Il Codice Ratzinger in “Ein Leben”: Benedetto XVI è il papa, non Bergoglio
Dopo 230 articoli in quasi due anni, il libro-inchiesta e la conferma di numerosi specialisti, ci sono ancora dei contestatori
230 articoli in due anni, 340 pagine di libro-inchiesta, “Codice Ratzinger” (Byoblu ed.), secondo bestseller italiano, la conferma di 30 specialisti, latinisti, psicologi, giuristi, teologi, storici della Chiesa anche di rango universitario. Eppure, ci sono ancora contestatori che se ne escono, freschi come rose, a fare obiezioni sull’abc della questione, dandoci – sostanzialmente – dei cretini. Infatti, il professore di filosofia americano Edward Feser, non certo immune da toni sprezzanti e superficiali già usati in passato, ha definito “sciocca tesi” la questione indagata dal sottoscritto probabilmente senza aver nemmeno ascoltato l’intervento video che abbiamo premurosamente sottotitolato per lui e altri studiosi americani. Inoltre, con un personalissimo concetto del bon ton, Feser non ha neanche risposto alla cortese lettera pubblica indirizzatagli mesi fa.
Con una certa stanchezza, lo ammettiamo, in attesa che a breve esca la traduzione inglese di “Codice Ratzinger”, dobbiamo replicare, anche perché l’intervento è stato ripreso in italiano dal blogger cattolico Sabino Paciolla, il quale, più volte nei mesi scorsi sollecitato a discutere (anche in modo critico) del Codice Ratzinger, non ha mai accettato un confronto e, secondo un uso consolidato fra gli una cum, non ha mai risposto alle email. Però adesso dà spazio all’americano Feser e alle sue sprezzanti e implosive considerazioni: complimenti per la par condicio e la disponibilità verso un connazionale. Grazie.
Rispondiamo quindi soprattutto nell’interesse dei lettori, più che per tentare di convincere il tetragono prof. Feser e gli “una cum” nostrani, anche se non ce ne sarebbe nemmeno bisogno a fronte di una considerazione ovvia: se dopo nove anni stiamo ancora a discutere se Benedetto ha abdicato o no, vuol dire che la rinuncia era sicuramente dubbia e quindi per il diritto canonico nulla. Punto.
Ma quello che risulta molto difficile da comprendere per il professore, oltre alla questione canonica, è che il linguaggio di papa Benedetto non è un linguaggio normale, banale, ma uno stile comunicativo speciale, essenziale, trasparente e veritiero, mutuato da quello di Cristo con i suoi accusatori, che dice la verità usando la logica, l’anfibologia o la pura letteralità in modo che solo “chi ha orecchie intenda”. Questo linguaggio “pro multis”, cioè, per molti, ma non per tutti, è stato identificato con precisione da diversi specialisti tra cui il prof. Carlo Taormina, il più famoso avvocato italiano, ed è pienamente giustificato dal fatto che Benedetto si trova in sede impedita, cioè giuridicamente prigioniero, e che ha promesso obbedienza e reverenza (non certo fedeltà) al suo antagonista antipapa, nelle cui mani si trova.
Con supponenza, Feser cita – come se non avessimo già studiato parola per parola due anni fa quel testo – il volume “Ein Leben” di Peter Seewald, che è corredato da un’eloquentissima intervista al Santo Padre Benedetto.
Ecco cosa scrive l’americano: “Benedetto si è rifiutato di rispondere ad alcune domande sulla situazione attuale della Chiesa, con la motivazione che ciò avrebbe «inevitabilmente interferito nel lavoro dell’attuale papa. Devo e voglio evitare qualsiasi cosa in questa direzione»”.
E a Feser chi glielo ha detto che quell’attuale papa è Bergoglio? Forse che il sottoscritto non potrebbe scrivere di sé in terza persona, come sta facendo ora? E’ il solito caso del “papa non specificato”, come quando Benedetto riceve i falsi cardinali di Bergoglio e raccomanda loro la fedeltà al papa, ovviamente senza indicare quale.
Prosegue Feser: “Benedetto rifiuta anche esplicitamente “qualsiasi idea che ci siano due papi allo stesso tempo”, poiché “un vescovato può avere un solo titolare”. Chi pensa che sia l’unico Papa attuale, allora? La risposta è evidente dal fatto che Benedetto si riferisce esplicitamente a Francesco come “Papa Francesco” per tre volte nell’intervista. Si riferisce anche a Francesco come “il mio successore” e arla del “nuovo Papa”.
Non è evidente per niente, caro Feser, dato che Mons. Gaenswein, nel famoso discorso del 2016, disse che c’è “un solo papa legittimo, ma due successori di San Pietro viventi in una sorta di ministero allargato con un membro contemplativo e uno attivo”. Quindi, considerando che la Declaratio non è una rinuncia valida, ma un annuncio di sede impedita, tutto torna: c’è un papa legittimo (quello contemplativo, Benedetto) e un papa illegittimo, attivo e regnante, cioè Bergoglio che è illegittimo in quanto eletto da un conclave convocato a papa né morto né abdicatario, ma impedito.
Avendo promesso obbedienza e reverenza al suo successore illegittimo, come si potrebbe fare a un carceriere, lo chiama “Papa Francesco”, e se Bergoglio volesse farsi chiamare “Batman”, lo chiamerebbe così per reverenza. Infatti, da nove anni papa Ratzinger non dice mai quello che conta, cioè che il papa è uno ED E’ FRANCESCO. E’: voce del verbo essere.
Partendo dalle sue illusioni, Feser prosegue per conto suo: “Ma allora, se i Benevacantisti si sottomettono all’autorità di Benedetto, non dovrebbero accettare il suo giudizio che Francesco è il Papa e lui no? Naturalmente, questa sarebbe una posizione incoerente. I benevacantisti devono, di conseguenza, giudicare che Benedetto è semplicemente in errore”.
Nessun errore: Benedetto non ha mai detto che Francesco è il papa legittimo, anzi, in un milione di altre situazioni spiega esattamente e logicamente cosa ha fatto, cioè che si è ritirato in sede impedita rendendo il suo successore ILLEGITTIMO. Tipo quando scrive che egli potrebbe essere l’ultimo papa della profezia di Malachia (senza considerare minimanente Francesco) o quando in riferimento alla propria Declaratio dice: “Nessun papa si è dimesso per mille anni e anche nel I millennio è stata un’eccezione”. Dato che la storia riporta sei papi abdicatari nel I millennio e quattro nel II, il riferimento univoco è a quei due papi medievali (Benedetto VIII e Gregorio V) che prima della Riforma gregoriana persero il ministerium, (come Benedetto XVI) perché scacciati da antipapi, ma rimasero papi, tanto da venire reintegrati sul trono poco dopo. Quindi, la parola “dimissioni” per Benedetto sta per “rinuncia fattuale all’esercizio del potere derivante da sede impedita” e non per “abdicazione”, tanto che in Ein Leben si parla di Abdankung (abdicazione) per i papi che abdicarono davvero, come Celestino V, e di Ruecktritt (ritiro) per Ratzinger.
“Allora, perché non parla chiaramente?” sarà la solita stolida domanda: perché – lo ripetiamo per la milionesima volta – è in sede impedita, quindi prigioniero, confinato. E, come insegna la storia di Jeremiah Denton, chi è prigioniero non può dire quello che vuole, come vuole.
Il Feser poi cita, masochisticamente, proprio le principali espressioni rivelatorie di Benedetto in Codice Ratzinger :“È ovvio che non ci si può sottomettere a tali richieste (quella di dimettersi n.d.r.). Per questo nel mio discorso ho sottolineato che lo facevo liberamente. Non si può mai partire se significa scappare, non si può mai sottostare alle pressioni. Si può partire solo se nessuno lo richiede. E nessuno l’ha preteso nel mio tempo. Nessuno. È stata una sorpresa per tutti”.
Infatti, è esattamente così: nessuno ha preteso che Benedetto si auto-esiliasse in sede impedita rinunciando al ministero-ministerium. E’ una scelta che ha fatto lui, liberamente, mentre i nemici volevano farlo abdicare al munus. “E’ stata una sorpresa” non nel senso che nessuno si aspettava che abdicasse nel 2013, ma nel senso in cui lui ha organizzato una bella sorpresa per tutti, durata almeno fino all’agosto 2021 quando abbiamo compreso la sede impedita. Tipico linguaggio ultraletterale di Benedetto come quando scrive: “Non si capisce perché questa figura giuridica (il vescovo emerito) non debba essere applicata anche al vescovo di Roma”: quel “non si capisce” non è retorico, ma descrittivo: la gente, effettivamente, non ha capito perché il papa non potrebbe mai essere emerito come un vescovo. E lui, come specificherà dopo, è “grato al Signore perché l’attenzione gentile e cordiale di papa Francesco” gli abbia consentito di mettere in pratica questa idea. Ovvero, la dabbenaggine di Bergoglio gli ha consentito di rifugiarsi nello status giuridicamente fittizio di “emerito” che non vuol dire il papa pensionato, ma colui che merita di essere papa, colui che ne ha diritto.
E Feser, nella nebbia più totale, cita ancora Ratzinger: “Certo, questo potrebbe causare un equivoco sulla funzione. La successione petrina non è solo legata a una funzione, ma riguarda anche l’essere. Quindi il funzionamento non è l’unico criterio. D’altra parte, un papa deve anche fare cose particolari… a cominciare dal ricevimento dei capi di Stato, a quello dei vescovi, con i quali deve davvero poter avviare un dialogo intimo, fino alle decisioni quotidiane… Se non c’è più la capacità di farlo è necessario – per me almeno, un altro può vedere la cosa altrimenti –lasciare libero il soglio”.
Qui Benedetto spiega proprio “for dummies” la distinzione fra munus (essere papa) e ministerium (fare il papa): il funzionamento, fare il papa, ricevere i vescovi etc., non è l’unico criterio per essere papi, c’è anche l’essere, il munus. Quindi se non sei papa, ma eserciti le sue funzioni sei un usurpatore e il vero papa è impedito. “Altri la vedono altrimenti”, cioè i mafiosi di San Gallo si illudono che la rinuncia al ministerium comporti abdicazione, ma si sono scismati da soli convocando un conclave invalido.
“Chiaramente – equivoca Feser – Benedetto ritiene che l’essere e la funzione del papato vadano di pari passo, così che se uno rinuncia all’uno –“lascia la cattedra” – rinuncia anche all’altra”.
Altri fischi per fiaschi: se il papa non è in grado di esercitare il ministerium, secondo Benedetto dovrebbe lasciare “libera”, cioè vuota, sgombra, la cattedra di San Pietro come da corretta traduzione del verbo “vacet” nella Declaratio. E così ha fatto lui prendendo l’elicottero il 28 febbraio 2013, lasciando libera la sede di San Pietro e trasferendosi a Castel Gandolfo. Non ha lasciato la sede giuridicamente vacante, ma fisicamente libera, vuota.
Capite bene che non ci si può improvvisare nello studio del linguaggio di Benedetto XVI e nell’organizzazione del suo geniale disegno che abbiamo riassunto qui. Bisogna entrare nella sua logica profonda e coerente, unitamente alla comprensione della questione canonica. Tanto per darvi uno spunto divertente e immediato, per far capire come comunica il vero papa, citiamo uno dei più spiritosi codici Ratzinger contenuti nel libro di Odifreddi, appena scovato.
Il matematico ateo sottopone a Benedetto quel vergognoso polpettone mistificatorio del film “I due papi” di cui abbiamo trattato
Racconta Odifreddi: “Il ruolo di Benedetto è impersonato da Anthony Hopkins, un attore da Oscar, e Ratzinger nota che esiste qualche somiglianza fra loro: anche nell’età, aggiungo, visto che Hopkins ha dieci anni in meno, e il film narra eventi di una decina di anni fa. È invece Jonathan Price nei panni di papa Francesco a non convincere Ratzinger, soprattutto per il colore della pelle”.
Ora, sicuramente il prof. Feser penserà che la critica di Benedetto fosse al truccatore, colpevole di aver scelto una nuance sbagliata per il fard di Jonathan Price. Ma molti di voi avranno senz’altro capito che è chiaramente una battuta per dire che Price ha la “pelle” sbagliata, la veste bianca, cioè indossa l’abito da papa e questo non convince Ratzinger perché, appunto, Bergoglio non è il papa legittimo. Infatti, nel cosiddetto “rompicapo della mozzetta rossa” Benedetto ci spiega, con un perfetto gioco logico, come Bergoglio si sia abusivamente vestito di bianco.
Ma, appunto, per capire bene il Codice Ratzinger bisogna essere umili, leggere tutti gli esempi citati, con molta attenzione. Alla fine, ci si fa il polso e non si casca come allocchi nel credere all’abdicazione quando, per esempio, papa Ratzinger dice “vesto di bianco perché non avevo altri abiti disponibili” oppure “ho validamente rinunciato al mio ministero”, perché ormai si sa che non esiste una veste specifica da papa impedito e che con la parola ministero si indica sia il munus che il ministerium. E questo non è casuale.
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