Ghali: “Stop al genocidio”. Se tocchi Israele, all’AD Rai vacilla la poltrona
Che quello di Israele si tratti di rischio di genocidio lo ha dichiarato anche il Tribunale dell’Aja che quando ha condannato Putin per crimini di guerra stava bene a tutti
Una semplice frase di Ghali contro il genocidio del popolo Palestinese ha mandato di traverso la gioia dell’AD Rai Roberto Sergio per il successo del Festival. Non è bastato John Travolta con la pubblicità occulta, ora ci si mette anche Ghali con la guerra in Medio Oriente.
Al termine della sua esibizione dal palco dell’Ariston, uno dei partecipanti al 74° Festival di Sanremo, Ghali, prima sconosciuto ai più, aveva pronunciato una frase: “Stop al genocidio!” Una frase precisa, chiara, contro lo sterminio di civili palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, un crimine perpetrato contro il parere del mondo intero, come ritorsione spropositata rispetto al rapimento e uccisione di civili israeliani, il 7 ottobre scorso, da parte dei terroristi di Hamas.
Ma se dei terroristi uccidono dei civili, uno Stato che si chiami democratico, non può sganciare bombe a decine di migliaia su ospedali e case, per ritorsione, massacrando ad oggi oltre 27mila persone non colpevoli di quella odiosa strage. Questo è il mio pensiero, questo, forse, voleva dire Ghali. Certo avrebbe fatto bene a completare la frase con un “No al terrorismo di Hamas.” Oltre alla richiesta di fermare il genocidio!
Che sia genocidio lo dice anche il Tribunale internazionale dell’Aja
Ma che si tratti di rischio di rischio di genocidio non v’è dubbio alcuno. Lo ha dichiarato anche il Tribunale Internazionale dell’Aja. Al quale l’Occidente è ricorso per condannare Putin per crimini di guerra, e in quel caso la condanna stava bene a tutti. Il 26 gennaio scorso, ha spiegato la giudice Joan E. Donoghue, in risposta alla denuncia presentata dal Sud Africa, “che non era possibile ammettere il ricorso del Governo di Netanyahu, contro la denuncia di atti di genocidio commessi da Israele contro il popolo palestinese”.
Questo per stare agli atti formali, ufficiali, del consesso mondiale. Gli stessi Stati Uniti hanno avuto parole di biasimo per il governo Netanyahu, che rischia di trascinare la Nato (di cui Israele parte) in un possibile conflitto mondiale, se prosegue su questa strada irresponsabile, che potrebbe far insorgere altri stati medio orientali, tra i quali l’Iran, con le sue testate atomiche.
La Comunità ebraica ricorda la Shoah ma non vede l’ingiusta sorte dei civili palestinesi
Comunque quella semplice richiesta, per altro conforme alla nostra Costituzione che ripudia la guerra come strumento per dirimere le controversie internazionali, ha suscitato la pronta denuncia della Comunità ebraica di Roma, la cui presidente Noemi di Segni ha scritto: “Se la musica e il festival, per la sua rilevanza, è lo spazio per la libertà di esprimere pensieri di amore, di dolore, di gioia, di denunce sociali e contestazioni politiche, dispiace che questo palco non sia stato l’occasione per lanciare parimenti, un appello per il rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas, lasciando all’unilateralità la legittimazione alla distorsione, con uso di termini che ancora una volta offendono la storia del nostro paese e dell’Europa tutta”
Pure l’ambasciatore israeliano in Italia Alon Bar ha lanciato un messaggio su X (ex Twitter): “Ritengo vergognoso che il palco del Festival di Sanremo sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”.
L’AD Rai dimentica che la Rai è di tutti gli Italiani e non del Governo e sposa la tesi israeliana
La polemica ha dato origine a un intervento dell’Amministratore Delegato Roberto Sergio, in un comunicato inviato al programma Domenica In, affinché fosse letto in diretta da Mara Venier. Di questi tempi la polemica è dietro l’angolo e hanno tutti i nervi tesi evidentemente. Non bastava John Travolta ridicolizzato con il Ballo del Qua Qua, che dall’America accusa la Rai di averlo umiliato e oggettivamente maltrattato ma che a sua volta la Rai accusa di aver di fatto aggirato il contratto, facendo passare un messaggio pubblicitario occulto. Ha mostrato degli sneakers bianchi della U Power ai piedi nelle scene di ballo sul palco e nello spazio di Fiorello. Notare che Travolta è testimonial della U Power, ma lo si sapeva.
Nel caso di Ghali, l’AD Rai ci ha tenuto a solidarizzare con il popolo di Israele e la comunità ebraica. Una richiesta di scuse che però non ha tenuto in nessuna considerazione il popolo palestinese, quello che sta venendo massacrato sotto le bombe. Anche l’AD ha sbagliato come Ghali. Una Rai di altri tempi avrebbe preso le distanze da entrambe le posizioni, rammaricandosi per gli ostaggi e i morti di entrambe i fronti. Oggi si vede che invece la Rai è schierata con il Governo Netanyahu.
Sarebbe bene ricordare all’AD che la Rai non è del Governo o di una parte politica ma è un’azienda pubblica al servizio dei cittadini italiani e che dovrebbe tener conto delle posizioni di tutti, non solo di chi appoggia un Governo, quello israeliano, per altro, inviso anche a tanti altri israeliani e a tanti ebrei sparsi per il mondo, proprio per via della sua politica antidemocratica e razzista verso i palestinesi, ai quali non sono concessi i diritti elementari nel loro stesso territorio.
Quando il manico non funziona come dovrebbe, ogni giorno ne succede una
Comunque Ghali è intervenuto per chiarire: “Non so cosa rispondere, mi dispiace tanto che l’ambasciatore abbia risposto in questo modo. C’erano tante cose da dire. Continua questa politica del terrore e la gente ha sempre più paura di dire stop alla guerra e stop al genocidio, le persone sentono che perdono qualcosa se dicono viva la pace”. Una dichiarazione che forse, per come recita, era meglio non fare, ma dalla quale si deduce che nelle intenzioni del ragazzo non c’era nessuna accusa contro il popolo ebraico ma solo una richiesta di pace. Un cessate il fuoco a Israeliani e ad Hamas.
Del resto questi personaggi, come lui anche Dargen D’Amico, e in altri tempi Povia, non mi pare abbiano la statura intellettuale e culturale per affrontare questioni geopolitiche. Si limitano a rivendicare la pace, come fa Papa Francesco, e in questo non ci trovo niente di sbagliato. Fa specie che non si chieda almeno la stessa cosa, con un minimo comun denominatore di civiltà, da parte degli Israeliani e della Comunità ebraica italiana. Anzi, che io sappia, Netanyahu è per continuare a oltranza la guerra, fino allo sterminio totale, lui diche di Hamas, ma intende il popolo palestinese.
Il Ministro degli esteri, Israel Katz, il 22 gennaio scorso, in una riunione con omologhi europei, addirittura ha proposto di deportare tutti gli abitanti di Gaza in un’isola artificiale. Siamo a un passo dai lager e le camere a gas, chissà se saranno la prossima proposta.
L’interesse economico e politico è sempre dietro ogni polemica
La comunità ebraica rappresenta pur sempre un gruppo di pressione in Italia e alcuni partiti, per non dire quasi tutti, anelano ai loro voti, mentre dei palestinesi frega niente a nessuno, se non per questioni di diritto e di onestà intellettuale. Ma sono due materie in disuso nella politica internazionale. Quando c’è l’interesse, inteso in termini economici e di potere politico, i popoli e i loro diritti non contano più nulla. Vedete che fine hanno fatto i curdi che hanno combattuto l’Isis e quella che stanno facendo fare ai poveri ucraini, i quali hanno ingenuamente creduto che l’Occidente li avrebbe aiutati a “vincere” la guerra contro la Russia.
Non ci riuscirono Napoleone e neanche Hitler, che avevano eserciti più forti e preparati degli ucraini, figuriamoci! La guerra ormai sta volgendo al peggio per l’Ucraina e il vissuto dell’opinione pubblica americana ed europea sta iniziando a mollare. Quando arriverà Trump, per sua stessa dichiarazione, la guerra finirà in 24 ore e le province perse saranno perse per sempre.
Quando volendo l’invasione si poteva evitare prima di quel febbraio 2022. Ma il business della ricostruzione dell’Ucraina farà in modo che tutti gli alleati si iscriveranno alla grande festa della ricostruzione, con fondi internazionali alle imprese americane e inglesi autorizzate, più qualche briciola per quelle dell’Unione Europea.
Il cittadino utente non conta nulla, è merce venduta ai pubblicitari
La presa di posizione della Rai in merito alle dichiarazioni dell’Ambasciatore israeliano e della Comunità ebraica italiana fa capire che la Rai non è più pluralista e non è più la casa di tutti gli Italiani. Ghali e gli altri non sono i benvenuti. O meglio lo sono se stanno zitti. Recitano le loro nenie rap e se ne vanno sperando di vendere canzonette piene di sproloqui buonisti, perché quelle rap vere farebbero saltare poltrone come birilli se arrivassero in un programma della tv pubblica.
Ci arrivano quelli edulcorati. Hanno la cresta ma sono punk innocui, al più strillano e fanno vedere le mutande mentre urlano. Hanno il rimmel e le unghie smaltate come Rosa Chemical ma vengono messi a cantare al PalaSuzuki, lontano dall’Ariston, dove, con i baci gay dell’anno scorso, avevano fatto tremare il palazzo di viale Mazzini.
La comunità LGBT a Sanremo? So’ ragazzi! Si vestono con camice trasparenti e pizzi ma sono mise fornite dal Made in Italy della Moda e quindi tutto rientra nel business. Ci sono cose che in Rai non si possono dire o fare? Ceeeeerto! Non si può offendere la morale cristiana, che ogni giorno viene offesa altrove. E non si può criticare la famiglia tradizionale, che ogni suo difensore contraddice con la propria vita continuamente. Non si può criticare Israele, dire che possano esserci altre vittime di genocidio che non siano quelle della Shoah.
Non gli Armeni massacrati dai Turchi, non i Curdi traditi dagli americani nella guerra contro l’Isis, non i Tutsi massacrati dagli Utu in Uganda. Lo possono fare solo i parlamentari e i giornalisti ma se c’è presente una controparte. In quel caso scatta una lite, chi critica non riesce a proferire parola, poi bisogna mandare la pubblicità, “non c’è più tempo, ne parleremo in una prossima puntata!” Fateci caso.
Gli sponsor hanno in mano i cordoni della borsa e hanno diritto di replica quando li attacchi
Non si possono criticare le acque minerali in bottiglia, che non sono quasi mai meglio delle acque del sindaco gratuite. Non si possono criticare le merendine piene di conservanti e altri additivi chimici. Né la Nutella metà zucchero e metà nocciole turche. Né le paste fatte con il glifosato, né le insalate marcite, tagliate e confezionate nella plastica, né le carni piene di ormoni e antibiotici delle grandi marche, perché sono tutti prodotti di marche finanziatrici della pubblicità che, se poste sotto accusa, minacciano di abbandonare gli spot e di investire nelle reti concorrenti.
Quando, qualche volta, per fare servizio pubblico, mi è capitato di sottoporre a verifica la genuinità di certi prodotti, la redazione subito incriminata è stata richiamata all’ordine dai funzionari della raccolta pubblicitaria, per dare subito una opportunità di smentita alle Società di cui si metteva in dubbio l’onestà commerciale. Ogni volta che si pone in dubbio la bontà o la salubrità di certi prodotti o, peggio, la validità di certi farmaci, scatta subito il diritto di replica. Ma non esercitato in un confronto tra accusatori e accusati.
No. Semplicemente chi è stato messo in dubbio nel suo operato, occupa uno spazio adeguato a consentirgli di affermare che il suo prodotto è il migliore al mondo. In questo modo il servizio pubblico sparisce. Conta solo il peso della pubblicità che vale molto di più del diritto del cittadino di essere correttamente informato. Vale per i prodotti in commercio e per le questioni politiche. Unica eccezione, che io sappia, Report.
In tv posso far credere reale quel che non lo è
Talvolta si costruiscono servizi redazionali con tesi precostituite, dove si vuole dimostrare quello che si è deciso prima, con l’aiuto sostanzioso delle immagini. Le immagini sono manipolabili, nelle riprese e nei montaggi. Succede, in tutte le tv del mondo, che si rediga un testo con la tesi precostituita del giornalista, sul quale testo si montano le immagini che confermino quanto si afferma. Niente di più lontano dalla realtà. Ma la sensazione sarà di verità.
Curioso che spesso questi servizi che dovrebbero dirci la verità si chiamino “Vox populi” (la voce del popolo). Intervisto 20 persone alle quali chiedo un giudizio su Roma, se la trovano più pulita o più sporca di un anno fa e monto in sequenza solo quelli che rispondono alla tesi che voglio provare. Lo dice la gente, no? Tutto è manipolabile. Un dibattito, un confronto. Se voglio distruggere un personaggio o renderlo una persona meritevole del nostro consenso. Se voglio mostrare la malafede o la buonafede di un altro, posso farlo.
La tv non dice quasi mai la verità, neanche al telegiornale. Sono tesi, talvolta neanche contrapposte. Voglio spaventare il pubblico sui pericoli di insurrezione in un Paese? Mostro le scene di tafferugli e di un saccheggio di un supermercato. Magari sono immagini di repertorio, oppure mostrano un fatto accaduto in quel paese ma passato o del tutto marginale, senza conseguenze reali. Per mostrare immagini di guerra sono state usate le scene di un videogioco, vi rendete conto?
Voglio dimostrare che le truppe d’invasione si comportano correttamente con la popolazione? Non mostro feriti o morti per strada. Ma solo militari che aiutano anziani, o offrono cioccolatini ai bambini agli angoli della strada. Mente la verità nascosta è che si stanno massacrando civili.
Come diceva Enzo Jannacci:
“La television la gh’ha ‘na forza de leon, la television la gh’ha paura de nissun, la television la t’endormenta comè ‘n cojon”.