Furbetti del bonus Inps, il vero scandalo è chi fa le leggi
Monta l’indignazione contro i parlamentari che hanno beneficiato dei 600 euro. Ma
il problema è l’inadeguatezza di chi lo ha reso lecito scrivendo i Dl in modo imbarazzante
Andremo pure controcorrente, ma a noi quello dei furbetti del bonus sembra al più un peccato veniale, se non un’arma di distrazione di massa. Un caso che serve a distogliere l’attenzione da vicende ben più serie, tipo le conseguenze della desecretazione dei verbali del Cts ante-lockdown. Anche perché si espongono al pubblico ludibrio i colpevoli sbagliati, visto che i veri responsabili sono coloro che hanno scritto la legge in modo imbarazzante.
Lo “scandalo” dei furbetti del bonus
È stata La Repubblica a far scoppiare il cosiddetto scandalo dei furbetti del bonus da 600 euro destinato ad autonomi e partite Iva. Il contributo erogato dall’Inps per effetto dei Dl Cura Italia e Rilancio onde contrastare le conseguenze economiche della pandemia da Covid-19.
E proprio una pomposa struttura dell’ente previdenziale – la Direzione centrale Antifrode, Anticorruzione e Trasparenza – ha segnalato la notizia riportata dal quotidiano romano. Tra coloro che hanno richiesto il bonus figurano anche cinque parlamentari e duemila «tra assessori regionali, consiglieri regionali e comunali, governatori e sindaci». Che, en passant, significa che saranno quasi tutti primi cittadini, vista l’esiguità delle altre categorie.
Apriti cielo, naturalmente, non foss’altro perché molti si sono visti negare il contributo – a cui avrebbero avuto pieno diritto – per dei cavilli burocratici. Incluso chi scrive, così a scanso di equivoci.
E, dal momento che l’istituto diretto da Pasquale Tridico, come d’abitudine, lancia il sasso e poi si trincera dietro la privacy, è subito scattata la caccia ai reprobi. Nel frattempo scesi a tre, che sarebbero i deputati che hanno effettivamente usufruito del bonus.
Sui social è rapidamente divenuto virale l’hashtag #FuoriINomi, ma anche la politica ci ha messo del suo. Soprattutto il M5S, col Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il Presidente della Camera Roberto Fico che hanno parlato di indecenza e obblighi morali.
Sulla stessa falsariga il segretario dem Nicola Zingaretti, che si è limitato a un laconico: «Posso dire che è una vera vergogna?» In trincea anche Italia Viva, con il Ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova che ha fatto appello alla dignità degli interessati.
Infine, è partito all’attacco anche il centrodestra. Soprattutto i leader del Carroccio, Matteo Salvini, e di FdI, Giorgia Meloni, con quest’ultima che ha parlato di «squallore».
Perché è un’indignazione demagogica
Questo sdegno bipartisan potrebbe anche essere umanamente comprensibile, ma di certo è un atteggiamento del tutto demagogico. Oggi si direbbe “populista”, se non fosse che allo scrivente questo termine dà l’orticaria.
Anzitutto perché si getta nel calderone chiunque, senza considerare, per esempio, la situazione degli amministratori locali. I quali, soprattutto nei paesi con poche migliaia di abitanti, percepiscono un’indennità di funzione relativamente bassa, come hanno evidenziato alcuni consiglieri che si sono “autodenunciati”.
A partire dalla meneghina Anita Pirovano, della lista Milano progressista, che ha fatto presente che «non vivo di politica perché non voglio e non potrei».
Anche Franco Mattiussi, albergatore e consigliere regionale friulano in quota FI, è uscito allo scoperto. Dichiarando di aver utilizzato «quei soldi anche per far quadrare conti che comunque dovevano essere saldati. Perché nonostante tutto fosse fermo, bollette e tratte continuavano ad arrivare».
Al di là delle eventuali situazioni di necessità, comunque, il punto vero è un altro. Perché le presunte pietre dello scandalo hanno indubbiamente fatto qualcosa di eticamente, diciamo, non irreprensibile. Ma era qualcosa di assolutamente legale e lecito, perché erano i Decreti governativi a prevederlo.
Il vero problema, cioè, è che gli autori di quelle normative non hanno minimamente considerato una possibilità estremamente semplice. Quella che il parterre dei potenziali beneficiari del bonus potesse includere quei professionisti che godono di diaria e indennità (anche ingente) per attività extra-professionali.
Perciò, cari indignati speciali, se proprio volete invocare le dimissioni di qualcuno, dovete puntare l’indice in direzione di Palazzo Chigi. Benvenuti nel mondo reale, a proposito.
La vera emergenza è a monte dei furbetti del bonus
Peraltro, in questo particolare momento storico, il problema vero è ancora più a monte. E va ricercato fra coloro che siedono nelle stanze dei bottoni, e in particolare in una certa forza politica. Che il leader di Iv Matteo Renzi aveva sobriamente liquidato come «l’incompetenza elevata a elemento di orgoglio».
Solo per fare un rapido excursus, negli ultimi giorni abbiamo avuto un exploit del Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Che ha denunciato via social «un’infrazione» in una scuola nel Foggiano, ignorando che al più i ladri possono compiere un’effrazione.
Prima invece era stata la volta di Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Affari esteri, che aveva voluto esprimere solidarietà agli «amici libici». Dopo le esplosioni verificatesi in Libano. D’altronde, il suo superiore Di Maio pensava che il dittatore cileno Augusto Pinochet fosse venezuelano.
Non che gli altri partiti siano immuni da svarioni. Solo per fare un paio di esempi, nella Lega il Capitano ha elogiato il nuovo ponte di Genova che «si autoalimenterà con i pannelli di metano». Mentre in casa Pd Zinga ha augurato «Buon Primo Maggio all’Italia che resiste», corredando però il messaggio con l’immagine di alcuni infermieri cinesi.
Tuttavia, il MoVimento paga quell’impostazione (pseudo) culturale che si riassume nel ridicolo slogan “uno vale uno”. Per cui, per dire, si può pure piazzare un commesso con la licenza media a vigilare sulla gestione delle risorse del Recovery Fund. Anche se poi, come da frecciata del costituzionalista Sabino Cassese, neppure l’Elevato (sic!), se ha il bagno rotto, chiama il falegname.
Perché un conto è la casa, un Conte è la cosa – pubblica. E questo spiega benissimo perché la vicenda dei furbetti del bonus è forse l’ultima delle criticità di questo travagliato periodo.