Fermezza e protocollo: la ricetta di Gravina per far ripartire il calcio
Il presidente della FIGC non fa passi indietro: tenere la barra dritta per salvare il movimento e non diventare il “becchino del calcio italiano”
Irremovibile. Questo può essere il riassunto del pensiero del presidente della FIGC Gabriele Gravina, ospite ieri sera della trasmissione “Che Tempo che fa”, sulla ripartenza del calcio italiano finita l’emergenza da Coronavirus.
Gravina ha spiegato come in questo momento ci siano due diverse fazioni, quella del “chiudere tutto” e quella del “continuare”, specificando da subito che lui fa parte della seconda basandosi su due elementi: l’opportunità e la speranza. “L’opportunità si riferisce a fattori oggettivi, come il tempo. Spero che a giugno l’Italia possa avere la possibilità di vivere un momento di sollievo”, ha dichiarato.
Incalzato da Fazio sulla disparità del calcio rispetto agli altri sport, il capo della FIGC non vuole entrare nel merito delle altre federazioni sportive ma chiede di “essere considerato come movimento d’impatto socio-economico per il Paese alla pari di ogni altro settore”, in considerazione dell’enorme somma di denaro che l’industria-calcio muove nel nostro Paese. “Il calcio muove 5 miliardi di euro: siamo preoccupati perché se il calcio non riparte ha un grande impatto negativo per il suo futuro”.
Come ripartire? Protocolli e rigore
Gravina ha sottolineato come la Federazione si stia muovendo attivamente per mettersi in condizione di ripartire in sicurezza: una proposta concreta rappresentata da un protocollo sanitario. “La FIGC, grazie anche ai professori Ricciardi, Vaia, Cauda e alla commissione tecnico-scientifica, ha previsto un protocollo che garantisce la negatività di un gruppo chiuso”. Questo protocollo, afferma Gravina, è stato già inviato ai ministri Spadafora e Speranza: “C’è un comitato tecnico-scientifico e ne aspettiamo la validazione. Per quanto riguarda i test ci sono cliniche a disposizione e non può essere questo l’ostacolo per non far ripartire un movimento come il nostro.
Sul finire dell’intervista emerge l’irremovibilità del capo della FIGC. Dopo aver ammesso di “accogliere con sollievo la decisione del Governo di dare uno stop”, sulla domanda “L’ipotesi di chiudere l’ha presa in considerazione?” Gravina è nettissimo.
“No, non posso. Una scelta di questo tipo comporterebbe una responsabilità in capo a chi l’assume di una gravità inaudita: non posso essere il becchino del calcio italiano. Ho la responsabilità di difendere il movimento calcistico, ma in generale quello sportivo. Non capisco questa resistenza nell’avviarne con tutte le garanzie possibili una valorizzazione di tutto il movimento sportivo”.
Il messaggio lanciato è chiaro: il calcio italiano non si vuole fermare. A questo punto la palla passa al Governo, per una partita dal valore economico enorme che, dopo le polemiche sorte al momento dello scoppio della pandemia, rischia di essere lunga non 90 minuti, ma 90 giorni.