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Il Job Hopping: cos’è e perchè sta prendendo piede in Italia

Sempre più in aumento la tendenza del cambio di azienda, da parte dei lavoratori, almeno due volte nell’arco di due anni: ecco perchè

Colleghi di lavoro

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Il mercato del lavoro italiano sta vivendo una trasformazione significativa: il Job Hopping, ovvero la tendenza a cambiare frequentemente impiego per migliorare le proprie condizioni professionali ed economiche, sta prendendo piede anche nel nostro Paese. Secondo uno studio condotto dall’Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro (Anpal – Il Sole 24 Ore, 2023), il numero di lavoratori che hanno cambiato azienda almeno due volte nell’arco di 24 mesi è in costante aumento.

Job Hopping, non si tratta di inaffidabilità

Una tendenza confermata anche da un recente report di LinkedIn, che ha rilevato che Millennial e Gen Z hanno in media 4,2 posti di lavoro nei primi 10 anni di carriera. Tuttavia, mentre all’estero questa pratica è ormai normalizzata, in Italia permane ancora un certo scetticismo, dovuto a una cultura aziendale tradizionalmente legata alla stabilità occupazionale.

Fino a pochi anni fa, in Italia, una permanenza breve all’interno di un’azienda veniva percepita come un segnale di inaffidabilità. Il nostro tessuto imprenditoriale, costituito in larga parte da piccole e medie imprese a conduzione familiare, ha sempre valorizzato la fedeltà aziendale come indice di serietà e professionalità.

“Il mindset tradizionale delle imprese italiane è stato fortemente influenzato dalle esperienze lavorative delle generazioni precedenti”, spiega Silvia Fiori, Executive della società internazionale di headhunting e HR. “Sia i Boomer che la Generazione X sono entrati nel mercato del lavoro quando il ‘posto fisso’ era un obiettivo imprescindibile. Per loro, la lunga permanenza in azienda era sinonimo di affidabilità, mentre chi cambiava spesso veniva visto con sospetto”.

Job Hopping, pro e contro

Ma qualcosa sta cambiando. Le aziende stanno iniziando a comprendere l’origine di questo fenomeno e a rivedere il proprio atteggiamento nei confronti dei candidati con un curriculum caratterizzato da più esperienze professionali in breve tempo.

Un caso emblematico raccontato da Silvia Fiori riguarda una candidata Gen Z nel settore digital tech, che aveva cambiato impiego ogni due anni per crescere professionalmente. “L’azienda per cui l’avevo proposta inizialmente esitava, temendo che potesse lasciare rapidamente in assenza di una progressione di carriera veloce. Ho dovuto insistere affinché valutassero il suo profilo”, spiega la manager. “Oggi, sempre più imprese riconoscono che il Job Hopping non è necessariamente indice di instabilità, ma di un mercato del lavoro che offre più opportunità e richiede maggiore flessibilità”.

Secondo l’OCSE, in Italia la percentuale di lavoratori Boomer e Gen X che occupano la stessa posizione da oltre 12 anni è ancora molto elevata. Questo dato è strettamente legato alla struttura demografica del Paese: l’Italia è la seconda nazione più longeva al mondo, con una popolazione over 65 che rappresenta il 24% del totale (Ministero della Salute, 2024).

Ma il mercato sta cambiando rapidamente, soprattutto nei settori a più alta specializzazione. In ambiti come IT, digital, tech e ingegneria, la domanda di professionisti supera l’offerta, incentivando il Job Hopping. Di contro, in settori più tradizionali, come quello bancario, l’automazione e la digitalizzazione hanno ridotto la richiesta di personale, mantenendo un equilibrio tra domanda e offerta e limitando il fenomeno.

Job Hopping, il ruolo dei recruiter

Le imprese italiane devono adattarsi a un sistema valoriale in continua evoluzione: i professionisti di oggi cercano stipendi adeguati, possibilità di crescita e un migliore work-life balance. Ignorare questi cambiamenti significa rischiare di perdere talenti fondamentali per la crescita aziendale.

Secondo Silvia Fiori, la soluzione potrebbe essere nel ruolo strategico dei recruiter e degli esperti HR. “I selezionatori devono diventare mediatori culturali tra le generazioni, aiutando sia i candidati a comprendere le dinamiche aziendali, sia le imprese a valorizzare il potenziale delle nuove generazioni senza pregiudizi legati alla durata della permanenza in azienda”.

L’obiettivo è costruire un ecosistema lavorativo più flessibile e orientato al talento piuttosto che alla staticità dei percorsi di carriera. Un cambiamento di prospettiva che, sebbene ancora lento, sembra ormai inarrestabile anche in Italia.