Il caso Sarkozy-Berlusconi (e Gheddafi) e la lunga scia dei “conflitti d’interesse”
L’ex Presidente francese si vanta di aver “sacrificato” (con la Merkel) l’allora Premier italiano, come già il leader libico: e il suo attuale successore Macron prende esempio in Niger
Il libro di Nicolas Sarkozy, Le temps des combats (“Il tempo delle battaglie”), appena uscita è già un caso, se non letterario certamente politico. E comprensibilmente, visto che l’ex Presidente transalpino si è vantato di aver costretto alle dimissioni (con la complicità dell’omologa tedesca Angela Merkel) l’allora Premier italiano Silvio Berlusconi. Un’ingerenza concettualmente analoga a quella di cui fu vittima la Libia, solo meno cruenta. E forse l’aspetto peggiore è che, oltre dieci anni dopo, non è cambiato nulla, a parte i nomi dei protagonisti.
Il caso Sarkozy-Berlusconi (e Gheddafi)
«Abbiamo dovuto sacrificare Papandreou [ex Premier greco, N.d.R.] e Berlusconi per tentare di contenere lo tsunami» finanziario in corso. Questa la sconcertante ammissione di Sarkò che, negli stralci dell’autobiografia pubblicati dal Corsera, ricostruisce il golpe bianco euro-Napolitano perpetrato ai danni dell’allora inquilino di Palazzo Chigi.
Si era a fine 2011, e i mercati erano in fibrillazione a causa della truffa dello spread. Così, «Angela Merkel e io decidemmo di convocare Berlusconi per convincerlo a prendere ulteriori misure per provare a calmare la tempesta in atto».
Il Nostro assicura che l’asse franco-teutonico fosse convinto che il Cav era «il problema dell’Italia», e che «la situazione sarebbe stata meno drammatica senza di lui». E conclude affermando che «è stato crudele, ma necessario» per «salvare la terza economia dell’eurozona». Che en passant, come nota Il Riformista, non era minimamente in pericolo: ma, anche fosse, non sarebbe comunque spettato a Parigi e Berlino prendere provvedimenti.
Il problema di fondo è che quest’atteggiamento da maestrini arroganti non è stato affatto un caso isolato, come dimostra tra l’altro il folle sostegno alle primavere arabe. Col nadir dell’intervento (datato sempre 2011) per rovesciare il regime libico di Mu’ammar Gheddafi, di cui tutta l’Europa sta ancora pagando le conseguenze. Un attacco inaugurato proprio dalla Francia, per impedire il progetto del Colonnello di istituire una moneta panafricana in sostituzione di quel residuo coloniale costituito dal franco CFA.
Niente di nuovo sul fronte occidentale
Siccome però la Storia è maestra di vita ma ha dei pessimi allievi, c’è chi ora pensa paradossalmente di prendere esempio dal disastro di Sarkozy. È il suo attuale successore, Emmanuel Macron, il cui “tempo delle battaglie” riguarda il Niger. Teatro, nel luglio scorso, di un colpo di Stato che ha portato alla destituzione e all’arresto del Presidente Mohamed Bazoum, e all’istituzione di una giunta militare. E che Oltralpe vogliono reprimere al motto di “armiamoci e partite”, per interposta Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cédéao, in inglese Ecowas).
Ora, il golpe in questione è solo l’ultimo di quelli che negli ultimi anni hanno avuto luogo nella Regione e in genere nel Continente Nero. Il Niger stesso confina con Mali e Burkina Faso, altri due Paesi in cui l’esercito ha preso il potere con la forza. In questi casi l’Eliseo non ha avuto nulla da ridire, perciò è quantomeno curioso che invece si stia accanendo contro Niamey.
A pensar male (che andreottianamente, com’è noto, si fa peccato, ma spesso ci si azzecca), si potrebbe ipotizzare che il vero nodo del contendere sia l’uranio nigerino. Che, come rileva France Info, rifornisce il 30% delle centrali nucleari dei nostri cugini, e il 24% dei reattori di tutta l’Unione Europea.
La lunga scia dei “conflitti d’interesse”, insomma, prosegue imperterrita. Come avrebbe detto Erich Maria Remarque, niente di nuovo sul fronte occidentale.