Franco Battiato ci ha lasciati: ma lui stesso cantava che “la vita non finisce”
Si è spento a 76 anni l’Artista che ci ha donato gioielli come “La cura”: innovatore e sperimentatore, colto e raffinato, ha trasceso ogni confine. E ora l’umanità è un po’ più povera
Franco Battiato ha abbandonato la prigione del corpo. All’età di 76 anni, il Maestro si è spento nel suo buen retiro di Milo, nella «casa di collina» che aveva immortalato in Giubbe rosse. Impossibile imprigionarlo all’interno di banali etichette: compositore, libero pensatore, regista, pittore, mistico, innovatore ineffabile, precursore mai banale, autore di capolavori entrati nella Storia della musica. Ebbe perfino una breve esperienza politica come assessore al Turismo della Regione Sicilia, al tempo del Governatore Rosario Crocetta.
Probabilmente, l’unico titolo che gli calza davvero a pennello è quello di Artista – con la “A” maiuscola. Anche per questo, forse, cercava un Centro di gravità permanente che non ha mai trovato. Il che, a ben pensarci, è uno dei tratti caratteristici del Genio.
È morto Franco Battiato
Il messaggio più significativo è arrivato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che si è detto «profondamente addolorato dalla prematura scomparsa di Franco Battiato». Il Capo dello Stato ha ricordato il suo corregionale come «artista colto e raffinato», capace di affascinare «un vasto pubblico» anche oltre i confini nazionali.
Trascendeva i limiti come trascendeva i generi il compositore etneo, capace di spaziare dall’opera lirica alla musica pop all’elettronica con l’irrequieta ispirazione dello sperimentatore. La sua carriera è durata oltre cinquant’anni, con l’addio alle scene nel 2017 (dopo un incidente domestico) e l’ultimo album nel 2019. Il titolo, Torneremo ancora, oggi suona quasi profetico, perché il Genio trascende anche la morte, e lo stesso Maestro cantava: «la vita non finisce».
Profetico, d’altronde, lo è sempre stato, fin dall’album di esordio, Fetus (1972), in cui anticipava concetti che la genetica iniziava appena a comprendere. Era l’inizio di una scalata contrassegnata dai sodalizi col violinista Giusto Pio e il filosofo Manlio Sgalambro, che diedero vita a un repertorio di qualità eccelsa. Da L’era del cinghiale bianco a Voglio vederti danzare, da E ti vengo a cercare a Bandiera bianca a Cuccurucucù. Fino alla gemma più sfolgorante, La cura, che contiene quello che è forse il verso più bello della canzone italiana: «tesserò i tuoi capelli come trame di un canto». Silence, please.
Il tributo al Maestro
Franco Battiato è stato un ricercatore della Verità, avvertiva forte la tensione verso l’Assoluto e l’Infinito che toccano l’uomo soprattutto attraverso l’Amore. Che definiva un «sentimento popolare» che «nasce da meccaniche divine».
Ora, come lui stesso cantava, ha superato «le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce» per sconfiggere «il tempo che non vuole». Si sa da tempo che era malato, eppure sulla natura di questa patologia vige tuttora il più stretto riserbo.
L’amico e poeta Roberto Ferri gli dedicò la sua Ode all’amico che fu e che non mi riconosce più, facendo pensare che il Maestro soffrisse di Alzheimer. Circostanza però sempre smentita dalla famiglia. La scomparsa del Genio siciliano è dunque avvolta in quella stessa aura di mistero che sovente accompagnava i suoi testi densi di criptica spiritualità.
Era in effetti considerato un compositore di nicchia, eppure è suo il primo LP capace di superare un milione di copie vendute in Italia. Era il 1981, il 33 giri era La voce del padrone. Un tributo del pubblico, come un tributo, colmo di affetto e complicità, era l’imitazione con cui l’ha omaggiato un altro grande catanese come Fiorello.
In un’epoca sempre più segnata dal warholiano quarto d’ora di celebrità che non si nega proprio a nessuno, Battiato si ergeva come un gigante sui lillipuziani. Per questo è giusto che la Musica, l’Arte, la Cultura, lo Spettacolo piangano l’occultamento della sua luce. Ma è l’umanità intera, da ieri, a essere un po’ più povera. Grazie di tutto, Maestro.