Giustizia, approvata la riforma: ecco perché era ormai indifferibile
Il testo del Ministro Cartabia prevede tra l’altro restyling del Csm e stop alle “porte girevoli”. Intanto continua lo scontro politica-magistratura, come nei casi Renzi, Conte e Pittelli
Via libera all’attesa riforma della giustizia che include tra l’altro il restyling del Csm. Dopo un dibattito serrato, infatti, è stata raggiunta in CdM (e all’unanimità) la sospirata intesa tra le forze di maggioranza. Che era ormai assolutamente indifferibile, considerando anche che lo scontro tra politica e magistratura ha decisamente superato (di nuovo) il livello di guardia.
La riforma della giustizia
Il Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura approntata dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia. Dopo quella che il Premier Mario Draghi ha definito «una discussione ricchissima» e «molto condivisa», sono state infatti superate le perplessità espresse da alcuni partiti.
I dubbi, come sottolineato da Il Giornale, riguardavano soprattutto la stretta sulla possibilità di tornare a vestire la toga dopo aver assunto un incarico elettivo. Si tratta delle cosiddette “porte girevoli”, che però, come aveva fatto notare Enrico Costa, deputato di Azione, di fatto erano «ancora in movimento». La misura iniziale, infatti, non si applicava ai magistrati che entrano in Governi e giunte in seguito a una nomina (anziché a un voto). Ostacolo ora rimosso, come hanno confermato all’ANSA fonti pentastellate.
La norma modifica inoltre il sistema elettorale di Palazzo dei Marescialli, che diventerà maggioritario binominale (cioè con due eletti a collegio) con una correzione proporzionale. Quest’ultima dovrebbe garantire seggi a candidati esterni alle correnti, come spiega Il Riformista, aggiungendo che occorrerà valutare la reale efficacia del provvedimento.
Non ci vorrà molto, visto che l’organo di autogoverno dei giudici dovrà essere rinnovato a luglio. Che, en passant, è una delle due ragioni che hanno spinto il Guardasigilli a dichiarare la riforma della giustizia «ineludibile». L’altra è la profonda crisi di credibilità in cui versano le toghe in seguito al Palamaragate. E su questo fronte c’è ancora parecchio da lavorare.
L’ennesimo scontro politica-giustizia
Pochi giorni fa è stato scarcerato, dopo 15 mesi in attesa di giudizio, l’ex parlamentare azzurro Giancarlo Pittelli, imputato (tra l’altro) per partecipazione ad associazione mafiosa. Un’accusa che però, come ha illustrato il quotidiano diretto da Piero Sansonetti, si basa anche (se non soprattutto) su intercettazioni manipolate. Tipo una in cui la moglie di un presunto appartenente a una cosca chiede se l’ex onorevole sia mafioso. Dagli atti però sono stati omessi sia il tono interrogativo della donna, sia la smentita del marito (“No, è avvocato”).
E questo è solo uno dei conflitti intercorsi nel recentissimo passato tra due dei principali poteri dello Stato. Conflitti che annoverano anche l’ordinanza del Tribunale di Napoli che azzera le cariche del M5S, cominciando da quella del presidente (ed ex bi-Premier) Giuseppe Conte.
Le accuse incrociate tra Renzi e la Procura di Firenze
Tuttavia, a finire sotto i riflettori è stato in modo particolare il rinvio a giudizio dell’altro ex Premier e senatore Matteo Renzi. Indagato, assieme a mezza Italia Viva, per finanziamento illecito ai partiti in relazione all’inchiesta sulla “sua” Fondazione Open. Che i Pm fiorentini considerano un po’ un mini-partito, un po’ una “cassaforte” per scalare il Pd (come se Pittibimbo non avesse ottenuto milioni di voti alle primarie).
«Sono cascati male» ha tuonato il leader italovivo, che ha reagito denunciando a sua volta il Procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo e due suoi collaboratori. Gli inquirenti, infatti, avevano intercettato il fu Rottamatore senza chiedere l’autorizzazione di Palazzo Madama, violando così l’articolo 68 della Costituzione e la legge 140/2003. E l’altro Matteo contesta loro anche l’abuso d’ufficio in base all’articolo 323 del Codice Penale.
A monte di tutto, comunque, c’è lo strapotere di una parte delle toghe. Giunte ormai a sindacare perfino sulla natura di un ente o sui ruoli apicali di formazioni politiche. Un vulnus all’ordinamento costituzionale che dovrebbe portare a chiedersi: in base a cosa questi giudici si arrogano una tale onnipotenza? Chi ha dato loro questa autorità? O (è il caso di dirlo) chi gliene dà il diritto?