Francia a fuoco, banlieue in rivolta: e comincia il ripensamento
Banlieu francesi in fiamme. Ma se l’integrazione pacifica e armoniosa degli immigrati è tutt’altro che una certezza, allora che cos’è?
Finalmente. Finalmente, anche fuori dal mondo dei terribili sovranisti, c’è qualcuno che lo dice. Anzi, che lo riconosce: l’integrazione pacifica e armoniosa degli immigrati è tutt’altro che una certezza.
Ma che cos’è, allora?
Ci arriveremo più avanti. Iniziamo, invece, dalle parole di un autorevole storico transalpino come Patrice Gueniffey. Che, in un’ampia intervista pubblicata sul Messaggero, ha ragionato sulle rivolte che hanno incendiato la Francia negli ultimi giorni e che coinvolgono, innanzitutto, le seconde e persino le terze generazioni degli immigrati nordafricani.
Dice Gueniffey: “Non è né una rivoluzione, né una guerra civile, ma lo scontro tra una parte della popolazione non giuridicamente straniera, ma che si sente culturalmente tale nel paese in cui è nata o è venuta a vivere. Oggi una parte importante della popolazione che per ragioni etniche religiose o forse sociali non si sente di appartenere al paese in cui vive, detesta la Francia, la cultura, la tradizione, la storia e il modo di vivere francese”.
Una repulsione, viscerale e persistente, che non viene superata né con la cittadinanza fin dalla nascita né con tutte le altre misure inclusive.
Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi del Corriere della Sera, ne ha parlato con Manuel Valls, che sotto la presidenza del socialista François Hollande è stato dapprima ministro dell’Interno, dal 2012 al 2014, e poi primo ministro, dal 2014 al 2016.
Domanda: “È anche una questione di povertà, di mancanza di prospettive?”.
Risposta: «A me non sembra. È stato speso molto denaro, in quei quartieri ci sono mediateche, centri commerciali, scuole, commissariati, locali pubblici, quelli che in queste notti vengono dati alle fiamme. Nanterre, per esempio, dove viveva Nahel, non è una città povera. Ci sono abitanti poveri, certo, ma sono molto aiutati, sostenuti. E il lavoro c’è, in tutta l’Ile de France, la regione di Parigi, il tasso di disoccupazione è bassissimo. Per questo la maggioranza dei francesi non vuole spendere altri soldi per le banlieue”.
Chiaro: se quei denari, tanti o tantissimi, conducono a risolvere il problema, l’onere si può anche accettare. Altrimenti, checché ne pensino le anime belle della sinistra, sarà meglio ripensarci.
Rendendosi conto dell’errore fondamentale.
Popoli di tutto il mondo, occidentalizzatevi
Per chi vi incappi in buona fede è un grande equivoco. Viceversa è un’enorme manipolazione, da parte di chi certe tesi le sostiene per il proprio tornaconto.
L’abbaglio, decisivo, è dare per scontato che il modello socioeconomico occidentale (o meglio: il modello che si è affermato tra USA ed Europa a cavallo tra il Novecento e il Duemila) sia così pieno di elementi positivi da conquistarsi il favore di qualsiasi popolo. A patto che gli si dia modo di sperimentarne i “vantaggi”.
I fatti, sempre più spesso, dimostrano il contrario. Non tutti gli uomini sono uguali, nel loro modo di concepire la vita sia individuale sia collettiva, e non tutte le identità possono coesistere in modo armonico all’interno della stessa società. Ciò che va bene per gli uni fatalmente non andrà bene per gli altri, a meno che le divergenze riguardino solo degli aspetti più o meno collaterali.
Non si tratta di semplici preferenze, da soddisfare in una sfera privata. Ma di profonde e irrinunciabili esigenze, dovute a una diversa visione del mondo e tali, perciò, da investire l’intera gamma dei rapporti personali, familiari, sociali.
Il termine corretto è quanto mai nitido: è “incompatibilità”. Rispetto alla quale non c’è necessariamente un giusto e uno sbagliato, un ragionevole e un irrazionale. Ma c’è, eccome, un nucleo insormontabile di estraneità reciproca.
E questo ci riporta alla domanda iniziale: se l’integrazione pacifica e armoniosa degli immigrati è tutt’altro che una certezza, allora che cos’è?
È un teorema. Un teorema capzioso e arrogante che non ammette contestazioni. E che facendo leva sui cosiddetti “diritti universali” pretende di rendere altrettanto universale l’intero pacchetto delle liberaldemocrazie occidentali.
Una sedicente integrazione che presuppone l’asservimento delle identità altrui. E quando ciò non succede, come è naturale che non succeda, il fuoco cova sotto la cenere in attesa di divampare.
Non si era mai spento. Si era solo tentato di soffocarlo.
Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia