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Giulio Cesare e il Rubicone, una Storia che dura dal 49 a.C. a oggi

Il 10 gennaio di oltre 2.000 anni fa, al grido di “il dado è tratto”, il condottiero scatenava la guerra civile: e il passaggio del fiume che costituiva il confine del territorio di Roma diventava proverbiale

gaio giulio cesare

Gaio Giulio Cesare (100-44 a.C.)

Il 10 gennaio del 49 a.C. Gaio Giulio Cesare cambiò per sempre il corso della Storia. Infatti, in questo giorno (o il successivo, secondo altre fonti) il grande condottiero mise in moto gli eventi che lo avrebbero reso padrone incontrastato di Roma. Tant’è che le azioni che compì in quell’occasione, proprio come le parole che pronunciò, sono ancora oggi proverbiali.

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Gaio Giulio Cesare (100-44 a.C.)

Punti di non ritorno

Quante volte abbiamo sentito le espressioni “passare il Rubicone” e “il dado è tratto”? Ambedue sono usate quando si prende una decisione da cui non è più possibile tornare indietro, un punto di non ritorno. E forse non tutti sanno che all’origine di entrambe le frasi c’è il medesimo episodio, che ebbe per protagonista Gaio Giulio Cesare.
In quel momento, il Nostro era di fronte a un bivio, perché il Senato gli aveva ingiunto di rientrare dalla Gallia e consegnare il suo esercito personale. Il vero burattinaio era però il suo ex alleato e genero Gneo Pompeo Magno, che all’epoca aveva il controllo de facto dell’Urbe.
Nel 60 a.C., i due avevano costituito il primo triumvirato insieme a Marco Licinio Crasso. Tuttavia, dopo la morte in battaglia di quest’ultimo nel 53 a.C., i rapporti si erano deteriorati e la situazione era presto degenerata.

10 gennaio 49 a.C.: Giulio Cesare passa il Rubicone

In questa stessa data di 2.074 anni fa, dunque, il futuro dittatore era accampato sulle rive del Rubicone, un fiume la cui localizzazione è da sempre incerta. Dagli autori antichi sappiamo che scorreva tra Rimini e Cesena (da cui l’attuale identificazione con quello che fino al 1932 era noto col nome di Fiumicino). E, soprattutto, che segnava il confine sacro del territorio romano, il cosiddetto pomerium, all’interno del quale era vietato condurre truppe armate.
Il generale romano lo varcò alla testa di una delle sue legioni al grido di “Alea iacta est”, probabilmente tratto da un verso del commediografo greco Menandro. Così facendo, scatenò la guerra civile tra i “suoi” populares e gli optimates pompeiani, destinata a risolversi con la sua vittoria totale. E, anche grazie ai modi di dire originatisi in quell’inverno lontano, entrò definitivamente nella leggenda.