I ragazzi del secolo breve
La Memoria non ha bisogno che lo scrittore sia in possesso di particolari tecniche metodologiche o speculative
Quando si riflette sul passato, immediatamente ci vengono incontro due grandi ambiti del pensiero umano: la Storia e la Memoria. A volte, succede che questi due ambiti della riflessione si mescolino, si confondano, si intreccino, – ma, ed è un punto essenziale, assai spesso Storia e Memoria divaricano le loro strade, fino a incrociarsi raramente.
Ragione e sentimento
La Storia – dal tempo lontanissimo dei suoi fondatori, i grandi intellettuali greci Erodoto e Tucidide, e poi gli storici romani (si pensi a figure come Tito Livio, Tacito, Svetonio) – è una delle grandi discipline degli studi umanistici. Con metodologie e tecniche di ricerca specifiche e un’importante valenza filosofica, ossia la filosofia della storia che, con il pensiero di Hegel, e poi con quello di Marx, ha conosciuto il suo momento culminante.
Un pensatore come Heidegger – pure tanto lontano da ogni prospettiva comunista – ha riconosciuto al marxismo, nella “Lettera sull’umanismo” (ed. it. Adelphi) del 1946, la capacità di pensare in modo radicale la dimensione storica, con una profondità sconosciuta ad altre correnti di pensiero. La Memoria, viceversa, intesa come genere, ha più affinità con la letteratura. Un uomo o una donna, tendenzialmente in età avanzata, si siede di fronte alla scrivania o al camino, mentre attende che il flusso dei ricordi inizi a scorrere.
La Memoria non ha bisogno che lo scrittore sia in possesso di particolari tecniche metodologiche o speculative. È il sentimento soggettivo, personale, a far sì che tornino alla memoria i vissuti esistenziali. Le immagini care dei genitori, i tempi della scuola, i professori, i primi amori, le prime piccole-grandi prove dell’esistenza di ciascuno, il periodo vigoroso della maturità, i primi segni del declino, la decadenza, infine la vecchiaia.
Falce e martello nel cuore
Che si tratti di Giulio Cesare o di un umile popolano, certi passaggi sono comuni alla vita di tutti. Se si vuole, è la Storia a porre le premesse della Memoria. È perché gli uomini vivono in una determinata epoca storica, a far sì che i loro ricordi personali assumano una certa conformazione e un certo sapore.
Così i libri di memorie dei grandi comunisti italiani del Novecento, hanno un loro stile e una efficacia specifica, proprio dovuta alle particolari condizioni in cui le loro vite sono state vissute e hanno preso forma. Il grande storico E. J. Hobsbawm ha definito il Novecento come il secolo breve. Iniziato con la Prima guerra mondiale, nel 1914, esso si concluse con la caduta dell’Unione sovietica nel 1991.
Secolo disperato e straziante, quale la storia europea non aveva mai conosciuto fino a quel momento, esso ha imposto particolari condizioni di vita al nostro pianeta complessivamente considerato.
Basti pensare, appunto, alle due Guerre mondiali, ai fascismi e ai totalitarismi (tanto neri che rossi), alla Guerra di Spagna, alla Shoah, alle atomiche sul Giappone, alla Guerra fredda, al Vietnam, ai clamorosi omicidi di protagonisti di primo piano della vita politica, civile e culturale – i fratelli Kennedy, M. Luther King, Che Guevara, Aldo Moro, Pier Paolo Pasolini, Peppino Impastato, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – ai fascismi sudamericani, al crollo del blocco sovietico, a Černobyľ, all’infuriare di nuovi venti di guerra, in questi mesi e in questi anni, all’imporsi del neo-liberismo e della rivoluzione digitale, in questi ultimi decenni.
Dunque, volendo considerare le memorie di grandi comunisti del Novecento italiano, mi vengono in mente tre libri: “La ragazza del secolo scorso” (2005) di Rossana Rossanda; “L’alba di un mondo nuovo” (2002) di Alberto Asor Rosa; “Volevo la luna” (2006) di Pietro Ingrao. Tutti e tre pubblicati da Einaudi.
Una lezione di stile
Si tratta di tre intellettuali militanti, il cui impegno politico-culturale ha avuto un peso importante nelle vicende del nostro paese. Rossanda come fondatrice di “Il Manifesto”. Asor Rosa come accademico e critico letterario. Ingrao come dirigente comunista e Presidente della Camera dal 1976 al ’79.
Al di là delle diversità personali, caratteriali, di stile (alto in tutti e tre i casi), c’era un quid ad accomunarli. Ed era, appunto, il fatto di essere stati comunisti italiani, nella seconda metà del Novecento. Con tutto ciò che questo comportava: l’eredità di Marx; il ricordo tramandato del favoloso e incredibile Ottobre del 1917.
La Guerra di Spagna, Lenin Trockij e Stalin, la nascita del comunismo italiano e il grande contributo di Gramsci. Infine, la durezza di Togliatti, il totalitarismo sovietico e cinese, il Che e la rivoluzione cubana, la Guerra in Vietnam.
Una difficile coerenza
A caratterizzare il libro di memorie di Asor Rosa è, come è naturale, una superiore capacità di controllo ed elaborazione dello strumento letterario. Asor Rosa, infatti, non racconta la storia della sua vita: il successo accademico, i grandi risultati della sua metodologia critica, i momenti in cui il suo sentiero si è incrociato con quelli di Pasolini e Montale. Cose che, evidentemente, gli premeva meno raccontare – coerentemente a un atteggiamento di sobrietà che lo ha caratterizzato sempre (e da cui abbiamo, tutti, ancora molto da imparare).
Ma ci riporta al piano mitico della sua infanzia. Alla sua vita semplice e dura, figlio di una famiglia umile eppure combattiva, che ha saputo dotarlo di tutti gli strumenti – umani e intellettuali – necessari al suo folgorante percorso. Il suo racconto si interrompe, infatti, alla conclusione della Seconda guerra mondiale.
Ossia, quando l’autore ha dodici anni. Questa scelta di dare un taglio particolare al rapporto con la memoria mitica della sua infanzia, costituisce la ricchezza del libro. Viceversa, Ingrao e Rossanda sono prima politici che intellettuali. La loro narrazione è di tipo più classico. La storia delle loro vite di comunisti italiani, che hanno attraversato le tempeste e i drammi del secolo breve.
La caratteristica che emerge, ciò che di fondamentale segna le loro esperienze di vita è, dunque, questo: la volontà accanita di conciliare comunismo e libertà. Di fronte a Stalin, al totalitarismo comunismo cinese, a Togliatti, a fatti come quelli accaduti in Ungheria nel 1956 e a Praga nel 1968, al brutale volto della repressione sovietica. Al netto dei drammi e degli errori personali, la loro coerenza era certamente superiore alla nostra.
Dal piccolo buco di mediocrità in cui è finita la politica italiana e internazionale, quei dirigenti e intellettuali di parte comunista ci offrono uno spettacolo di fermezza, capacità di analisi, generosità umana, competenza morale. Ecco perché sono particolarmente ricchi, quei sentieri in cui si incontrano Storia e Memoria.