Il Marocco è forte, è un paese dove la solidarietà ha valore: ce la farà
A Marrakech, il minareto della moschea Koutubia, alto 69 metri e vecchio di quasi novecento anni, ha oscillato, è stato scosso, ferito, ma è rimasto in piedi
Ricordo ancora come la luce si rifletteva sul blu limpido dell’ acqua del piccolo porto dei pescatori di Mohammedia, cittadina sita tra Rabat e Casablanca dove ancora abito, in quel settembre del 1980. Talmente trasparente, malgrado le molte barche a motore dai colori arcobaleno tipiche dei marinai marocchini che andavano e venivano dal molo, che si poteva vedere il fondo e le miriadi di pesci che lo abitavano.
Il valore del prossimo e il rispetto in Marocco
Ero lì con mia mamma e la mia piccola sorellina per acquistare del pesce. La mia passione per la pesca mi era stata trasmessa da mio papà quando da piccolissimo andavamo in vacanza al campeggio Le Palme a Terracina (Latina), sotto al tempio di Giove.
Alla vista di quello specchio d’acqua pieno di pesciolini, che ai miei occhi di bimbo sembravano delle balene, chiesi a mia madre di rimanere un po’ di più, al di là del tempo necessario per gli acquisti affinché io potessi provare a pescare qualcosa.
Sapendo che saremmo andati lì avevo portato con me, in tasca, un rotolo di filo di nylon, un piombo e un piccolo amo. Presi alcune molliche dal panino che stavo mangiando e lanciai in acqua.
Nulla abboccava ma dopo qualche minuto si avvicinò un giovane marocchino. Avrà avuto 15-16 anni, aveva gli occhi buoni e un sorriso che trasmetteva sicurezza e fiducia. Si presentò e disse in francese: “Signora mi chiamo Said, sono il figlio del commerciante di pesce che ha il primo banco sulla destra. Posso aiutare suo figlio a pescare?“.
Mia madre, che aveva un sesto senso per le persone e ne comprendeva immediatamente l’animo, sentì che poteva fidarsi e mi lasciò pescare con lui. Da quel giorno, ogni pomeriggio, dopo i compiti di scuola, mi recai al porto dei pescatori con la mia bicicletta verde, per pescare assieme a Said. Pescammo insieme per anni fintanto a che gli studi mi tennero in Marocco.
Oggi, a distanza di quasi 45 anni, egli è ancora il mio unico e più caro amico qui nel Regno che prende il nome dalla città di Marrakech, traslitterazione berbera del termine Mur-Akush (terra di Dio).
E ancora oggi con Said andiamo a pesca insieme, ma di ricordi.
La Kasbah e le sue storie
Said abita nella kasbah di Mohammedia. In arabo kasbah significa cittadella, o anche fortezza. Le kasbah possono ricordare dei castelli circondati da mura in argilla rossa. Ve ne sono in moltissime città del Marocco e costituiscono il nucleo antico delle città. Nel centro-sud del paese sono diffusissime.
Anni fa Said mi raccontò un fatto che non ho mai dimenticato.
Nella piccola via, numero 24, dove abita, era arrivato un mendicante che aveva scelto come propria dimora il marciapiede della stradina. così che dal giorno dopo il suo arrivo, Il vicino di casa di Said, Abdellah, cominciò a portare da mangiare al mendicante a pranzo e a cena. Questo genere di solidarietà appartiene fortemente al popolo marocchino. L’idea di aiutare il prossimo affonda le radici nell’islam che ne ha fatto uno dei cinque pilastri che il buon musulmano deve rispettare. Il mendicante rimase lì per alcune settimane e fu puntualmente nutrito ogni giorno. Poi scomparve.
Anni dopo Abdellah, il vicino di Said che si era occupato di lui, si recò a Rabat presso un ministero e nei corridoi dell’edificio incrociò un uomo distinto ed elegantissimo che gli sorrise e lo salutò. Gli si parò di fronte e gli domandò se si ricordasse di lui. Abdellah rimase sorpreso e il funzionario, superati alcuni istanti di silenzio e di imbarazzo poiché il volto di quell’uomo distinto non emergeva nei ricordi dell’amico di Said, replicò dicendogli: “Eppure dovresti, perché mi hai dato da mangiare e da bere per settimane.”
E’ una storia vera e non succede di rado
Era il mendicante della via numero 24.
Capita spesso che in Marocco alcuni funzionari di polizia o di particolari dipartimenti si travestano e sotto copertura svolgano delle indagini.
Si dice che anche il re del Marocco Hassan Secondo, amatissimo padre dell’attuale Monarca, si travestisse da viandante, ogni tanto, e camminasse in mezzo al popolo per comprenderne l’umore.
Abdellah fu accompagnato in un ufficio dove il funzionario diede ordine che qualunque suo desiderio venisse esaudito.
Sembra una storia frutto di fantasia ma è la verità e questi episodi non sono affatto rari qui in Marocco. Non necessariamente sfociano in una ricompensa ma in questo paese nessuno muore di fame, i poveri vengono aiutati, non esistono ospizi perché i vecchi sono sacri e rimangono a casa accuditi dalle famiglie.
Il terremoto in Marocco
Quando finalmente cesserà la conta delle vittime di questo terribile terremoto che venerdì 8 Settembre ha distrutto interi villaggi, come un’automobile quando passa su di un formicaio, si dovrà pensare alla ricostruzione.
L’unico sollievo è il sapere, per certo, che chi è rimasto senza tetto, gli orfani, gli anziani senza più famiglia e casa, non saranno abbandonati o sistemati “ a vita” in container “provvisori“, ma saranno accolti da parenti, amici o vicini più fortunati e non resteranno soli.
A mani nude, uomini, donne e bambini, scavano fra le macerie accanto alla Protezione Civile Marocchina e ai contingenti di soccorso arrivati da Spagna e Regno Unito.
Non si registrano casi di sciacallaggio. Si tradurrebbero in un linciaggio da parte dei cittadini.
A Marrakech, il minareto della moschea Koutubia, alto 69 metri e vecchio di quasi novecento anni, ha oscillato, è stato scosso, ferito, ma è rimasto in piedi, quasi a voler dire ai Marocchini : “Il Marocco è forte, ce la farà anche questa volta!”.