Franciscus, l’ultimo viaggio terreno di Papa Francesco. L’addio a San Giovanni
Un ictus cerebrale, seguito da coma e un collasso cardiocircolatorio irreversibile ha colpito Papa Francesco a Santa Marta

Papa Francesco, foto di Claudio Pasquazi
La luce filtrava dalle vetrate di San Giovanni in Laterano in un silenzio pieno di presenze. Il cardinal Angelo De Donatis, visibilmente provato, ha aperto la liturgia funebre accompagnato da decine di sacerdoti e vescovi, mentre la navata accoglieva il passo assorto del sindaco Roberto Gualtieri.
Roma saluta il suo Vescovo
Aveva appena lasciato il comitato per la sicurezza, ma la gravità del momento richiamava un’altra forma di presenza: quella che si offre davanti alla morte, senza ruoli.
Roma ha perso il suo Vescovo. L’uomo che da dieci anni ne era figura spirituale e punto di riferimento, anche quando parlava da Santa Marta, lontano dai palazzi e vicino alla carne viva delle persone. La messa in suffragio, sobria ma intensa, è stata più che un rito: un atto collettivo di riconoscenza, attraversato dalla compostezza e da quell’umanità che Francesco ha saputo tenere viva fino all’ultimo.
Il lutto di un Paese, il silenzio di un mondo
Il Consiglio dei ministri, domani mattina, ratificherà la decisione: tre giorni di lutto nazionale. Lo ha voluto la Presidenza del Consiglio, raccogliendo un sentimento diffuso e, per molti versi, necessario. Non si tratta solo del capo della Chiesa cattolica. Francesco era diventato qualcosa di più: una coscienza pubblica. Il Colosseo si spegnerà simbolicamente domani alle 20. Il gesto è semplice, ma potente. Un tributo silenzioso a chi ha fatto del dialogo, della pace e della dignità umana la cifra del suo pontificato.
Nel mondo si stanno già preparando le delegazioni per le esequie e per il Conclave. I capi di Stato si raduneranno a San Pietro, ma in queste ore ciò che colpisce è la compostezza della gente comune: pellegrini, cittadini, chi lo ha ascoltato senza necessariamente condividerne tutto, ma riconoscendone la coerenza e la mitezza.
Una morte “semplice” in una casa scelta per vivere
La morte è arrivata alle 7.35 di lunedì mattina. Un ictus cerebrale, seguito da coma e un collasso cardiocircolatorio irreversibile. La diagnosi è stata resa nota dal professor Andrea Arcangeli. Ma il dato clinico non racconta tutto. Il Papa era alla Domus Santa Marta, dove aveva scelto di vivere sin dall’inizio del suo pontificato, rifiutando gli appartamenti pontifici. Anche questo, in fondo, è un gesto che oggi acquista un significato pieno. È morto dove ha vissuto. Senza sfarzo. In coerenza con ciò che aveva scelto di essere.
Colpito negli anni da diversi problemi respiratori, ipertensione, diabete e bronchiectasie, Francesco aveva ridotto da tempo gli impegni pubblici. Ma aveva tenuto fino all’ultimo la scrivania piena. E un’agenda di incontri con capi religiosi e responsabili umanitari che parlava chiaro: il lavoro non si era mai interrotto. Neanche quando il corpo aveva cominciato a cedere.
Il testamento: la nuda terra, una parola sola
“Miserando atque eligendo.” Inizia così il testamento spirituale di Papa Francesco, diffuso dalla Sala Stampa vaticana. Ma le righe che colpiscono di più sono quelle dedicate al suo desiderio di sepoltura. Nessuna tomba monumentale, nessun sarcofago marmoreo. Solo terra. Solo il nome: Franciscus. Sarà tumulato nella Basilica di Santa Maria Maggiore, tra la Cappella Paolina e la Cappella Sforza. Lì, dove era solito recarsi a pregare prima e dopo ogni viaggio apostolico, affidando ogni volta a Maria le sue intenzioni.
La scelta è più che simbolica. È quasi una dichiarazione finale. L’ultima parola non come fine, ma come stile: quello di un pontificato che ha voluto essere vicino, accessibile, umano. E che adesso chiede la stessa semplicità anche dopo la morte.
Dolore e memoria, Roma si prepara
La città è già cambiata. Si percepisce anche nei piccoli gesti: la fila di candele spontanee fuori dalle basiliche, il silenzio nei vicoli attorno al Vaticano, la lentezza dei passi di chi si avvicina a San Pietro solo per fermarsi e guardare. Non ci sono slogan, né grandi proclami. Solo persone. Alcuni con una rosa, altri con una preghiera sottovoce. Tanti con una domanda: cosa accadrà ora?
Il Conclave sarà il tempo della scelta, della ricerca di un nuovo pastore. Ma per ora, Roma è ferma davanti a una perdita. Non è solo la morte di un Papa. È la fine di una voce che ha fatto del parlare piano la sua forza, del farsi piccolo la sua grandezza.