I dischi della quarantena: The Cure – “Seventeen seconds” – 1980
Molte le canzoni memorabili, che tutt’ora sono inamovibili nelle scalette dei loro concerti, come Play for today, At night, “M” e la canzone che dà il titolo al disco
The Cure, i ragazzi immaginari e anche un po’ sbarazzini che facevano capolino nell’esordio della band di Robert Smith cominciano a diventare sagome sfuggenti. Come possiamo intuire già dalla copertina di questo disco che immortala una foresta avvolta da una nebbia minacciosa. Il disco precedente rappresenta invece un frigorifero bianco su sfondo rosa.
E il brano strumentale Reflection, che apre il disco, conferma quell’atmosfera fin dalle prime dalle note, per niente rassicuranti.
È ancora lontana quell’aura plumbea che avvolgerà The Cure, tra alti e bassi fino ai nostri giorni. Ciononostante Seventeen Seconds è la prima stazione di una via crucis dove Robert Smith ci racconta la desolazione emotiva della sua anima tormentata. Un’anima che conosceremo tutta in lavori come Pornography e Disintegration.
Molte le canzoni memorabili, che tutt’ora sono inamovibili nelle scalette dei loro concerti, come Play for today, At night, “M” e la canzone che dà il titolo al disco. Ma i demoni avvolti nella nebbia di questa foresta misteriosa chiamata Seventeen Seconds li possiamo trovare nelle spirali ipnotiche traboccanti di angoscia e isolamento di A forest. Un brano che diventerà uno dei brani più rappresentativi della fase più dark della band, nonché uno dei pezzi più conosciuti.
Seventeen Seconds fu pubblicato quarant’anni fa.