Il jolly D’Alema nella corsa al Quirinale
Alcune osservazioni sulle prossime elezioni del Presidente della Repubblica
La partita sulla Presidenza della Repubblica sarà l'ennesimo, e forse più duro, riassesto politico interno al centrosinistra italiano, e cioè gran parte del nostro attuale governo. Napolitano è oramai dimissionario, e in meno di due settimane si devono riorganizzare le forze parlamentari (e regionali) al fine di evitare un tracollo nella seduta che recherà come ordine del giorno l'elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Renzi, che già da tempo si è mosso, tiene il polso dei parlamentari, amici e poco amici, tramite il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, fidatissimo dell'ex sindaco, che da diverse settimane sonda il terreno al fine di saggiare la stabilità delle scelte politiche che si prenderanno sia in segreteria sia nel gruppo parlamentare. E già da subito sorge qualche problema: franchi tiratori, categoria endemica delle votazioni a scrutinio segreto.
I renziani rappresentano indubbiamente la maggioranza del partito, e hanno una peculiarità molto interessante: obbediscono – almeno finché Renzi vince. Le minoranze riconosciute e consistenti certo non mancano. E sono quasi tutte minoranze che hanno ben poco da ringraziare il presidente-segretario d'Italia. Dalemiani, bersaniani, civatiani, forse qualche fioroniano: si arriva a due cifre di potenziali franchi tiratori. E, sempre nel centrosinistra, a queste categorie più o meno (ma soprattutto meno) compatte si aggiungono battitori liberi disancorati dalle vecchie correnti, come ad esempio Stefano Fassina. Non si contano poi le microcorrenti che pur non avendo rappresentanza in Parlamento sono degnamente presenti nell'Assemblea nazionale del PD, e che potrebbero avviare in loco una guerriglia apripista per quella parlamentare, sempre a svantaggio di Renzi. Al fianco dei renziani potrebbe tenere la minoranza dei Giovani Turchi, a guida di Orfini, presidente del partito.
A queste spine nel fianco, di cui è difficile quantificare il numero, si aggiunge chi nello stesso governo sgomita un pò soffocato da questo presidente un po' ingombrante. C'è ad esempio NCD e quel poco che rimane di Lista Civica, ambedue in lotta (più il secondo che il primo) per la sopravvivenza; una sopravvivenza che chiede visibilità; una visibilità che si può ottenere togliendola al partito di maggioranza. Sicuramente qualche schioppetata sospetta arriverà anche da queste fila.
Al fuoco amico si aggiungono opposizioni in scomodissima situazione. I grillini, pur avendo smorzato i toni, devono mantenere una linea dura e pura contro candidati bipartisan. Forse allora un'apertura su Prodi alla quarta votazione, che però non troverebbe i voti del centro-destra di governo, e metterebbe a rischio la stessa stabilità dell'esecutivo. Ma certo Prodi, con tutte le probabilità, accoglierebbe il plauso di Sel, che pur essendo partito di netta minoranza potrebbe assumere, come sempre avviene in sistemi frammentati, un ruolo-chiave in votazioni dove si elegge qualcuno per il proverbiale rotto della cuffia.
Forza Italia è spaccata. Non lo dà a vedere, ma c'è chi, in seno al partito del Cavaliere, non gradisce questo Patto del Nazareno, di cui gli esiti elettorali restano dubbi sia per la destra che per la sinistra. Anche un accordo bipartisan PD-FI è allora parzialmente a rischio a causa di insofferenze italforzute, interpretate in larga parte da Fitto.
Sulla Lega c'è poco da dire. La tenuta di Salvini, simile per certi aspetti a quella grillina, è un tutti contro tutti: con difficoltà voteranno mai un qualunque candidato che non sia il loro (e, ci scommetto, si tramuterà una sparata propagandistica colossale). E con altrettanta difficoltà stringeranno accordi sotto banco con la sinistra, che a sua volta dovrebbe stringerli con la destra. Un asse Lega-Forza Italia, pur più probabile rispetto ad uno Lega-PD (con disappunto di D'Alema, che considera la Lega una "costola della sinistra"), non porterebbe comunque a nulla per mancanza effettiva di voti.
Forse qualche sorpresa dal gruppo misto. In tempo di guerra ogni buca è trincea, e non a torto si potrebbe sospettare che agenti di vari gruppi, come già è successo, stiano esplorando quella piccola galassia che accoglie minoranze troppo minoranze e defenestrati dai cinque stelle. Qualche voto lì lo si potrà raccogliere, ma certo in quantitativo non in grado di fermare la probabile emorragia della sinistra.
Fare nomi è prematuro. Ne circolano dieci, venti, trenta, cambiando ogni minuto. La politica italiana è febbrile: lo è sempre stata e sempre lo sarà. Ciò che si può dire è che se mai dovesse essere eletto un presidente moderato/centrodestra, sarà probabilmente la tomba di Renzi, già accusato di non essere proprio la personificazione della sinistra; viceversa, se verrà eletto un presidente di sinistra, allora le possibilità saranno due. La prima è che lo si elegga con i voti della destra, ed allora dovrà essere una figura di raccordo in grado di piacere a Berlusconi (e se piace a Berlusconi c'è un pò da preoccuparsi, specialmente per prossimo il termine della pena); la seconda è che lo si elegga su un asse PD-SEL-M5S. In quest'ultimo caso, il governo probabilmente andrebbe a cadere, e se i grillini dovessero aprire si avrebbe un nuovo esecutivo; o, cosa più probabile, un governo della "non sfiducia" a termine, con fini prevalentemente riguardanti la legge elettorale con cui tornare alle elezioni.
Possibile una combinazione che salvi capra e cavoli? Possibile un colpo da maestro? Forse sì. Un nome: Massimo D'Alema. Proponendo l'ex DS, Renzi guadagnerebbe i voti delle proprie minoranze (forse eccettuando Civati), e probabilmente andrebbe a incassare anche i voti di Forza Italia, il cui presidente, in fondo, non disprezza e non ha mai disprezzato l'ex bicameralista. Certo il fiorentino ne uscirebbe con qualche ferita (dove coglie coglie, stavolta Renzi deve incassare, giacché ha una maggiorana relativa in riferimento alla sinistra) a causa sia dell'accordo con Forza Italia sia della riesumazione dell'emblema dei rottamati, ma certo sarebbe sempre meglio che eleggere un presidente di destra, che mediaticamente andrebbe a distruggere quel poco che rimane del suo pedigree di esponente della sinistra.