Il cantore della libertà: Thomas Mann di fronte al nazismo
Mann spende il suo nome a favore delle ragioni della democrazia e del socialismo contro il nazi-fascismo
In un grande autore, tutto è importante. Così il contegno di Thomas Mann, di fronte alla Seconda guerra mondiale e al nazismo, conferisce alla sua opera, già grande, la patina dell’eroismo. Non è una cosa scontata. Grandi autori del Novecento, Heidegger e Céline ad esempio, abbracciarono la causa del fascismo totalitario con grande disinvoltura. Ma ciò non avvenne a chi aveva dimostrato di possedere un occhio d’aquila, non solo per quanto riguarda la letteratura, ma più in generale per ciò che concerneva, e concerne tuttora, le sorti dell’Occidente europeo.
Per usare un’espressione popolareggiante ma efficace, quando Mann cominciò a utilizzare Nietzsche, gli altri portavano i calzoni corti. La ripubblicazione, da parte di Mondadori, della raccolta “Moniti all’Europa”, con un’introduzione del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, offre lo spunto a questa riflessione.
Un problema già digerito
Non è un caso che Benedetto Croce volle dedicare, proprio a Thomas Mann, la sua “Storia d’Europa nel secolo decimonono” del 1932. La dedica è accompagnata da versi del XXIII canto dell’Inferno di Dante, che dicono: “Pur mo venian li tuoi pensier tra i miei / con simile atto e con simile faccia, / sì che d’entrambi un sol consiglio fei”. Da tedesco, Mann non ignorava certamente il problema.
Quel punto cieco dello spirito germanico che condusse da Bismarck a Hitler. Semplicemente aveva già scrutato in volto il problema alla fine della Prima guerra mondiale. I Mann furono una dinastia delle lettere: così accanto a Thomas abbiamo il fratello Heinrich e i figli di Thomas, Klaus Erika e Golo, ad aver segnato la letteratura del loro popolo.
Alla fine della Prima guerra mondiale, in cui il ruolo della Germania si era già mostrato inquietante e problematico, tra Thomas e Heinrich nacque una disputa letteraria molto accesa, che portò Thomas Mann alla pubblicazione, nel 1918, delle “Considerazioni di un impolitico” (trad. it. Adelphi).
In quest’opera traboccante tanto di genio quanto di cattiva politica, Mann difende per un’ultima volta la Germania davanti al mondo. La causa tedesca, il sentire tedesco, il modo di essere tedeschi. Se non ci fosse il suo nome stampato in copertina, l’opera verrebbe probabilmente relegata tra i prodromi culturali del nazismo.
Irrompe la luce
È noto che quella della composizione delle “Considerazioni di un impolitico” fu, per Thomas Mann, una fase tormentata, fin nelle viscere e nel sangue, e non solo per la Germania, ma anche per il fratello Heinrich. Fu così che arrivò, repentina, la svolta. Nel grande discorso del 1922, intitolato “Della repubblica tedesca” e composto per i sessant’anni di Gerhart Hauptmann, Mann si lascia indietro lo stile e l’atteggiamento mentali delle “Considerazioni di un impolitico”.
Si tratta del primo scritto della raccolta italiana “Moniti all’Europa”. Ciò che è notevole è che il testo fu letto, a Berlino, una quindicina di giorni prima della fascista marcia su Roma. Non si tratta solamente di politica. È l’intera posizione culturale e filosofica di Mann che sta cambiando. Lo scrittore non rinnega sé stesso, le grandi intuizioni della sua gioventù sulla drammatica crisi della civiltà europea, in cui siamo presi tuttora. I maestri della sua gioventù: Schopenhauer, Wagner, Nietzsche.
Ma ormai prossimo ai cinquant’anni, implementa in modo esponenziale la sua frequentazione di Goethe. Ora, Goethe non era certo un democratico, un amante dell’illuminismo e della Rivoluzione francese. Ma era un nocciolo purissimo di umanesimo. Non a caso Heidegger, che per queste cose aveva il fiuto lungo, non lo amava. Mann, dunque, comincia a guardare con altri occhi all’intero corso della civiltà europea. I risultati saranno ben visibili anche nella sua opera letteraria.
Dopo la grande stagione della “Montagna magica” del 1924, Mann compone la grande tetralogia a tema biblico “Giuseppe e i suoi fratelli” (ed. it. Mondadori), che copre tutti gli anni trenta del secolo scorso. Che il massimo scrittore tedesco, ormai in esilio dalla Germania dopo l’avvento al potere di Hitler, decida di dedicare una delle sue opere più importanti ad una delle figure cardine dell’ebraismo, è anch’esso un segnale.
Nel ’38 dirà, in diretta polemica con i nazisti, che la Germania era lì dove era lui. Nel ’39 uscirà “Carlotta a Weimar” (ed. it. Mondadori), romanzo in cui il vecchio Goethe rincontra la figura femminile che aveva ispirato il suo capolavoro giovanile, “I dolori del giovane Werther”. Altro modo per rivendicare un diverso modo di essere tedeschi nel mondo: un romanticismo assoluto e rispettoso del femminile, il valore della poesia, la dolcezza, l’apertura alla realtà, il rifiuto implicito di ogni forma di violenza.
Il momento della lotta
Nel 1947 uscirà il “Doktor Faustus” (ed. it. Mondadori), complessa operazione narrativa in cui è di nuovo il destino dell’anima tedesca ad essere al centro, dalle vicende private della vita di Nietzsche alla creazione della musica dodecafonica. L’ultimo capoverso dell’opera suona: “La Germania, con le gote rosse d’eccitazione, brancolava allora, all’apice dei suoi dissoluti trionfi e prossima a conquistare il mondo in virtù dell’unico patto che era intenzionata a rispettare e che aveva sottoscritto con il sangue” (trad. it. di L. Crescenzi).
Si tratta della fotografia della situazione in cui si trovò l’Europa, negli anni del secondo conflitto mondiale. Di fronte a questa situazione, Thomas Mann era sceso in lotta, già dalla seconda metà degli anni ’30. Nei “Moniti all’Europa”, dopo il discorso sulla repubblica tedesca, l’impegno crescente di Mann si intensifica con il precipitare della situazione internazionale e la difficoltà di opporre una resistenza efficace a Hitler e al fascismo mondiale.
Il campione delle lettere tedesche, il discepolo di Goethe e Nietzsche, spende il suo nome a favore delle ragioni della democrazia e del socialismo. Avendo perfettamente chiaro che una vittoria della Germania nazista avrebbe coinciso con lo spegnersi di qualsiasi dimensione di futuro per il mondo e l’umanità interi. La prosa è tersa, chiara, brillante e di fronte ad un avversario mostruoso, Mann chiama in campo alleati potenti, Franklin D. Roosevelt, allora Presidente degli Stati Uniti e il Cristianesimo.
Ma se leggere vuol dire anche cimentarsi con il tentativo di pensare, è possibile dire che Mann rivolga i suoi moniti anche all’Europa di oggi. Si tratta di un appello a non dimenticare le ragioni dell’umanità, della solidarietà e di quella libertà – minacciata dal neo-liberismo e dai social network oggi imperanti – in nome della quale, circa ottant’anni fa, fu compiuto il titanico sforzo di arrestare e annientare il nazi-fascismo.