Guerra in Ucraina, Coldiretti: “Rincaro anche per generi alimentari”
La guerra in Ucraina inizia a far sentire i suoi primi effetti economici anche sulla spesa e sul costo dei generi alimentari
La guerra in Ucraina arriva nel carrello della spesa degli italiani e sui generi alimentari.
Guerra in Ucraina: prime conseguenze sui generi alimentari
Con il rincaro dei beni energetici che si trasferisce sulla filiera agroalimentare e colpisce agricoltori che sono costretti ad affrontare rincari nei costi di produzione e consumatori con il rischio della perdita del lavoro, della stabilità economica.
Anche delle forniture alimentari con l’inflazione che spinge i prezzi al consumo e aumenta povertà e fame in Italia e nel mondo non è più solo un’ipotesi.
I dati Coldiretti sull’inflazione
È quanto afferma la Coldiretti in occasione della diffusione dei dati Istat sull’inflazione a febbraio che evidenziano un balzo del 45,9 per cento per l’energia e del 4,9 per cento per gli alimentari.
Se i prezzi per le famiglie corrono, i compensi riconosciuti agli agricoltori e agli allevatori non riescono, neanche a coprire i costi di produzione con il balzo dei beni energetici che si trasferisce infatti a valanga sui bilanci delle imprese agricole costrette a vendere sottocosto anche per effetto di pratiche sleali che scaricano sull’anello più debole della filiera.
Il prezzo del pane: il problema è l’energia
Infatti è bene ricordare che un chilo di grano nonostante gli aumenti viene pagato agli agricoltori 31 centesimi e serve per produrre un chilo di pane che viene venduto a consumatori a prezzi che variano dai 3 ai 4 euro a seconda delle città.
L’incidenza del costo del grano sul prezzo del pane resta dunque marginale, pari a circa il 10 per cento e il problema vero è il costo dell’energia che è esploso ed ha colpito tutte le attività produttive, dal gasolio per il trattore necessario alle semine al riscaldamento delle serre fino al prezzo dei concimi per garantire fertilità ed aumentare la produzione che è balzato del 170 per cento.
Il paradosso della bottiglia di pomodoro
Il paradosso è ad esempio che si paga più la bottiglia che il pomodoro in essa contenuto.
Il boom delle quotazioni per i prodotti energetici e le materie prime si riflette sui costi di produzione del cibo ma anche su quelli di confezionamento, dalla plastica per i vasetti all’acciaio per i barattoli, dal vetro per i vasetti fino al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette dei prodotti che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi.
I costi di produzione industriali fino al carrello della spesa
Il risultato è che, ad esempio, in una bottiglia di passata di pomodoro da 700 millilitri in vendita mediamente a 1,3 euro, oltre la metà del valore (53 per cento), è il margine della distribuzione commerciale con le promozioni.
Il 18 per cento sono i costi di produzione industriali, il 10 per cento è il costo della bottiglia, l’8 per cento è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6 per cento ai trasporti, il 3 per cento al tappo e all’etichetta e il 2 per cento per la pubblicità.
Per ogni euro speso dai consumatori in prodotti alimentari freschi e trasformati appena 15 centesimi vanno in media agli agricoltori. Tuttavia se si considerano i soli prodotti trasformati la remunerazione nelle campagne scende addirittura ad appena 6 centesimi, secondo un’analisi Coldiretti su dati Ismea.