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Gli Scipioni e l’epoca eroica di Roma

“In nessun modo è possibile imparare dai Greci come si impara dai Romani”, scrive Nietzsche

processo agli scipioni

Processo agli Scipioni

La ripresa dei valori dell’antichità classica fu, come noto, il cardine teorico e culturale di quel momento supremo dello spirito europeo che porta il nome di Rinascimento italiano. Da allora, il riproporsi della cultura delle civiltà antiche, della Grecia e di Roma, ha visto notevoli rilanci: basti pensare al ruolo che la cultura greca ebbe per uomini come Hegel, Goethe, Hölderlin. Successivamente per Nietzsche. Per terminare con alcuni grandi del Novecento, Martin Heidegger e Hannah Arendt in modo particolare.

La questione del primato

Tendenzialmente, anche se con le dovute eccezioni – per un Marsilio Ficino o un Pico della Mirandola che assegnavano la palma alla cultura greca, abbiamo un Niccolò Machiavelli che, viceversa, l’assegnava alla cultura latina – in queste grandiose operazioni di recupero la Grecia è sempre un passo avantia Roma. Fu così anche per Nietzsche: la radicale riscoperta di un dio come Dioniso ne è la dimostrazione.

Eppure, probabilmente per quel gusto del rovesciamento polemico che egli rivolgeva anche contro sé stesso, in un passo di grande importanza della sua opera “Il crepuscolo degli idoli”, egli afferma proprio il contrario.

“Il crepuscolo degli idoli, ovvero come si filosofa col martello” è un’opera tarda. Appartiene a quel 1888 che fu, per Nietzsche, fatale; che fu l’ultimo anno della sua vita attiva, cosciente, prima di precipitare, nel gennaio del 1889, in una follia irreversibile.

Nell’ultimo capitolo, significativamente intitolato “Quel che devo agli antichi”, Nietzsche afferma che in nessun modo è possibile imparare dai Greci come si impara dai Romani. Si tratta di una dichiarazione importante, che serve a rivendicare una specificità della cultura latina, una sua peculiarità e indipendenza rispetto alla cultura greca – non una superiorità, che è un modo insulso di porre la questione.

La nascita di una leggenda

Un libro importante e serio che si muove in questa direzione, è la ricerca di Pierre Grimal (1912-1996) – professore alla Sorbona e autore di importanti monografie su Cicerone e Marco Aurelio – intitolata “Il secolo degli Scipioni. Roma e l’ellenismo al tempo delle guerre puniche” (ed.it.Paideia), uscita nel 1953 e poi profondamente rimaneggiata nella seconda edizione del 1975. Il secolo degli Scipioni, tra III e II secolo a. C., è quello in cui Roma diventa maggiorenne.

In cui lo scontro con Cartagine è tanto importante quanto il confronto con l’ellenismo. Prima delle guerre puniche, Roma è una potenza locale. Dopo le guerre con Cartagine diventerà la signora indiscussa, la potenza egemone dello spazio geo-politico del Mediterraneo.

Eppure non solo questo processo non avviene senza sofferenza. Ma è possibile dire, soprattutto con la seconda guerra punica, quella dello scontro frontale con Annibale, che Roma fu a un passo dal crollo e dal collasso definitivo.

È merito del libro di Grimal mostrarci da vicino la fatica e il pericolo che attanagliarono Roma. Annibale braccò la Città eterna da vicino, facendole sentire sul collo il peso del proprio genio militare, della propria voglia di riscatto, dello scatto bruciante della sua mente.

Arrivò fin sotto le mura di Roma, e – scrive Grimal – che qualunque altra città sarebbe crollata sotto il peso della pressione, e che fu la fama della sagacia militare dei Romani, a scoraggiare Annibale dal porre l’assedio.

Qualunque città, ma non Roma. Il mito resistette grazie a uomini come Fabio Massimo, detto Cunctator, il temporeggiatore, e a Scipione l’Africano. Giovane, brillante, geniale sul piano militare, costrinse Annibale – dopo la sconfitta subita dai Romani a Canne – al confronto militare in Africa e lo annientò a Zama nel 202 a. C.

Tra spinte contrapposte

Uno dei filoni portanti della ricerca di Grimal, dunque, è il rapporto che si instaura tra la cultura latina e quella greca. Esistono, in proposito, versi ben noti di Orazio. Il quale, nel II libro delle “Epistole”, affermò:

La Grecia, conquistata, conquistò / il rozzo vincitore e introdusse / le arti nel Lazio agreste”. Per Grimal, la cosa è più complessa di così: ad un miracolo greco è giusto affiancare un miracolo romano. Ossia la spinta di Roma verso l’ellenizzazione delle sue forme di vita e della sua cultura, certamente forte, è contrastata da una spinta in direzione opposta: quella verso la conservazione e la radicalizzazione del mos maiorum, quel complesso di usi, credenze e dottrine che formava la tradizione e il culto degli antenati.

A questo proposito, la missione di Catone il Censore in Grecia, ci racconta Grimal, è particolarmente significativa. Mentre, fino ad allora, era stata consuetudine dei grandi romani presentarsi come membri dell’ellenismo e, dunque, formulare in greco i propri discorsi ai popoli della Grecia, Catone fa qualcos’altro. Si presenta ai greci parlando in latino, con un interprete che traduceva in greco in simultanea.

Egli, ci dice Grimal, voleva essere il contadino di Tuscolo, nient’altro. Del resto, qualcosa a proposito di una assimilazione non perfetta tra cultura greca e latina, è visibile dalle rovine archeologiche presenti in Grecia.

La mano dei romani è visibile ad occhio nudo, anche ad una certa distanza. I monumenti sono più grandi nelle dimensioni e meno elaborati sul piano stilistico-formale. I potenti costruttori dell’impero e del diritto, gli implacabili conquistatori, avevano una mano spiccia e veloce, adatta, al limite, a realizzare splendide copie di Fidia, Prassitele, Scopa.

Bilancio di una Civiltà

Ciò che rende il libro di Grimal prezioso, è la sua capacità di offrire un quadro complessivo del secolo, quello degli Scipioni, in cui la civiltà latina si erge in tutta la sua grandezza. In questo processo, gioca un ruolo fondamentale la nascita della letteratura latina, con Livio Andronico, Plauto, Ennio.

Ciò permette all’autore di offrire un ritratto organico della civiltà di Roma, poiché è più semplice, e più produttivo, cogliere le caratteristiche fondamentali di una determinata epoca storica quando essa è nel pieno vigore delle sue forze, che non quando si affacciano i segnali della decadenza. Sotto questo profilo, è possibile affiancare al libro di Grimal, il primo libro di Giorgio Colli.

In “La natura ama nascondersi” (Adelphi) del 1948, Colli dà una sintesi mirabile dei valori sommi della grecità, attraverso una splendida analisi dei maggiori tra i Presocratici (quelli che, poi, Colli chiamerà sapienti) – Eraclito, Parmenide, Empedocle – e del pensiero del giovane Platone. Anche qui, seppure la lente è filosofica e non storica, la civiltà greca viene descritta attraverso l’analisi del suo primo, e culminante, periodo.

Non sono libri, come è facile comprendere, che si incontrano molto spesso e sono, per lo più, un unicum nella vita di un singolo, grande studioso. Ma hanno la capacità di cambiarci la vita. Li sentiamo arrivare, come una mattina di primavera o un temporale estivo, a sconvolgere le nostre rappresentazioni abituali, fin nelle viscere dello stomaco.