenità andrà destinato «oltre il 35% dei fondi».
È proprio qui che le istituzioni comunitarie hanno finalmente gettato la maschera, rivelando l’implicita (e immotivata) pretesa di continuare a dettare legge. A dimostrarlo c’è anche un altro passaggio dell’audizione di Gentiloni, cui era stato chiesto un parere sull’uso dei finanziamenti Ue a fini fiscali.
«Io direi in maniera molto molto mirata e limitata» ha risposto l’ex Premier. «Ma guai a pensare che usiamo questi 200 miliardi per ridurre le tasse, sarebbe davvero un messaggio sbagliato».
L’Italia non è una colonia di Bruxelles
Ora, il problema non è nemmeno tanto nel contenuto, che parzialmente può essere perfino condivisibile. Tanto è vero che Gualtieri ha dato ragione al proprio compagno di partito alla luce del fatto che la riforma tributaria ha un costo strutturale. E, pertanto, «non può essere finanziata con delle risorse che sono invece temporanee».
La questione vera è a monte, e riguarda quell’insopportabile atteggiamento da maestrina che pare connaturato all’Europa. La quale dimentica fin troppo spesso di avere a che fare con degli Stati sovrani, che prima di tutto devono rispondere ai rispettivi popoli.
L’Italia non è una Nazione assoggettata né commissariata, anche se al commissario Gentiloni probabilmente farebbe piacere che lo fosse. Dopotutto è lui che, a corollario della sciagurata era Mario Monti, cinguettò che occorreva «cedere sovranità a un’Europa unita e democratica».
Fa specie che a farneticare così sia stato uno che, qualche anno dopo, si sarebbe insediato nientemeno che a Palazzo Chigi. Ma in fondo questo è il secondo corno del dilemma, che è tutto nostrano, come già aveva sarcasticamente profetizzato un mito come Indro Montanelli.
«Quando si farà l’Europa unita, i Francesi ci entreranno da Francesi, i Tedeschi da Tedeschi e gli Italiani da Europei». Gioco, partita, incontro. Con tanti saluti all’articolo 1 della Costituzione più bella del mondo.