“Ho adottato mio fratello” al Teatro Golden di Roma
E’ il ritratto di ragazzi per bene, velleitari e a vario modo sognatori, alla ricerca di un futuro che si prospetta in salita
Dal 16 al 21 febbraio 2016 quattro baldi moschettieri danno, per la prima volta davanti ad un pubblico vero,dimostrazione attoriale di sé e di qualità manifesta finora ampiamente intravista. Lo fanno interpretando sul palco del teatro di casa una divertente commedia di cui firmano il testo con goliardica audacia e disinvolta intraprendenza. Una duplice soddisfazione per dei protagonisti che non scontano il noviziato e pescano il jolly già all’esordio incassando un sold out con aggiunta di standing ovation, e di questi tempi non è affatto ordinario. Il risultato di un duro lavoro propiziato dalla lungimiranza di alcuni e dal proficuo lavoro di èquipe emerge dall’allestimento e dalla rappresentazione.
La direzione artistica di Toni Fornari e Andrea Maia ne supporta l’ordito e conforta le aspettative messe a dimora in due, tre anni di intenso studio alla Golden Star Academy. Il Golden, grazie al progetto ‘Giovani talenti in scena’, conferma la vocazione alla sperimentazione propria di un teatro fucina di nuove proposte e di testi interessanti. ‘ Ho adottato mio fratello’ è il titolo di questo spettacolo ben confezionato interpretato da Mirko Cannella, Nicolò Innocenzi, Michele Iovane e Jey Libertino, gruppo comico autoproclamatosi ‘Pezzi di Nerd’ e già affacciatosi alla ribalta un anno fa con ‘Clinica Italia’. Nazzareno Mattei è il coautore estromesso dalla lotta per la sopravvivenza perché autoeliminatosi, fuori quota oltre che ‘fuori dal branco’, poeta dal volo libero in altre faccende affaccendato.
E’ il ritratto di ragazzi per bene, velleitari e a vario modo sognatori, alla ricerca di un futuro che si prospetta in salita. Ognuno alle prese con la propria corsa ad ostacoli predisposti da una società che, quando non è ostile, non ha molte occasioni da offrire. Bruno(Nicolò Innocenzi) e Francesco(Mirko Cannella) sono due fratelli rimasti orfani quando la vita dovrebbe mostrare il volto migliore. La madre è morta dando alla luce il secondogenito e il padre è mancato mentre erano ancora adolescenti, ponendoli di fronte a responsabilità adulte che generano smarrimento e lasciano tracce indelebili.
La loro unica eredità è l’appartamento che condividono tra incomprensioni e frequenti litigi. Bruno è il fratello maggiore, tanto indolente, riottoso e spendaccione quanto Francesco è equilibrato, parsimonioso, pervaso da un senso del dovere e della disciplina che contrasta con il cinismo e l’esuberante arroganza del primo, succube del vizio del gioco. Bruno deve ricorrere ad ogni inganno e sotterfugio fino al subdolo, estremo espediente in grado di soddisfare la propria ludodipendenza avanzata.
Nessuno è perfetto e il pregiudizio nei confronti di chi è affetto da extraterritorialità è uno dei gli aspetti meno nobili che irretisce Francesco per il quale Il ‘terrone’ è un nemico da abbattere perché non si può ‘naturalmente’ convertire e la provenienza geografica è di per sé un assioma culturale inderogabile da Roma in giù, zingari e clandestini ovviamente inclusi. Il primo quadro scenico è per lui che sulle note del ‘Va pensiero’ verdiano dà lustro alla foto di famiglia prima di dedicarsi alla sostituzione di una lampadina da tempo esausta sotto lo sguardo compassionevole e il ghigno beffardo del fratello sbadigliante.
Gli sfottò sferzanti di Bruno mettono subito in chiaro i due fronti contrapposti. Chi fa la spesa, cucina, sistema casa e chi non si pone il problema ed egoisticamente lascia ad altri il compito. All’ordine e alle regole preferisce l’insolenza del tirare a campare. Rifiuterà una proposta alla Regione Lazio in quanto ‘non consona alla propria fede giallorossa’. Francesco fa l’ agente immobiliare ma la crisi mette in ginocchio il settore più esposto, i contratti sono a picco e da due mesi rischia il licenziamento per rendimento pari a zero. Bruno è disoccupato ma non ha alcuna intenzione di perdere la dorata immunità. A nulla valgono i rimproveri e i consigli sapienti. Da quando il padre non c’è più, la stanza che occupava è chiusa per volontà di Francesco che in questo modo ne intende onorare la memoria.
Valicarne la soglia sarebbe una profanazione, rappresenterebbe un oltraggio alla memoria del defunto genitore venerato come un’icona. Di tutt’altro parere è l’insensibile Bruno i cui rapporti col padre erano di glaciale sopportazione perché nel suo animo avvertiva la predilezione verso il figlio minore. Propone quindi, senza indugio, di affittarla. Il corrispettivo avrebbe reso meno grama l’esistenza dei due. Nel suo caso l’intento va oltre il dichiarato, saggia il terreno e prepara il tradimento. L’abilità da businessman si vede eseguendo la firma e dal pretesto all’inganno il passo è breve.
Predisposto il contratto formalmente inattaccabile e inserito l’annuncio sul portale in modo da escludere rigorosamente soggetti meridionali e affini per compiacere il fratello, Bruno convoca di nascosto gli aspiranti locatari. Sono Nicola(Jey Libertino) e Rosario(Michele Iovane), un veneziano e un milanese pivelli che trasudano contraffazione, maldestramente taroccati al punto da inciampare il primo su innocui trabocchetti dell’altrettanto fasullo affittacamera e il secondo da essere smascherato all’istante, alla prima enunciazione. Scoperta ben presto l’identità dei due, terroni doc di Puglia e Sicilia rispettivamente, non resta che imporre regole ed orari settimanali ferrei.
Ogni minima trasgressione vanificherebbe l’imbroglio e l’eventuale incontro con Francesco confliggerebbe con qualsiasi plausibile spiegazione mandando a monte ogni accordo. E’ l’inizio di una spassosissima girandola di trovate, fra accomodamenti paradossali ma allineati con lo stato di emergenza e scommesse contro il tempo al fine di assecondare abitudini ed orari dell’ignaro congiunto, metodico e poco originale ma non certo sprovveduto. Gli imprevisti fanno parte della vita, anche di quelle meno votate ai cambiamenti avventurosi. Nicola è un personaggio surreale e in lui vengono esasperati i tratti del ragazzo di buona famiglia che lascia il paese per liberarsi dalla premurosa routine che lo opprime.
Ha le qualità di Bruno nel dribblare il lavoro ma è meno ‘fortunato’ perché le troppe opportunità offertegli dal padre ogni tanto vanno a buon fine. Le raccomandazioni non richieste gli fanno vincere tutti i concorsi ma gli rovinano reputazione e tranquillità. Diversamente da Bruno, ha una mamma ansiosa che si preoccupa della sua salute e lui ricambia il sentimento da autentico mammone. La finzione non gli si addice. E’ genuino e sincero come la sua terra. Rosario è un ragazzone sempliciotto e scherzoso, credulone, ingenuo allo stato puro, non conosce malizia, diffonde una innata carica di positività e simpatia traboccante.
Ha appreso dal padre proverbi bislacchi con cui condisce ogni esternazione profetica. I ritmi della convivenza forzata sono insopportabili ma il sacrificio val bene un alloggio. I due non riusciranno ad evitare l’impatto però avranno il merito di dare una significativa svolta alla vicenda umana dei due fratelli. Il finale è quasi da libro Cuore ma riserverà un’appendice inquietante. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, parafrasando il buon Rosario, questa volta senza contaminazioni aggiunte. Una commedia gradevole dove i sentimenti sono essenziali e anche quando fanno sorridere perché a volte sembrano inopportuni e appaiono ridondanti e fuori luogo, aiutano a vivere e fanno bene.
La solidarietà e il perdono vincono il pregiudizio e contribuiscono a ritemprare gli animi e a ridurre le stupide contese. I miracoli sono piccoli gesti che riducono le spigolosità, rafforzano e sono in grado di sanare le ferite di un passato amaro che riemerge e consuma, senza snaturare le debolezze che sono il sale della vita, come il buonumore. Stupisce la naturale interpretazione di Michele Iovane nei panni di Rosario, senza imbarazzo né sbavature, e l’idioma che rivela le origini palermitane non può considerarsi condizione privilegiata perché è di Avellino. Una macchietta inesauribile, comicità inconsapevole à gogo. Jey Libertino è Nicola, un furetto, quintessenza del sano ragazzo del sud scaltro e volenteroso, magari un po’ schizzato. E’ la controfigura di Gattuso ma è di Cerignola. Anche la sua una prova sicura, assolutamente calzante nel ruolo, ne esprime a pieno ogni possibile sfumatura assecondando al meglio la trama.
Nicolò Innocenzi è Bruno, intemperante convinto, impunito fino in fondo, con qualche intermezzo di barlume. Sempre padrone della scena, descrive alla perfezione la fragile condizione di un ragazzo anaffettivo che traduce la propria rabbia in gesti e decisioni inconsulte fino al ravvedimento ‘con giudizio’… Mirko Cannella è’ figlio d’arte, già noto come doppiatore, e si vede. Interpreta Francesco, modello di figliolo che ogni genitore ambisce e a cui si può perdonare l’arbitrio del preconcetto ereditato e mai esplorato, anche se stride con l’immagine edulcorata che riproduce la perfezione. Quando lo schema di Francesco viene messo a soqquadro e scardinato, dà dimostrazione di grande versatilità. Inviperito dallo smacco subito, travolto dall’evidenza, riconoscerà i suoi limiti. Controlla e modula i toni a piacimento, sempre, con esemplare consapevolezza, da professionista consumato.
Buona la prima e… Ad maiora, ragazzi!
Sebastiano Biancheri
Foto di Adriano Di Benedetto