Geolier tornato a Napoli restituisce i fischi ai giornalisti
“Visto che hanno fischiato, ora fischiamo noi a loro”, dice Geolier incitando la folla, dopo essere tornato a Napoli
Geolier, secondo al Festival nonostante il 60% del Televoto, sembrava accettare il verdetto e aveva parole dolci per chi lo criticava. Una volta al balcone di casa, di fronte alla folla plaudente, s’è tolto i sassolini dalla scarpa. È umano ma è anche una caduta di stile.
Emanuele Palumbo, nato a Napoli il 23 marzo 2000, conosciuto col nome d’arte Geolier è un rapper napoletano. Dal 2018 si è immerso nel mondo della musica leggera, scegliendo il filone rap, ma per qualcuno sarebbe il neomelodico e collaborando con musicisti come Luchè, Emis Killa, Guè Pequeno, Lele Blade e MV Killa. Nomi che mi riesce anche difficile pronunciare perché, lo dico subito, è un genere che non mi piace, mentre mi piace tutto quello che Napoli riesce a esprimere, e provo una innata simpatia per i napoletani e molti dei miei migliori amici sono partenopei o campani.
Una polemica sul razzismo verso Napoli che non c’era, del tutto infondata
Dirò subito che la polemica che ha investito Geolier, nel dopo festival, da parte di alcuni frequentatori dei social per via dei giornalisti che lo hanno fischiato e che criticavano il suo pezzo, non esprime, a mio parere, un’avversione su di lui in quanto napoletano. Credo si tratti di una montatura. La qual cosa potrebbe anche aver giovato a far parlare del fenomeno Geolier. Che ne parli male o bene, purché se ne parli. Non ho ravvisato nella critica della sala stampa del festival niente di tutto ciò ma una critica legittima al suo brano. Quando ti presenti su quel palco ci sta che al pubblico e ai giornalisti non piaccia quello che canti e come lo canti.
Non ci trovo motivo per fare polemica. A noi vecchi piace Aretha Franklin a voi millennial Geolier. A noi boomers Lucio Battisti e Pino Daniele, a voi ragazzi Gué Pequeno. Ognuno ascolti quel che più gli garba. Non stiamo neanche a fare paragoni, sono scelte personali che possono anche avere un tratto generazionale ma non c’entra niente il razzismo, perché il Neapolitan Power piace tantissimo a noi vecchi, ex lettori di Ciao 2001, riesumato dal buon Renato Marengo.
Il successo commerciale di Geolier e altri come lui non si discute
Ho letto che è un artista molto seguito dalla sua generazione, molto ascoltato a Milano e a Roma, ancor più che a Napoli e me ne compiaccio. Ho sentito le sue parole che gettavano acqua sul fuoco per spegnere le polemiche sul razzismo e su una presunta rivalità con Angelina Mango, la vincitrice, verso cui proferiva parole di affetto artistico e umano. Me ne compiaccio ancor di più. Lo stesso Massimo Gramellini si era lanciato in sperticate lodi del ragazzo capace di restare calmo davanti a una platea che lo stava fischiando.
Ha rifuggito dall’ idea di porsi lui stesso come vittima sacrificale per aver perso il Festival, nonostante il 60% dei televoti a suo favore, come se fosse una investitura popolare, come un premierato in musica, per capirsi. Invece no. Dotato di invidiabile saggezza, Geolier rifuggiva da tutto questo anche se usa un marketing, legittimo, ma aggressivo e per questo non simpatico. Una organizzazione capillare lo sostiene presso le scuole, diffonde un video su come si possa votare 5 volte a testa al televoto, viaggia con l’aereo privato e un nutrito gruppo di “amici” al seguito.
Tutto legittimo ma che mi mette in sospetto, non sulla napoletanità, ma sull’organizzazione che c’è dietro. Dove c’è business c’è di tutto, sapete com’è. E lui sembra riscuotere molto successo su Tiktok e Spotify, il suo album è tra i più venduti del 2023.
Una volta a casa si affaccia dal balcone e si toglie i sassolini
Poi, dice sempre Gramellini sul Corriere della Sera, torna a Secondigliano e saluta dal bus, come se avesse vinto la Coppa dei campioni e, una volta a casa, si affaccia dal balcone. Da lì è venuto fuori un altro Geolier, uno che non ha digerito quel secondo posto ma non ha avuto il coraggio di dirlo subito. Nel filmato ripreso da alcuni presenti e divulgato sui social si vede il cantante napoletano che si rivolge a quelli che lo hanno accolto in città.
“Visto che hanno fischiato, ora fischiamo noi a loro”, dice incitando la folla. Il riferimento è all’episodio della serata delle cover, quando in seguito alla classifica provvisoria che lo vedeva primo, dalla sala stampa si sono sollevati molti fischi.
Il vittimismo del cantante che è arrivato secondo perché napoletano non ha fondamento se non nel preconcetto di alcuni napoletani
Cosa c’è dietro questa stupida polemica sul presunto razzismo contro i napoletani? A me pare non una cosa organizzata ma uno di quei temi da social che scattano facilmente, direi quasi naturalmente, come conseguenza di un episodio cui si vuole dare una spiegazione. Un preconcetto che si sposa col pensiero collettivo, una leggenda metropolitana, anche se non è la verità e diventa subito accettata. In “Ricomincio da Tre” Massimo Troisi si trova fuori Napoli per la prima volta e ogni volta che apre bocca c’è qualcuno che chiede:
“Napoletano?”
“Si”
E segue la deduzione ovvia dell’interlocutore: “Emigrante?”
Alla terza volta che lo chiamano emigrante è costretto a dire sì e a dare per scontata un’etichetta che tutti gli vogliono appioppare. Quando sei lontano da Napoli devi essere per forza un emigrante. Così se si fischia un napoletano non è perché la canzone è brutta o ci sembra brutta ma perché lui è napoletano e ha osato cantare in napoletano nel tempio della Canzone Italiana.
Geolier è un campione nel suo genere, apprezzato dai giovanissimi
Molti dei partecipanti cantavano il genere rap, o ripeto, come -dicono alcuni- neomelodico, dove di melodico però io non ci vedo niente. Geolier è un divo nel suo ambito. Ha venduto moltissimo, come Lazza o Rocco Hunt, è noto tra i ragazzi e ha molto seguito. Pare che le città in cui sia maggiormente apprezzato siano Milano e Roma più di Napoli, addirittura. Geolier aveva ottenuto il 60% dei voti del Televoto. Tutto questo però non gli garantisce la vittoria automatica al festival della Canzone Italiana, dove votano anche critici musicali attempati e dove ha un peso anche il voto di chi ha passato i 40 anni.
È del tutto irrilevante che il pezzo piaccia al 60% dei ragazzi che votano 5 volte a testa al televoto, se poi non piace alle radio e alla sala stampa e anche quella parte del pubblico che non vota al Televoto o a quel 40% che vota altri. È arrivato secondo, perché nel computo totale i voti delle radio e della sala stampa, che insieme raggiungono il 66% del voto finale, hanno decretato vincitrice Angelina Mango, che è figlia d’arte, sa cantare modulando la voce, non usa l’auto tuner, lo strumento che usano tantissimi cantanti improvvisati, che fa cantare intonate anche le capre!
Ci può stare che alla maggior parte degli italiani non piaccia il genere rap o no?
Il 60% del televoto è tanto ma non è un dato oggettivo. Intanto non è il 60% degli Italiani, è il 60% di quelli che hanno usato il telefono per votare. E in molti hanno espresso 5 voti a testa. Però questo dato ha scatenato una campagna vittimista lamentando il solito razzismo antimeridionalista che qui non trova spiegazione. Quella suddivisione della Giuria, giusta o sbagliata, non si può disattendere: televoto, più sala stampa più radio. Ciascuno esprime un terzo. Non funziona? Se ne parli, che si riveda la formula, se necessario.
La critica della sala stampa, di giornalisti che da decine d’anni seguono il Festival e quelle delle radio che, volenti o nolenti, rappresentano i maggiori diffusori delle canzoni di Sanremo, hanno deciso altrimenti. Punto. Per me canzoni come quelle di Geolier non meritano neanche quel palcoscenico. È un mio umile parere. Come è legittimo quello di chi pensa che ci debba andare. Che ci vada e se perde, faccia come Vasco Rossi o come Zucchero Fornaciari o come Paolo Vallesi. Si rifaccia con le vendite. Per quello si va a Sanremo! Non per la gloria.
Il mercato non è il criterio per stabilire la qualità. Per questo c’è il premio della critica
Chi vince ne ricava un prestigio ma non è detta che venda più degli altri che perdono. E chi ha venduto più di tutti non è detto abbia avuto il pezzo più bello. Ma solo quello più venduto. Il mercato non è il criterio della qualità. Non lo è per il Cinema, la Tv, perché dovrebbe esserlo per la canzonetta? Ma non perché il cantante sia napoletano e canta nella sua bellissima lingua. Che sia seguito da miliardi di ragazzi non me ne frega niente. Continuo ad ascoltare con più piacere Van Morrison, Led Zeppelin, Celine Dion, Lucio Dalla o Pino Daniele piuttosto che i rapper.
Sarà un mio limite ma quegli artisti hanno un’età e ancora c’è chi li segue e li seguiranno per decine d’anni ancora. Fra dieci anni di Geolier e del suo pezzo attuale, non se ne ricorderà nessuno e non perché è napoletano, ma perché la sua canzone non lascia un segno, nessuna emozione, nessuno stimolo, per me. Se per i ragazzi funziona benissimo che se lo godano. Il rap è nato in America negli anni ’70 e più tardi è arrivato da noi.
Ditemi quali canzoni di rapper italiani di trenta o anche solo dieci anni fa vi ricordate? Se avesse funzionato dovrebbe già esserci almeno un brano di quelli che si cantano con gli amici, nelle gite. Quando una musica supera i confini dei suoi fans e del suo tempo e invade altri target e altre epoche allora puoi cederci che c’è qualcosa, un quid di eterno che lo renderà un segno della sua epoca, che rimarrà per sempre. Quale brano rap ha superato i confini del genere ed è diventato universale?
Non voglio vincere facile prendendo un pezzo blues o rock o pop o disco. Restiamo vicino al rap. Nel reggaeton, per esempio, ce ne sono diversi e Despacito è il non plus ultra. Ma per il rap?