Giovani generazioni e importanza del lavoro su di sé. L’angolo dell’umanista
Le nostre metropoli del mondo globalizzato brulicano di “angeli custodi”, gli psicoterapeuti e psicoanalisti
La fragilità delle giovani generazioni si lascia dimostrare ovunque. Un caso significativo ed emblematico è quello della morte delle due sedicenni, Gaia e Camilla, alla fine di dicembre dello scorso anno, investite su Corso Francia, a Roma, da un altro giovane, Pietro, figlio del regista Paolo Genovese.
Una presenza inquietante
Al di là della naturale, ma non scontata, considerazione relativa alla tragedia insita nelle cose umane, la diagnosi storico-epocale di questo fenomeno la fornì Nietzsche, in uno dei suoi frammenti postumi, quando scrisse che il nichilismo è quel processo in cui “i valori supremi si svalutano”.
Se è vero, dunque, che la nostra epoca è un tempo in cui, attraverso la globalizzazione, ogni valore autentico è stato smarrito, dove manca qualsiasi sponda e orientamento per le giovani generazioni – è anche vero che, detto questo, rimane pressante la domanda su che fare, di concreto, per aiutarle, queste giovani generazioni.
Una lezione di carattere
A tale proposito, ci viene in soccorso un film, “Il discorso del re” (2010) di Tom Hooper. Il futuro Giorgio VI, in arte Bertie, padre dell’attuale Regina Elisabetta II, ha un piccolo problema, è balbuziente, ‘zagaglia’ come si dice a Roma.
È un piccolo problema, se si è commesso o impiegato nella pubblica amministrazione, ma se sei il futuro Re d’Inghilterra e del Regno Unito, se dal livello dei tuoi discorsi dipende il futuro della nazione e delle sorti della Seconda guerra mondiale, può diventare un grosso problema.
Così, con l’aiuto della Regina madre, Bertie fa una cosa difficile per tutte le persone: mette da parte il suo narcisismo e si rivolge a un terapeuta, al migliore del suo tempo. Dunque, fa due cose: riconosce il suo problema e si mette a lavorare, alacremente, su di sé.
Per sciogliere, dialettizzare, dinamizzare, quella parte di sé che è rimasta bloccata, che si è ammalata, che ‘fa le bizze’. Al grido di ‘fottiti, fottiti, fottiti’, diventa – nella stanza del suo terapeuta – un folletto saltellante che impara a far prevalere le sue ragioni, a scapito di un padre e di un fratello troppo ingombranti.
Alla fine del film, pur con il suo angelo custode nascosto dietro le quinte, è pronto a divenire il sicuro leader della nazione – l’anima, insieme a Sir Winston Churchill, di quella indomabile resistenza dell’Inghilterra alle potenze dell’Asse, che assicurò la vittoria del fronte democratico, nel corso del Secondo conflitto mondiale.
Prevenire è meglio che curare
Ecco, quando le crisi dei giovani sono profonde, e dei bravi genitori lo capiscono (o lo intuiscono), è importante che ricordino che le nostre odierne metropoli del mondo globalizzato, brulicano di questi angeli custodi: si chiamano psicoterapeuti e psicoanalisti.