Greta Thunberg Superstar. Cambierà tutto, adesso? No. E vi spieghiamo perché
Lei va all’Onu e usa toni perentori. Moltissimi giovani protestano a gran voce, in nome del loro futuro. E il Potere? Il Potere la sa lunga
Povera Greta, che magari ci crede davvero nella possibilità di mettere l’establishment con le spalle al muro. «We’ll be watching you», ha tuonato lei durante il summit dell’ONU sul clima, a New York. «We’ll be watching you», Vi terremo d’occhio.
Non è il classico plurale maiestatis dei singoli che si ergono a paladini di una certa causa ma sono – e sono destinati a restare – degli individui senza seguito. No, Greta Thunberg il seguito ce l’ha. Ed è anche molto vasto, come hanno dimostrato le imponenti manifestazioni giovanili di venerdì scorso.
Quello che invece non ha è uno sguardo sufficientemente smaliziato da consentirle di capire realmente con chi ha a che fare. Quello che non sa, a causa dei suoi pochi anni così ricchi di entusiasmo ma così poveri di esperienza e di preparazione culturale e politica, è che le sue sfuriate e le sue minacce non intimoriscono proprio nessuno, tra i grossi calibri del potere mondiale.
Al contrario: con il cinismo che li contraddistingue, e che è attestato “al di là di ogni ragionevole dubbio” dalle rispettive carriere, il loro primo e fondamentale pensiero è come volgere a proprio vantaggio le attuali proteste contro il degrado ambientale. È un ribaltamento che conoscono benissimo. Perché lo hanno già utilizzato in molte altre occasioni. E in molti altri ambiti. E spesso sfruttando proprio l’ingenuità delle nuove generazioni. I cui slanci idealistici sono tanto nobili nel loro aspirare a un mondo migliore, quanto presuntuosi nell’illudersi che per ottenere dei cambiamenti epocali basti scendere nelle strade e alzare la voce.
Splendido, se fosse così semplice. Ma purtroppo non lo è.
Greta spinge, il sistema schiva
Analizziamola meglio, questa strategia di finta attenzione. E di fintissima condivisione.
Prima di farlo, però, fissiamo un paio di punti. Premessa: la classe dirigente che oggi si dice pronta a correggersi, sulla spinta di Greta e dei suoi sostenitori, è la stessa che ci ha portati all’odierna situazione. Domanda: si può davvero credere che i vertici di questo gigantesco apparato internazionale, e sovrannazionale, non conoscessero gli effetti negativi dei loro modelli di produzione e consumo?
Chiaro che lo sapevano. Altrettanto chiaro che se ne sono infischiati.
Se adesso mostrano di volersene occupare è per tre motivi. Che di sincero, e di autenticamente democratico, non hanno proprio nulla.
Primo motivo: il riscaldamento globale, quali che ne siano le cause, è un dato di fatto e nei prossimi anni o decenni genererà fenomeni di crescente gravità, o persino catastrofici. Chi governa, quindi, non può continuare a esibire l’abituale indifferenza, allo scopo di potersi poi trincerare dietro un ritrovato impegno. Sia pure più di facciata che di sostanza.
Secondo motivo: le ultime Europee hanno visto un forte incremento dei partiti ambientalisti, per cui è conveniente disinnescare sul nascere le relative turbolenze. Al posto del muro contro muro, il muro di gomma. O se preferite il muro riverniciato di verde: quella Green Economy in cui i creduloni vedono un ripensamento etico, ma che per gli investitori è innanzitutto un business. Tanto più interessante perché molti altri comparti sono ormai saturi e non offrono più grandi occasioni di guadagno.
Terzo motivo, ancora più strategico degli altri due: accogliendo alcune istanze ambientaliste si fa passare l’idea che il sistema si possa emendare senza intervenire drasticamente sulle sue fondamenta. Che sono la crescita infinita, la speculazione finanziaria e il massimo profitto. Così come a suo tempo si erano inventati la definizione truffaldina di “benzina verde”, adesso suggeriscono che ci possa essere il “consumismo light”. Che non è proprio ecologista, visto che non può esserlo a meno di rinunciare ai suoi presupposti di vanità e di spreco, ma un po’ ci assomiglia.
Greta Thunberg, senza rendersene conto, è funzionale a tutto questo. Così come lo sono stati, in un passato non troppo lontano, i movimenti come Occupy Wall Street o gli Indignados in Spagna. Si sa: l’Occidente liberale e liberista riconosce il diritto di protesta. Purché sia temporaneo e, soprattutto, a scartamento ridotto.