Genova, Ponte San Giorgio: se l’esempio non diventa regola è una sconfitta
Ponte San Giorgio di Genova dimostra che il nostro Paese può contare su capacità organizzative e realizzative di altissimo livello
Ho volutamente atteso che si concludesse il peana degli entusiasti cantori televisivi per dire solo adesso la mia sulla vicenda del nuovo ponte di Genova. Il giorno dell’inaugurazione e della consegna del Ponte San Giorgio, nei notiziari dei TG e nelle varie trasmissioni che salutavano il felice evento ne ho sentite di tutti i colori. Non sono mancate, com’era giusto, le lodi al generoso ed autorevole progettista, che nel suo discorso ha voluto unificare il dolore per il ricordo delle vittime e la soddisfazione per il ritorno al futuro del capoluogo ligure. Non sono mancati gli apprezzamenti per l’efficiente condotta dei lavori, ma anche le doverose riflessioni sul possibile sviluppo della trattativa tra lo Stato italiano e la famiglia Benetton, azionista di maggioranza, per l’uscita dal gruppo che gestisce le Autostrade.
Mi hanno in particolare colpito le iperboliche metafore che, prendendo a pretesto il nome del ponte, hanno voluto assimilare la burocrazia, quella che altrimenti avrebbe impedito la rapida realizzazione dell’opera, al temibile drago sconfitto da San Giorgio.
Lode al ponte e la leggenda del drago
Tra le leggende degli uccisori di draghi, quella di San Giorgio – soldato della Cappadocia, martirizzato sotto l’Imperatore Diocleziano e nei tempi moderni scelto come santo protettore di Inghilterra e Portogallo – è la più famosa. La leggenda narra di un drago che flagellava la città libica di Selem, che gli abitanti cercavano di placare offrendogli in pasto delle vittime sacrificali, sorteggiate tra i giovani della cittadina. Ma quando venne sorteggiata la figlia del Re, manco a dirlo, comparve san Giorgio a cavallo, che affrontò il drago e lo ammansì come un cagnolino, legandolo al guinzaglio della principessa. Davanti a cotanto miracolo il Re e l’intera popolazione si convertirono e il Drago, nonostante fosse ormai mansueto, venne ucciso. Il destino dei poveri draghi è quasi sempre questo.
La metafora di Ponte San Giorgio che uccide il drago burocrazia
Secondo alcuni commentatori il San Giorgio-ponte, avrebbe sconfitto il terribile Drago-burocrazia, facendo sì che l’opera pubblica venisse realizzata in meno di due anni. Appunto un miracolo! I miracoli, si sa, sono eventi eccezionali, frutto di congiunzioni astrali e di volontà divine difficilmente replicabili, ma in molti si sono domandati se la circostanza eccezionale sia riproducibile in futuro, quantomeno per le grandi opere, liberando, almeno per questi casi, l’Italia dalla morsa della burocrazia.
Ma non può essere la regola
La risposta quasi unanime è stata “no”, non potrà diventare la regola. Perché? Per la semplice ragione che in Italia esiste la corruzione e semplificando i percorsi tecnico amministrativi si rischierebbe di favorirla. La regola non può che essere quella di controllare puntualmente, rigorosamente e con i tempi giusti, ogni passaggio, per essere certi di arginare la corruzione e il malaffare. Peccato che tutte le leggi emanate in questi anni per arginare la corruzione abbiano prodotto, come risultato principale, il rallentamento delle opere pubbliche. La corruzione ha continuato invece a crescere felicemente.
Saper combattere la burocrazia e la corruzione
Strano animale, per continuare con l’immagine mitologica, il Drago della corruzione. Tutti lo conoscono, molti sanno come si sviluppi e cresca, ma quasi nessuno sa come bloccarlo. Qualche ottimo dirigente e molti magistrati sanno combattere la corruzione, ma pare che nessuno sappia come prevenirla in modo efficace. E’ una creatura mostruosa che, tuttavia, fa buon gioco quando serve come utile spauracchio per non affrontare le sfide cruciali. Ricordate la vicenda della candidatura olimpica di Roma?
No alle Olimpiadi, c’è la corruzione
La tesi era che si doveva dire no alle Olimpiadi perché c’è la corruzione e le opere da realizzare rischiavano di divenire preda delle mafie! Il povero Malagò, che sperava di legare il suo nome allo straordinario evento delle Olimpiadi romane, si mise quasi in ginocchio davanti al Vicesindaco Frongia: “fate voi le gare d’appalto, fatele fare all’Autorità Nazionale Anticorruzione di Cantone, diteci cosa volete e lo faremo, ma vi prego accettate la candidatura olimpica”. Niente da fare, c’è la corruzione! La ragione vera credo fosse la coscienza di non essere in grado di gestire un processo organizzativo di quelle dimensioni e la vicenda dello Stadio della Roma, opera molto più modesta, in attesa di una risposta definitiva da anni, dimostra che il timore era del tutto fondato.
La paura della corruzione chiuse ogni possibilità di dialogo. La decisione, peraltro, fu accolta da un sostanziale consenso popolare. Nessuno accettava l’idea che potesse invece essere l’occasione per dimostrare di essere capaci ed onesti e forse la Raggi non si fidava nemmeno dei suoi.
Burocrazia e corruzione figlie della politica
La burocrazia e la corruzione sono i due mostri contro i quali si scatenano le ire tanto dei cittadini quanto dei politici. I cittadini hanno tutte le ragioni di odiare i corrotti e i burocrati, ma i politici? Beh, i politici dovrebbero tacere, perché sono proprio loro che, più o meno volontariamente li alimentano e li sostengono. Qualcuno ricorda fatti corruttivi nei quali non fossero coinvolti dei politici? Molto raro. Lo stesso vale per la burocrazia, che esiste nella misura in cui la fanno esistere i politici.
Come la politica sceglie i burocrati?
Mi spiego: i funzionari che occupano i vertici delle Amministrazioni, a tutti i livelli, sono nominati dai politici. La legge vuole che si valutino i curriculum, ma spesso è una farsa. Basta andarsi a leggere qualche curriculum di dirigenti o funzionari di alto livello per rendersene conto. I burocrati li scelgono i politici e spesso li mettono lì proprio per fare i burocrati. Salvo poi lamentarsene quando la loro incompetenza, lentezza o inadeguatezza impedisce la realizzazione di qualche importante obiettivo. I dirigenti, una volta nominati a capo delle strutture di vertice, godono di ampia autonomia decisionale e quindi, se sono incapaci e timorosi, si trasformano in ostacoli. Con chi volete prendervela, signori politici ed amministratori locali, se nei posti di comando mettete persone che si preoccupano solo della loro tranquillità e della loro carriera, cioè si comportano da burocrati?
La politica e la lentezza delle procedure
L’altra responsabilità dei nostri politici riguarda le procedure. I funzionari pubblici si trasformano in burocrati non solo quando sono incapaci o paurosi ma anche quando devono affrontare la complessità, la farraginosità e l’incongruenza delle normative e delle procedure che sono tenuti ad applicare e rispettare. Se non lo fanno in modo pedissequo e cercano di utilizzare un pizzico di fantasia e di inventiva, rischiano di finire indagati per abuso d’ufficio. Capita sempre più raramente che qualche funzionario decida, per spirito di servizio, di raggiungere un obiettivo “sporgendosi” fino all’estremo limite consentito dalla legge. Ma si avventura in un terreno scivoloso, nel quale il rischio di essere sospettati e indagati è molto alto. E quando succede, chi sono i primi a condannare il povero funzionario, prima ancora che finiscano le indagini?
Guarda caso proprio gli amministratori locali e i politici che gli sollecitavano la decisione. Ma quelle leggi e le norme che rendono tutto così complicato chi le scrive? I politici ed i loro consulenti, che in genere sono dirigenti di alta fascia, persone di fiducia del Governo e dei leader politici di turno. Cioè quegli stessi burocrati dei quali i politici si lamentano. Quindi con chi volete prendervela, signori politici?
Colpe condivise tra politici, burocrati e corrotti
Se la corruzione e la burocrazia esistono, la colpa va ripartita equamente tra i singoli individui corrotti e i nostri politici. Ovviamente la responsabilità degli specifici fatti corruttivi è individuale, ma la responsabilità oggettiva, di favorire burocrazia e la corruzione è dei nostri politici, perché sono loro a decidere chi deve stare nei posti di comando e quali norme e procedure devono seguire e applicare. Ho trascorso tutta la vita nella Pubblica Amministrazione e ne ho visto sia la bellezza che la pochezza. La bellezza è il frutto dell’incontro di politici onesti, capaci e lungimiranti con funzionari altrettanto onesti capaci, motivati e determinati. La pochezza e la vergogna arrivano sempre quando mancano entrambe le componenti. Raramente ho visto nei politici la volontà di semplificare i percorsi normativi e procedurali.
Chi ha letto il tanto decantato e sedicente “decreto semplificazione” ha dovuto prendere atto dell’ennesima operazione di facciata. Non che manchino alcune buone idee, soprattutto per l’edilizia e le opere pubbliche, ma la semplificazione, quella che dovrebbe liberarci dai lacci e lacciuoli della burocrazia, è un’altra cosa.
Se davvero si vuole prevenire la corruzione
La corruzione non si previene con i faticosi, lenti e spesso inutili controlli preliminari. Semmai è il contrario. E moltiplicando i centri di potere e di veto non si arginano i comportamenti burocratici. La corruzione si elimina con le norme chiare e le procedure semplici e limitando la richiesta di certificazioni e documentazioni a quelle strettamente ed effettivamente necessarie per valutare gli aspetti tecnici e giuridici delle proposte progettuali o imprenditoriali. La burocrazia si elimina facendo prevalere il risultato sul mero adempimento formale. Infine, ma forse ancora più importante, l’individuazione della responsabilità personale ed effettiva di chi assume le decisioni.
Responsabilità che per essere assunta con serenità deve essere sostenuta dalla convinzione della buona fede del funzionario. Convinzione che può essere smentita solo da prove inconfutabili e non deve essere messa in discussione dal semplice sospetto avanzato da un pubblico ministero. Ciascuno deve fare la propria parte con lealtà e serenità, tanto il funzionario quanto gli organi inquirenti. Solo allora responsabilità e sanzione assumono un significato chiaro.
Responsabilità e sanzioni, parole sconosciute
Ma responsabilità e sanzione sono parole che da noi esistono solo sulla carta, se dopo due anni non sappiamo ancora di chi sia la colpa del disastro del Ponte Morandi. Chi doveva controllare, cosa e come doveva essere controllato? E così ci ritroviamo incredibilmente ad oscillare – per la verità oscillano i nostri politici – tra la istintiva, dunque sbagliata, voglia di vendicarsi di Benetton e la tentazione di fare finta di prenderli a pedate mentre invece li stiamo coprendo d’oro. Anche qui la colpa è dei burocrati? Di sicuro non abbiamo bisogno di seguire la via della giustizia sommaria, né di scelte avventate che potrebbero danneggiare interessi nazionali strategici, non ultimo quello della certezza del diritto che è l’unica garanzia per gli investitori che vogliano rischiare i loro soldi in Italia.
Il vero insegnamento del Ponte di Genova
Alla fine, qual è l’insegnamento dell’esperienza del Ponte di Genova? Abbiamo incaricato un Commissario di fare presto e bene, assegnandogli le giuste risorse e liberandolo da inutili legacci. Lo abbiamo lasciato libero di assumere la responsabilità delle sue decisioni, fino a scegliere direttamente chi dovesse realizzare l’opera, ovviamente dopo averne accertato le capacità tecniche ed imprenditoriali. E l’abbiamo fatto fidandoci pienamente delle sue scelte, ma senza rinunciare a richiedere resoconti e verifiche. Il Commissario sapeva di avere su di sé gli occhi di un’intera Nazione ed ha deciso di giocarsi la sua credibilità personale e manageriale assumendo l’onere di una grande sfida. Il successo gli dà oggi l’orgoglio di avere raggiunto un risultato importante per sé stesso e per l’Italia.
Questa è la molla che indurrebbe molti dirigenti e funzionari a fare con passione la loro parte sentendosi orgogliosi di essere al servizio del Paese. Ma anche con la consapevolezza che il successo presuppone il premio e il plauso della collettività, mentre l’insuccesso comporta, in caso di responsabilità personale, una sanzione.
Se l’esempio non diventa regola è una sconfitta
Perché questo metodo non può diventare la regola e deve invece essere l’eccezione che conferma la regola della lentezza e dell’incapacità di ottenere un risultato? Il Ponte di Genova dimostra che il nostro Paese può contare su capacità organizzative e realizzative di altissimo livello, su funzionari onesti, competenti e orgogliosamente determinati. Un successo del quale è giusto essere soddisfatti. Ma la storia del nuovo Ponte di Genova è, contemporaneamente, anche la rappresentazione plastica della sconfitta del nostro Paese. Perché se esultiamo per quello che altrove è il normale esito di un’opera pubblica, vuol dire che nel nostro Paese la regola è il fallimento degli obiettivi e il dispendio delle risorse pubbliche. Una sconfitta che paghiamo tutti. Ma sia chiaro che non è la sconfitta dell’Italia ma solo di coloro che continuano a combattere la burocrazia e la corruzione solo a parole.
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