Giorgio Colli poeta, l’incontro tra filosofia e lirica
Una poesia di Colli commemora il 25 agosto, data in cui, nel 1900, Nietzsche si spense. Si intitola “Per un anniversario”
Il nome di Giorgio Colli è molto noto per una serie di ragioni. Innanzitutto per la sua attività di filosofo, filologo, studioso, autore di libri capitali nella filosofia contemporanea italiana, come “La natura ama nascondersi” (1948), “Filosofia dell’espressione” (1969), “Dopo Nietzsche” (1974), “La nascita della filosofia” (1975). In secondo luogo, per essere stato a capo di imprese di studio epiche: in primis, l’edizione critica delle opere di Nietzsche, con Mazzino Montinari, anche in lingua tedesca (due studiosi italiani che curano Nietzsche per i tedeschi!), francese e giapponese.
Edizione che ha consentito di fruire, finalmente, il Nietzsche autentico, dopo un secolo di controversie e che, in italiano, è pubblicata dall’editore Adelphi. In seguito, l’edizione di frammenti del pensiero arcaico, intitolata “La sapienza greca” (1977-1980), uscita in tre volumi, rispetto agli undici previsti, per la prematura scomparsa di Colli nel 1979 e pubblicata in italiano sempre da Adelphi.
Sulle cime
Meno noto è che Colli fu anche poeta. Si tratta di un materiale quantitativamente scarno, ma qualitativamente eccezionale, noto soltanto agli specialisti, poiché contenuto nel volume “La ragione errabonda. Quaderni postumi” (Adelphi), uscito nel 1982 a cura del figlio Enrico. L’importanza di questo materiale, sul piano generale, è di fornire ulteriore conferma ad un’idea che, nel pensiero del Novecento, è stata cruciale, e che ha trovato sostegno in grandi pensatori, pure a volte diversi, come Heidegger, H. Arendt, Benjamin e Adorno.
L’idea è che, al vertice della cultura e della civiltà europee, vi è l’incontro tra pensiero e poesia, filosofia e lirica. Di questa idea ci fornisce ulteriore conferma il massimo dei nostri poeti nazionali, di cui quest’anno ricorre il settimo centenario della morte, ossia Dante Alighieri.
Rapporti con la sfinge
Il materiale che abbiamo preso in esame (e che abbiamo commentato per esteso in un articolo più ampio, uscito su “Leússein. Rivista di studi umanistici”) è quello di maggior rilievo filosofico. Tale da risuonare nell’opera filosofica di Colli. Dato che Colli fu uno dei maggiori studiosi di filosofia antica del Novecento italiano, ebbe sempre, per Platone e Aristotele, un’attenzione costante. Ad entrambi egli ha dedicato, nelle sue opere, pagine stupende. Oltre ad aver curato un’edizione del “Simposio” di Platone e una dell’“Organon” di Aristotele.
Dunque, in “La ragione errabonda”, troviamo una poesia dedicata a Platone del 1954. Essa inizia con meravigliosi versi: “Le albe sognanti del Pireo / arrossiscono per la tua tristezza”. Per Colli, Platone si trovava in bilico, un attimo prima che la grande cultura greca iniziasse a decadere. La grande cultura greca era quella di Omero, dei sapienti Eraclito, Parmenide, Empedocle. Dei misteri eleusini, di Delfi, dell’Artemide di Efeso, di Olimpia. Dei grandi tragici Eschilo e Sofocle. Soprattutto del suo maestro Socrate. Come Colli afferma in “La natura ama nascondersi”, Platone ferma per un attimo la decadenza fatale, è l’uomo che dà vita ad un crepuscolo splendido.
Ultimo canto del Macedone
Dieci anni dopo la poesia su Platone, Colli scrive, nel 1964, un abbozzo di tragedia dedicato alla morte di Alessandro Magno. Si tratta di poche pagine. Alessandro è sul letto di morte, a Babilonia, nel 323 a. C., e ricorda la sua vita unica, incredibile. Il grande macedone è, anche lui, come Platone, una figura culminante e conclusiva della storia greca.
L’acceso misticismo di queste pagine risulterà sgradita, a chi proietta sulla Grecia categorie mentali moderne. Se ai Greci si deve l’invenzione del logos, della ragione, è altrettanto vero che la loro vita fu attraversata dal misticismo, in una maniera per noi moderni impensabile. In fondo, questo ci insegna Colli e non si tratta di una soluzione a buon mercato. “Il grande Alessandro ha chiuso la vendemmia / ha reciso l’ultimo grappolo / nella vigna dell’Ellade”. Con questi versi, Colli compendia l’eccezionale vicenda del Macedone.
Ambiguità olimpiche
Dopo Platone e Alessandro, è Goethe ad essere l’oggetto di un’altra delle poesie di Colli, ancora del 1964. Per il filosofo che fu la stella polare di Colli, ossia Nietzsche, Goethe occupava una posizione preminente nella cultura moderna. Ben più che Descartes, Kant e Hegel, Goethe era la quintessenza, per Nietzsche, di tutto ciò che deve appartenere alla cultura: profondità dello sguardo, saggezza insondabile, precisione e misura della parola. Tanto che in appendice alla “Gaia scienza” (1882) – una delle grandi opere di Nietzsche della fase matura – tra le poesie che il filosofo volle raccogliere, una è dedicata a Goethe.
Paradossalmente, in questo caso Colli non condivideva il giudizio di Nietzsche. Egli riteneva essere Goethe una figura conciliante, di compromesso e questo giudizio è articolato in due paragrafi di “Dopo Nietzsche”. Non a caso la poesia si conclude con le parole: “Ti sono mancati, o insaziabile, / il sangue e il terrore / di una lotta senza speranza?”
Nell’abisso della contemporaneità
L’ultima poesia di Colli da noi presa in considerazione è ancora del 1964 e riguarda Nietzsche. Si intitola “Per un anniversario” e commemora il 25 agosto, data in cui, nel 1900, Nietzsche si spense.
Nella seconda strofa è attraversata, analogamente alla conclusione del “Doktor Faustus” (1947) di Thomas Mann, dall’interrogativo relativo alla follia di Nietzsche. Nei primi giorni del 1889, a Torino, la vita di Nietzsche fu travolta da una crisi psichica da cui il pensatore non si riprenderà più. Perché il massimo filosofo tedesco, uno dei più grandi dell’Occidente, finì la sua esistenza avvolto dalle tenebre? Karl Jaspers risponderà, anche indirettamente, argomentando sul tema “genio e follia”.
Fu anche la sorte di Hölderlin, di Van Gogh, di Schumann. Il grande Platone, aveva scritto, nel “Fedro” – passo riportato nella sezione “Apollo” di “La sapienza greca” I di Colli – che attraverso la follia, le sacerdotesse di Delfi e di Dodona avevano portato alla Grecia grandi doni, mentre attraverso la razionalità, nessuno.
Questo è, in nuce, l’universo mentale a cui la parola e il pensiero di Colli, ci introducono. Sempre più a fondo, verso quel mistero che ha nome Occidente…