Gli occhi di Tammy Faye. Inaugurazione con teleprediche
Resistibile parabola ascendente e poi discendente della più famosa coppia di predicatori americani della storia. Jessica Chastain vuole l’Oscar
La Festa apre con un film ambizioso; che però non convince. Se non per l’interpretazione di Jessica Chastain.
La trama
La storia è vera; purtroppo il cinema – e in particolare quello americano, un tempo faro dell’immaginario collettivo – si trova ad attingere sempre più dal realmente accaduto che dalla pura fantasia; ne è prova l’epigrafe “Ispirato a una storia vera” che ormai campeggia in testa a tre quarti dei film in circolazione.
Qui la vicenda è quella di una coppia di predicatori – la Tammy Faye del titolo e Jim Bakker – che a partire dalla natìa Minneapolis nei ’70 del ‘900 ebbero l’intuizione di impostare l’elargizione del messaggio evangelico non più sull’umiltà, la penitenza, la temperanza, bensì sulla gioia di vivere, la disponibilità a cogliere i piaceri che il Signore è disposto a offrirci. Una sorta di manifesto di edonismo religioso. La trovata piacque e fu il trampolino di una rapida scalata di ascolti che presto uscì dall’ambito locale per andare a costruire il PTL (Praise The Lord) Club, 120 milioni di telespettatori all’anno, il più seguito network televisivo religioso mai esistito negli Stati Uniti. Ma l’appetito vien mangiando, e la coppia assume una condotta progressivamente più spregiudicata, che le vale il voltafaccia e poi l’aperta ostilità dei predicatori delle altre congreghe nazionali; che alla fine ne decreteranno la caduta.
Tammy al centro di tutto
In realtà il film ruota sul personaggio di lei. Non a caso Jessica Chastain ne è, oltre che il volto, anche la produttrice. E’ infatti questa la figura più interessante e sfaccettata. Perchè, nonostante questo classico biopic ricalchi uno schema che ci sembra fin troppo noto e liso, il racconto non ci mostra una Tammy furba e affamata di successo che scientemente elabora espedienti per fregare i semplici, bensì una donna, che poco ha perso della ragazza degli inizi, che genuinamente crede in un binomio fede-godimento, che sinceramente fra sè e sè prega Dio di chiarirle la strada, che senza dubbi di sorta prova a intrecciare le sue passioni – cantare, recitare, apparire – con la predicazione religiosa. Gli occhi del titolo citano la caratteristica per cui andava famosa all’epoca, quegli occhioni superevidenziati dal trucco e dalle sopracciglia vistosamente dipinte. E di lei si ricorda l’attenzione – allora più che mai insolita e malvista in quegli ambienti – verso sesso, omosessualità e AIDS.
Insomma un cocktail di ingenuità e caricatura, progressismo ed esagerazione.
Che dirne?
Non convince, dicevamo. Non esce dai binari di genere, dai quali sembra volersi affrancare. Non scava alla radice del malessere esistenziale, del disagio della protagonista, dell’inespresso dietro la cortina di trucco, lustrini e jingle TV.
Nel mix di ingredienti materiali e spiritualisti, nella redenzione finale, è una storia americana, e forse da noi non prende se non come fenomeno di costume altrui. Proprio in un atteggiamento che ravvisiamo in quel popolo potremmo trovare il senso della storia: il diritto alla felicità pagato col non voler sapere come la si raggiunge; e dunque scollegato dalle conseguenze.
Su tutto spicca il lavoro fatto dalla Chastain: calarsi nelle varie fasi di vita e personalità di Tammy, non solo fisica (si immaginano chilometriche sedute di trucco & parrucco, ma non andremmo lontani dal Tale&Quale Show), bensì gestuale, di sguardi; il velo dell’amarezza che cala impercettibilmente e progressivamente su di lei. Insomma immedesimazione profonda: all’incontro col pubblico Jessica ha detto di cercare con ciascun suo personaggio un rapporto “umanista”, un “seme da far diventare una vera connessione, anche quando si tratta di donne molto diverse da me”. Di questo le è stato dato atto oltreoceano, quando a settembre il film ha esordito con successo al Sundance Film Festival).