Green pass a 12 mesi, GIMBE: “È una decisione politica, non scientifica”
La ricerca evidenzia il calo dell’immunizzazione dopo 6 mesi. E l’estensione della validità del certificato verde serve solo a prendere tempo in attesa che si autorizzi la terza dose
Il Comitato tecnico scientifico ha avallato la proroga del Green pass a 12 mesi (dagli attuali 9) per i vaccinati. Un giudizio piuttosto controverso, visto che la letteratura scientifica sembra andare invece in senso contrario. Come non ha mancato di segnalare, con accenti vagamente polemici, anche l’ultimo report della Fondazione GIMBE.
Il Green pass a 12 mesi
Il Cts ha dunque dato parere positivo al prolungamento della validità del Green pass a 12 mesi, salvo che «fatti scientifici emergenti» non suggeriscano ripensamenti. Una clausola, quest’ultima, decisamente problematica, considerato che potrebbe già essere stata abbondantemente superata dalla realtà.
La pensa così la Fondazione GIMBE, l’ente che monitora settimanalmente la pandemia da Covid-19. Che ha sottolineato come i dati indichino «una riduzione degli effetti della copertura vaccinale a partire dal 6° mese». E che dunque «l’eventuale decisione di» estendere la scadenza del certificato verde «per le persone vaccinate o guarite non è ad oggi sostenuta da evidenze scientifiche».
Si tratterebbe cioè di una scelta puramente politica, volta a «coprire il “buco temporale” in attesa delle decisioni delle autorità regolatorie sulla somministrazione della terza dose». Come ha evidenziato tra l’altro il presidente dell’organizzazione sanitaria Nino Cartabellotta.
La querelle sulla terza dose
A ottobre, infatti, scadranno i primi certificati di immunizzazione, quelli rilasciati a operatori sanitari e over 80 inoculati tra dicembre 2020 e gennaio 2021. E nel frattempo si continua a discutere della possibilità di un nuovo richiamo, che Roberto Speranza, Ministro nomen omen della Salute, recentemente ha dato per certo. Anche se l’Oms continua a sostenere che non sia necessario.
Si è ipotizzata anche una roadmap che si articolerebbe in tre fasi. E che prevedrebbe l’ulteriore iniezione alle categorie più a rischio a partire da ottobre, per arrivare gradualmente alla liberalizzazione dopo gennaio 2022.
Beninteso, il j’accuse non ha nulla a che vedere con l’efficacia della campagna di vaccinazione. Che, per dirne una, ha salvato «la stagione turistica estiva», come ha rimarcato lo stesso Cartabellotta. Il problema, semmai, sta nell’atteggiamento di un certo establishment che delibera «nel campo nella creatività», come ha affermato tranchant il microbiologo Andrea Crisanti.
Il che, per carità, è assolutamente legittimo. Basta ammetterlo. E, soprattutto, basta evitare di ripararsi dietro il paravento della scienza, che non è abbastanza grande per nascondere la demagogia istituzionale.