Guerra ucraina, rinunciare al gas russo (a ora) sarebbe solo autolesionista
Il Ministro Cingolani afferma che Mosca guadagna 1 miliardo al giorno: ma a Putin non mancano acquirenti per il metano, mentre Bruxelles sa solo sfornare libri dei sogni
Che la guerra ucraina, tra le altre catastrofiche conseguenze, avrebbe pure fatto (ulteriormente) impennare le bollette non era certo un mistero. E infatti da un paio di settimane i leader europei (compreso il Premier italiano Mario Draghi) insistono sulla necessità di raggiungere l’indipendenza dalle forniture russe. Che però, alla luce dei piani che si vorrebbero attuare, nel breve periodo sarebbe un atto di puro autolesionismo.
Reazioni “di pancia” alla guerra ucraina
“Quali alternative al gas russo ha l’Europa?” È il titolo (tradotto dall’inglese) di un’analisi condotta da Statista, un portale tedesco che raccoglie dati di mercato e di opinione. E ha evidenziato come nel 2020 Mosca abbia esportato quasi 200 miliardi di metri cubi di gas naturale, fornendo al Vecchio Continente il 40% dell’euro-approvvigionamento.
Al netto delle reazioni “di pancia” alla guerra ucraina, pensare di poter rimpiazzare di punto in bianco un quantitativo simile è semplicemente utopistico. E infatti la Commissione Ue ha sfornato un nuovo libro dei sogni, pomposamente battezzato REPowerEU (ripotenziamento europeo). Un pacchetto di misure che, come spiega Il Sole 24 Ore, includono tra l’altro il calmieramento dei prezzi dell’elettricità e una maggior flessibilità sugli aiuti di Stato. Nonché una tassa temporanea sugli extra-profitti delle aziende del settore energetico, che chissà su chi si rivarranno.
Inoltre, come aggiunge In Terris, Bruxelles auspica acquisti e stoccaggi congiunti di gas – e il precedente coi vaccini anti-Covid non fa esattamente dormire sonni tranquilli. E propone di diversificare fonti e consumi, che in sé sarebbe dignum et iustum. Se non fosse che l’orizzonte (risibile, come abbiamo più volte argomentato) è quello delle rinnovabili. Anche se queste, come ha ammesso Valdis Dombrovskis, vicepresidente dell’esecutivo comunitario, non sostituiranno il metano russo in «un anno o due». E nemmeno in cinque o dieci, se è per questo.
Nel frattempo il falco lettone ha riferito che la principale società norvegese di gas ha dato la propria «disponibilità al 100% per colmare le carenze». Che però non equivale minimamente a colmare le carenze al 100%.
Tafazzismo istituzionale
Da questo tafazzismo istituzionale non è poi immune nemmeno il Governo nostrano. A partire dal Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani che, come riferisce l’ANSA, ritiene che l’Italia possa diventare autonoma «ragionevolmente in 24-30 mesi».
Per il fisico è comunque improbabile che il Cremlino decida di chiudere i rubinetti, visto il guadagno di «quasi un miliardo di euro al giorno». Forse, ma è un fatto che il Presidente russo Vladimir Putin non se ne stia con le mani in mano. A inizio febbraio, infatti, come riporta l’Agi Gazprom ha chiuso un accordo con Pechino per realizzare un mega-gasdotto che reindirizzi il metano verso la Cina.
Forse, dopotutto ci toccherà veramente ridurre il riscaldamento di 1°C, come ha raccomandato l’altro vicepresidente della Commissione Europea Frans Timmermans. Ma per i costi abnormi delle tariffe, non certo per le folli istanze dell’affermazionismo ambientalista.
Guarda caso, il titolare del MiTE ha evocato la possibilità di (ulteriori) sacrifici, come d’altronde aveva fatto qualche giorno prima anche SuperMario. Con una piccola e insignificante incognita. Sicuri che i cittadini, già stremati da due anni di pandemia e relative restrizioni, le accetteranno di buon (è il caso di dirlo) grado?